"Un missile provocò la strage di Ustica. La Cassazione condanna lo Stato a risarcire", così ha titolato il Corriere della Sera nel gennaio scorso. Nè bomba, nè cedimento strutturale. Fu un missile, o più di uno. Per la prima volta una sentenza definitiva ricostruisce una responsabilità, sempre negata, delle amministrazioni. Ci sono voluti 33 anni per vedere accogliere dalla Suprema Corte che la tesi che ad abbattere il DC9 dell'Itavia fu un missile "è abbondantemente e congruamente motivata".
Purtroppo non sappiamo ancora chi ha sparato il missile. I francesi, gli americani, i libici?
Quando risento la voce di Davide Paolini che grida le richieste di contatto, una volta perso il segnale radar, della Torre di Controllo di Ciampino al DC-9 Itavia, ho i brividi: “India Hotel 870, rispondete, India Hotel 870 rispondete”. Ma l’aereo Itavia con codice di volo IH870 partito da Bologna e diretto a Palermo è già inabissato in mare colpito nella parte anteriore destra da un caccia francese in manovra di attacco, con l’obiettivo di centrare l'aereo - nascosto sotto la pancia del DC-9 - del Colonnello Gheddafi, capo supremo della Libia e osteggiato dalle potenze occidentali.
Gheddafi riuscì – avvertito dal controspionaggio italiano – a virare verso Malta. Un suo aereo della scorta, un MIG-23MS, venne colpito e cadde sulla Sila.
Tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio – 81 persone - morirono.
Il fantastico giornalista Andrea Purgatori ha dedicato gran parte della sua vita a svelare i misteri della battaglia aerea sul Tirreno di 32 anni fa.
In uno dei suoi articoli sul Corriere della Sera su queste vicende, il giornalista ripercorre con meticolosità i fatti: “La vera «bomba» della strage di Ustica sono le tracce radar di quattro aerei militari ancora formalmente «sconosciuti» - due/tre caccia e un Awacs - su cui la Nato, dopo una rogatoria avanzata un anno fa dalla Procura della Repubblica di Roma (con il sostegno operativo ma silenzioso dell'ufficio del consigliere giuridico del capo dello Stato), sta decidendo in questi giorni se apporre le bandierine d'identificazione. Tutti gli indizi portano allo stormo dell'Armée de l'air che nel 1980 operava dalla base corsa di Solenzara. Lo stesso contro cui puntò il dito pubblicamente (poi anche a verbale) Francesco Cossiga. Forse dopo aver saputo che i caccia francesi avevano lasciato le loro impronte su un tabulato del centro radar di Poggio Ballone (Grosseto), miracolosamente non risucchiato dal buco nero che dalla sera dell'esplosione del DC-9 Itavia aveva ingoiato nastri, registri e persino la memoria di tanti testimoni”.
Prosegue Purgatori: “Ma il radar di Poggio Ballone (Grosseto), all'epoca uno tra i più efficienti, aveva visto che tre di quegli aerei provenivano da Solenzara e a Solenzara erano rientrati dopo l'esplosione del DC9 Itavia. E il quarto - un aereo radar Awacs - era rimasto in volo sopra l'isola d'Elba registrando tutto ciò che era accaduto nel raggio di centinaia di chilometri, quindi anche a Ustica. Sarà un caso che il registro della sala radar con cui si sarebbero potuti incrociare i dati del tabulato non fu trovato durante il sequestro ordinato dal giudice istruttore Rosario Priore e che l'Aeronautica lo consegnò cinque giorni dopo senza il foglio di servizio del 27 giugno 1980? Sarà un caso che Mario Dettori, uno dei controllori, dichiarò a moglie e cognata che si era arrivati «a un passo dalla guerra» e poi fu trovato impiccato a un albero? Sarà un caso che il capitano Maurizio Gari, responsabile del turno in sala radar e perfettamente in salute, sia morto stroncato da un infarto a soli 32 anni? Sarà un caso che i capitani Nutarelli e Naldini, morti anche loro nella disastrosa esibizione delle Frecce tricolori nel 1988 a Ramstein, con il loro TF 104 abbiano incrociato quella sera tra Siena e Firenze il DC9 sotto cui si nascondeva un aereo militare sconosciuto e siano rientrati alla base di Grosseto segnalando per tre volte e in due modi diversi l'allarme massimo come da manuale (codice 73)?”
