Umberto Ambrosoli |
Roger Abravanel ha dimostrato che il senso comune italiano di una società giusta e solidale è completamente fallace. L’Italia è probabilmente la società più diseguale e ingiusta del mondo occidentale. La nostra società sembra aver sempre avuto più poveri delle altre società avanzate. Questi poveri sono sempre gli stessi. L’immobilità della società italiana rende la sua disuguaglianza profondamente ingiusta e contribuisce al clima di sfiducia che attanaglia il paese.
Luigi Einaudi – Governatore della Banca d’Italia dal 1945 al 1948, Presidente della Repubblica Italiana nel settennato 1948-1955 - fu un convinto sostenitore dell’uguaglianza nelle condizioni di partenza: “Su taluna maniera di porre rimedio alla diseguaglianza nei punti di partenza vi ha una sostanziale concordia tra liberali e socialisti ed è per quel che riguarda l’apprestamento di mezzi di studio, di tirocinio e di educazione aperta a tutti...Ad uguale sentenza si giunge rispetto a quei provvedimenti intesi ad instaurare parità di punti di partenza tra uomo e uomo...”.
Tito Boeri |
Mentre gli Stati Uniti sono caratterizzati da alta disuguaglianza sociale e alta mobilità sociale, in Italia scopriamo tristemente che siamo un caso unico: la nostra è l’unica società con alta disuguaglianza e bassa mobilità, sia intragenerazionale che intergenerazionale..
La politica ridistributiva in Italia non sembra proteggere i “veri deboli”.
In Italia, un giovane che non abbia un genitore almeno diplomato ha il 10% delle possibilità di laurearsi, contro il 35% della Francia e oltre il 40% della Gran Bretagna. Circa il 70% dei ragazzi che hanno i migliori risultati provengono da famiglie agiate. In Italia il 44% degli architetti è figlio di architetti, il 42% dei laureati in giurisprudenza è figlio di laureati in giurisprudenza. Biondillo spassosamente racconta: “proprio quell’estate del 1984 lessi un’intervista a Vittorio Gregotti su un quotidiano nazionale. Il giornalista chiese un consiglio da dare ai giovani che si accingevano ad iscriversi ad architettura. Gregotti rispose, lapidario: “Consiglio loro di scegliersi genitori ricchi”.
Vassalli, nel suo romanzo “Marco e Mattio”, ambientato nel Veneto nel 1775, scrive: “Suo padre, Marco Lovat, era lo scarpèr cioè il calzolaio di Casal, e il destino del figlio primogenito era quello di fare lo scarpèr, anche se avrebbe preferito continuare a studiare per diventare dottore: la vita, a Zoldo, non permetteva quel genere di cambiamenti e chi nasceva oste doveva fare l’oste, chi nasceva scarpèr doveva fare lo scarpèr; altre alternative non c’erano!”. Ogni tanto sembra che in questo Paese siamo rimasti a fine ‘700.
Il sociologo Schizzerotto sottolinea come le persone nate tra la prima metà degli Anni 60 e la fine degli Anni 70 costituiscono le prime due generazioni di italiani che non sono riuscite, come invece era sempre accaduto nel corso del Novecento, a migliorare le proprie aspettative di vita rispetto a quelle dei rispettivi genitori.
Non si può non denunciare l’atavica affezione alla gerontocrazia della nostra classe politica, in nome della quale già vent’anni fa un Presidente della Repubblica – Francesco Cossiga – chiamò Rosario Livatino, 38enne magistrato ammazzato dalla mafia, il “giudice ragazzino”.
Allora, abbiamo un candidato - Umberto Ambrosoli – quarantunenne, limpido, capace, serio, con un forte senso civico e delle istituzioni. Dietro di lui c’è la cultura di Milano, il Beccaria, Carlo Cattaneo. Contro di lui c’è la volontà di dividere l’Italia, l’ampolla dell’acqua del Po, la regressione politico-culturale, le promesse insensate. Gli scandali, le tangenti nella sanità, la grave corruzione, il Pirellone inquinato.
L'alternativa che attende gli elettori lombardi il prossimo week end è chiara: da una parte il progetto di ricambio della classe dirigente corrotta, guidato dal candidato civico Umberto Ambrosoli.
Dall'altra parte il tentativo forzaleghista di conservazione di un potere che, secondo le ultime inchieste della magistratura, si è configurato come associazione a delinquere.
Scegliamo AMBROSOLI, scegliamo la discontinuità. Basta cultura dell'alibi. Altrimenti continueremo a lamentarci della classe politica che ci circonda.