Ritengo importante ricordare anche le battaglie del senatore - un galantuomo - Libero Gualtieri, che ebbe a dire (aprile 1992): "Come i magistrati assegnati all'inchiesta hanno potuto accusare, ancor prima di attendere l'accertamento definitivo sulla meccanica dell'incidente, numerosi alti ufficiali dell'Aeronautica e dei Servizi di aver depistato le indagini e ostacolato l'attività dei vari organi inquirenti, così per la Commissione è possibile indicare al Parlamento le responsabilità dei poteri pubblici e delle istituzioni militari per avere trasformato una "normale" inchiesta sulla perdita di un aereo civile, con tutti i suoi 81 passeggeri, in un insieme di menzogne, di reticenze, di deviazioni, al termine del quale, alle 81 vittime, se ne è aggiunta un'altra: quell'Aeronautica militare che, per quello che ha rappresentato e rappresenta, non meritava certo di essere trascinata nella sua interezza in questa avventura".
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del “Giorno della memoria” del 2010 dedicato alle vittime del terrorismo, affermò che “intrecci eversivi”, “forse anche intrighi internazionali, opacità di comportamenti da parte dei corpi dello Stato e inefficienza di apparati, hanno allontanato la verità sulla strage del DC-9”.
Visto che sono tanti gli studenti che seguono questo blog, consiglio loro di recuperare in cassetta/dvd il film “Muro di gomma”, diretto da Marco Risi , che descrive in modo commovente come le istituzioni, i militari, i Capi di Stato Maggiore dell’Aeronautica osteggiano ogni giorno la ricerca della verità.
I militari hanno sempre sostenuto la tesi del cedimento strutturale dell’aereo, contro ogni logica e contro una marea di prove. Ma tant’è, l’opacità è il maggior riferimento culturale di questo Paese.
La compagnia aerea Itavia, incalzata dalle accuse, nonostante il battagliero presidente Davanzali, venne costretta a chiudere. "Una compagnia distrutta da una menzogna", dirà più tardi Giuliano Amato, in commissione Stragi.
Nel film una bravissima Angela Finocchiaro ricorda la figura di Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime della Strage Ustica, che anche in Parlamento si è battuta per la verità. E l’attore purtroppo scomparso Corso Salani interpreta un giornalista investigativo, Rocco Ferrante (alias Andrea Purgatori), che non si arrende davanti alle menzogne del potere.
Così si chiude il film, con Ferrante che zuppo d’acqua trasmette ai dimafoni il suo articolo: “Ci sono voluti dieci anni, dieci anni di bugie, dieci anni di perché senza risposta. Perché chi sapeva è stato zitto? Perché chi poteva scoprire non si è mosso? Perché questa verità era così inconfessabile da richiedere il silenzio, l'omertà, l'occultamento delle prove? C'era la guerra quella notte del 27 giugno 1980: c'erano 69 adulti e 12 bambini che tornavano a casa, che andavano in vacanza, che leggevano il giornale, o giocavano con una bambola. Quelli che sapevano hanno deciso che i cittadini, la gente, noi non dovevamo sapere: hanno manomesso le registrazioni, cancellato i tracciati radar, bruciato i registri, hanno inventato esercitazioni che non sono mai avvenute, intimidito i giudici, colpevolizzato i periti. E poi, hanno fatto la cosa più grave di tutte: hanno costretto i deboli a partecipare alla menzogna, trasformando l'onestà in viltà, la difesa disperata del piccolo privilegio del posto di lavoro in mediocrità, in bassezza. Ora, finalmente, mentre fuori da questo palazzo, dove lo Stato interroga lo Stato, piove, a molti sembra di vedere un po' di sole. Aspetta. Queste ultime tre righe non mi piacciono. Aggiungi soltanto... Perché?”
P.S.: Io su Ustica ho letto l’inverosimile. Per ulteriori approfondimenti vi consiglio:
Blog sulla Strage di Ustica: http://blog.libero.it/ustica/2648703.html
http://www.comune.bologna.it/iperbole/ustica/
http://www.stragediustica.info/
A. Purgatori, D. Bonfietti e M. Serra, Com’è profondo il mare, Cuore, 1994
Claudio Gatti, Gail Hammer, Il quinto scenario, Rizzoli, 1994
D. Lucca, P. Miggiano, A. Purgatori, A un passo dalla guerra. Storia di un segreto inconfessabile, Sperling & Kupfer, 1995
D. Biacchessi e F. Colarieti, Punto Condor. Ustica il processo, Pendragon, Itavia, 2002
E. Amelio, A. Benedetti, IH870. Il volo spezzato. Strage di Ustica: le storie, i misteri, i depistaggi, il processo, Edito da Editori Riuniti, 2005
D. Del Giudice e M. Paolini, I-TIGI Canto per Ustica (libro + DVD), Einaudi, 2009
G. Fasanella, R. Priore, Intrigo internazionale, Chiarelettere, 2010
venerdì 21 giugno 2013
lunedì 17 giugno 2013
Le piccole imprese devono guardarsi dentro per poter rinascere
Come è noto, in Italia il 98% delle imprese sono piccole. Nel Belpaese ci sono oltre 3,5 milioni di micro imprese, il 94,5% del totale, contro il 92% della media europea. Le imprese italiane sono in tutto 3.765.825. di cui meno di 3.000 hanno più di 250 dipendenti.
"L’Italia – annota Sapelli – è il paese per eccellenza della piccolissima e piccola impresa perché è tra le società mondiali in cui è più pervasivo il predominio di quella società naturale che è la famiglia, che esercita un ruolo dominante su tutte le altre forme umane intermedie in cui si articola e differenzia la società...La piccola impresa è quindi da considerarre un tipico esempio di sviluppo endogeno, con una forte interazione tra sfera economica, sociale e politica, che ne fa una comunità, fondata su un sistema di valori quali l'etica del lavoro e l'appartenenza alla società locale".
La piccola impresa è in stato di forte difficoltà. Se la passa malissimo. Con la domanda interna in calo, sembra non ci sia speranza.
Il Governatore della Banca d’Italia Visco nelle sue ultime Considerazioni finali scrive: “Le imprese sono chiamate a uno sforzo eccezionale per garantire il successo della trasformazione, investendo risorse proprie, aprendosi alle opportunità di crescita, adeguando la struttura societaria e i modelli organizzativi, puntando sull’innovazione, sulla capacità di essere presenti sui mercati più dinamici. Hanno mostrato di saperlo fare in altri momenti della nostra storia. Alcune lo stanno facendo. Troppo poche hanno però accettato fino in fondo questa sfida; a volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico”.
Questi rilievi però non sono rivolti alla piccola, ma sono più che altro diretti alla media impresa, che nelle parole di Visco deve avere la “capacità di innovare i prodotti e i processi, di esportare sui mercati emergenti, di internazionalizzare l’attività, anche guidando o partecipando a catene produttive globali”.
Ma allora cosa dovrebbe fare la piccola impresa, la micro-impresa? Deve seguire i consigli di Linkerbiz, alias Fabio Bolognini, che consiglia alla piccola impresa di concentrarsi su tre direttrici:
A) FARE I CONTI COME SI DEVE. In linguaggio aziendale si chiama ‘controllo di gestione’. L’assenza di minime nozioni e applicazioni informatiche usate per capire se l’impresa sta vendendo prodotti o servizi in perdita o in utile è straordinariamente diffusa. Non è la contabilità - peraltro tenuta esternamente con ampio ritardo dal solito tradizionale commercialista - è qualsiasi cosa aiuti il piccolo imprenditore a prendere decisioni su cosa vendere e a chi vendere basandosi su un calcolo veritiero del margine di profitto (non sul volume di fatturato) e sulla velocità d’incasso. Ripeto, una straordinaria carenza che spiega gran parte dei bilanci in rosso e delle crisi dei piccoli.
B) TROVARE NUOVI CLIENTI. Nelle piccole imprese, eccessivamente assuefatte a un ‘terzismo’ naturale, il calo del fatturato sotto il punto di pareggio è subito passivamente, non è contrastato con un’azione sistematica, organizzata per cercare nuovi clienti. Provate a fare la domanda ‘Scusi, come trova nuovi clienti?’ e otterrete risposte anche pittoresche. Senza un metodo, senza tempo dedicato i piccoli imprenditori non sono in grado rimpiazzare gli ordini persi da un cliente che riduce gli acquisti o uno che è fallito.
C) PIANIFICARE LE PROPRIE FINANZE. Infine rimane abbastanza inspiegabile la riluttanza delle piccole imprese nell’avere nel cassetto un piano del proprio andamento economico (il Budget) e delle entrate e uscite monetarie. Nessun budget ben costruito, nessun piano di tesoreria. Lo sforzo arruffone delle tante società di software è stato vano. Molte PMI non hanno capacità di fare (e controllare) un budget e non hanno neppure un foglio excel per tenere sotto controllo la tesoreria dei prossimi 2-3 mesi, non parliamo nemmeno di agganciarlo a una contabilità tutto sommato semplice. Viaggiano senza cruscotto e senza capire se stanno superando i limiti di velocità. Pericolosissimo. Questa carenza può essere riscontrata persino in alcune medie imprese a gestione familiare”.
Giulio Sapelli |
Chiudiamo con l'osservazione positiva di Giulio Sapelli, che scrive: “La speranza è una virtù bambina perchè possiamo prenderla per mano e camminare con essa. E' ciò che fa la maggiornaza degli artigiani e dei piccoli imprenditori italiani".
lunedì 10 giugno 2013
Staccare la spina nei giorni di vacanza? Ma va là. Ormai sono tutti worliday
Sono in tanti a lamentarsi di non riuscire a staccare la spina. "Non si ha più tempo per se stessi", dicono gli psicologhi. La parola d'ordine delle prossime vacanze è "Non fare niente". E oggi per non fare proprio niente sembra che ci sia una sola strada: disconnettrsi da internet, dalle mail, da google.
Siamo così fissati sullo schermo del nostro cellulare - l'altro giorno il mio amico Enrico continuava a scrivere sul blackberry durante lo spettacolo teatrale di fine anno dei nostri figli - che negli Stati Uniti sono nati dei corsi per insegnare ai manager a riprendere a fissare negli occhi i loro interlocutori.
Janet Sternberg della Fordham University scrive: "Il vero problema è che usiamo gli stessi oggetti sia per svago che per il lavoro. Leggiamo una mail del nostro capo e un minuto dopo diamo sempre sullo stesso dispositivo a cercare il ristorante per andare a cena con gli amici: non distinguiamo più. Sono cadute le barriere che una volta separavano i vari momenti della giornata e questo ci crea disturbi di attenzione".
Io la penso in modo diverso. Credo che per molti professionisti come me non ci siano più rigidi schematismi di orario di lavoro. Ormai esiste il "worliday" - come l'ha superbamente definito Lucy Kellaway sul Financial Times - ossia un giorno metà lavoro - work - e metà vacanza - holiday.
Nel suo memorabile pezzo Worlidays are the way to switch off and stay on del 4 agosto 2011 leggiamo: "Worliday is a bit like holiday and a bit work. It's the future for most professional workers and actualy, contrary to what most people would have to believe, worliday is really rather nice".
Se nel week end rispondo a una mail di lavoro o scrivo un post del Faust e nel frattempo gioco a rigori con mio figlio Chicco o cucino una salsiccia al barbecue sto mettendo in pratica il worliday.
Ormai sono veramente in pochi a inserire nella mail in automatico il messaggio di essere out-of-office. Come racconta Kellaway l'amministratore delegato di una media company ha vietato al suo staff di farlo, considerandolo unprofessional.
Prima delle vacanze natalizie, l'economista d'impresa Marco Vitale anni fa ha regalato ai suoi ospiti un suo volume sulla corruzione e la mafia e ha detto: "Non vorrete mica staccare il cervello durante le vacanze di Natale!", per poi esplodere in una fragorosa risata.
"Intellectual stimulation charges my batteries more reliably tha sitting in the rain with bored teenagers", chiosa Kellaway. Io la penso come lei. Le giornate sono più piene, hanno più senso, sono più divertenti se si combinano le cose.
E quando si ritorna in ufficio, l'acclimatamento è più easy.
Lunga vita al worliday.
Siamo così fissati sullo schermo del nostro cellulare - l'altro giorno il mio amico Enrico continuava a scrivere sul blackberry durante lo spettacolo teatrale di fine anno dei nostri figli - che negli Stati Uniti sono nati dei corsi per insegnare ai manager a riprendere a fissare negli occhi i loro interlocutori.
Janet Sternberg della Fordham University scrive: "Il vero problema è che usiamo gli stessi oggetti sia per svago che per il lavoro. Leggiamo una mail del nostro capo e un minuto dopo diamo sempre sullo stesso dispositivo a cercare il ristorante per andare a cena con gli amici: non distinguiamo più. Sono cadute le barriere che una volta separavano i vari momenti della giornata e questo ci crea disturbi di attenzione".
Io la penso in modo diverso. Credo che per molti professionisti come me non ci siano più rigidi schematismi di orario di lavoro. Ormai esiste il "worliday" - come l'ha superbamente definito Lucy Kellaway sul Financial Times - ossia un giorno metà lavoro - work - e metà vacanza - holiday.
Nel suo memorabile pezzo Worlidays are the way to switch off and stay on del 4 agosto 2011 leggiamo: "Worliday is a bit like holiday and a bit work. It's the future for most professional workers and actualy, contrary to what most people would have to believe, worliday is really rather nice".
Se nel week end rispondo a una mail di lavoro o scrivo un post del Faust e nel frattempo gioco a rigori con mio figlio Chicco o cucino una salsiccia al barbecue sto mettendo in pratica il worliday.
Ormai sono veramente in pochi a inserire nella mail in automatico il messaggio di essere out-of-office. Come racconta Kellaway l'amministratore delegato di una media company ha vietato al suo staff di farlo, considerandolo unprofessional.
Prima delle vacanze natalizie, l'economista d'impresa Marco Vitale anni fa ha regalato ai suoi ospiti un suo volume sulla corruzione e la mafia e ha detto: "Non vorrete mica staccare il cervello durante le vacanze di Natale!", per poi esplodere in una fragorosa risata.
"Intellectual stimulation charges my batteries more reliably tha sitting in the rain with bored teenagers", chiosa Kellaway. Io la penso come lei. Le giornate sono più piene, hanno più senso, sono più divertenti se si combinano le cose.
E quando si ritorna in ufficio, l'acclimatamento è più easy.
Lunga vita al worliday.
lunedì 3 giugno 2013
L'Università deve avere un approccio didattico innovativo. Vi racconto la mia esperienza alla Carlo Cattaneo - LIUC di Castellanza
Dopo aver tenuto in qualità di docente il corso di Sistema Finanziario presso l'Università Carlo Cattaneo LIUC di Castellanza, voglio condividere con voi alcuni riflessioni.
La LIUC è stata fondata nel 1991 per iniziativa di 300 imprenditori della Provincia di Varese e dell’Alto Milanese che desideravano una università in grado di coniugare le esigenze del mondo del lavoro con la cultura e il sapere accademico.
Da docente effettivamente ho riscontrato il desiderio di abbinare al sapere racchiuso nei libri e nelle lezioni la trasmissione di conoscenza empirica.
Il rettore della LIUC spinge giustamente affinchè la formazione universitaria sia il più possibile ancorata alla realtà e legata al mondo delle imprese.
Se posso portare un esempio concreto, al termine del corso tenuto insieme al prof. Antonio Caggia, è previsto, per chi ha superato l'esame, un laboratorio esperienziale che ha riscosso notevole successo ed entusiasmo da parte degli studenti. Il laboratorio esperienziale caratterizza positivamente anche altre materie. E in LIUC, non è un’eccezione ma sta diventando la regola ed è un importante valore aggiunto offerto agli allievi.
Di cosa si tratta? Nel corso delle lezioni "ordinarie" abbiamo affrontato lo scibile della finanza, dalle autorità di vigilanza agli strumenti creditizi, dalle Sim alle SGR, dall'assegno bancario allo scoperto di conto corrente, dal leasing al factoring, dal mutuo agli investimenti.
Il laboratorio esperienziale ha l'obiettivo di sviluppare le capacità di dare seguito alle conoscenze acquisite durante le lezioni applicandole correttamente ai diversi casi che si possono presentare durante le varie fasi della vita personale e/o aziendale.
Abbiamo, quindi, invitato gli studenti ad affrontare questioni reali, mettendo a confronto le offerte di mutuo presenti sul mercato. Per cui i ragazzi, riuniti in gruppi - uno dei quali con mia piacevole sorpresa ha deciso di chiamarsi Gruppo Baffi, in onore del Governatore Paolo Baffi, a cui ho dedicato studi matti e disperatissimi - sono stati indotti ad applicare le loro conoscenze su casi concreti.
Sono state messe in concorrenza le diverse banche, le offerte a tasso fisso e variabile (e misto), sono stati creati file excel con i piani di ammortamento per tutta la durata del mutuo. E tutte le operazioni sono state inserite nel conto corrente, di modo da rendicontare la chiusura d'anno, staffa compresa.
Si sono simulati investimenti mettendo in comparazione i fondi e le sicav presenti sul mercato italiano. E si sono ipotizzate conferimenti a cadenza annuale nei fondi pensioni aperti disponibili sul mercato.
Ogni gruppo di studenti ha lavorato su uno scenario di eventi in continua evoluzione e ha gestito un "bilancio" familiare/aziendale in modo da massimizzare il valore finale di ricchezza creata. Alla fine del laboratorio, ogni gruppo ha discusso e illustrato le proprie scelte alla platea generale del corso, motivandole e difendendole dalle possibili critiche - decision challenging.
Insomma, si è passati da una conoscenza teorica ad una conoscenza vera, che siamo convinti non si dimenticherà tanto facilmente. I ragazzi hanno lavorato sodo, ma alla fine erano soddisfatti.
La combinazione dei saperi ha creato valore ed elasticità mentale.
Carlo Cattaneo |
Vi lascio quindi con una massima di Cattaneo che trovo fantastica: "Non v'è lavoro, non v'è capitale che non cominci con un atto di intelligenza; chiuso il circolo delle idee, resta chiuso il circolo delle ricchezze".
Non è necessario lavorare tanto. Ma è imprescindibile lavorare con intelligenza.
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