venerdì 5 giugno 2015

17 giugno 1982, il banchiere Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, viene trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra

Il 17 giugno - 33 anni fa, nel 1982 - cade l'anniversario dell'omicidio di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, trovato impiccato a Londra sotto il Ponte dei Frati Neri. Se la lenta e farraginosa giustizia italiana non è giunta a trovare i responsabili dell'omicidio, alcuni magistrati hanno cercato la verità nel tempo, avvertendo che è molto diversa dalla verità giudiziaria.

La lettera pubblicata nel volume di Mario Almerighi La borsa di Calvi. Ior, P2 mafia: le lettere e i segreti mai svelati del banchiere di Dio (Chiarelettere, 2015) fa un po' di luce ed è veramente impressionante. Il banchiere Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, caduto in disgrazia, voleva salvarsi la vita e riacquistare il potere  perso attraverso azioni ricattatorie basate sui documenti in essa contenuti. Calvi decise quindi il 5 giugno 1982 (12 giorni prima di essere impiccato) di scrivere direttamente al Papa - Giovanni Paolo II - affinchè intervenga sul cardinal Marcinkus e sullo Ior, la Banca del Vaticano, azionista del Banco Ambrosiano.

Eccone qui uno stralcio significativo:
"Santità, ho pensato molto, molto in questi giorni e ho capito che c'è una sola speranza per cercare di salvare la spaventosa situazione che mi vede coinvolto con lo Ior in una serie di tragiche vicende che vanno sempre più deteriorandosi e che finirebbero per travolgerci irreversibilmente.
Ho pensato molto, Santità, e ho concluso che Lei è l'ultima speranza. Da molti mesi ormai, mi vado dibattendo a destra e a manca, alla disperata ricerca di trovare chi responsabilmente possa rendersi conto della gravità di quanto accaduto e di quanto più gravemente accadrà se non intervengono efficacy e tempestivi provvedimenti essenziali per respingere gli attacchi concentrici che hanno come principale bersaglio la Chiesa e, conseguentemente, la mia persona e il gruppo a me facente capo.
La politica dello struzzo, l'assurda negligenza, l'ostinata intransigenza e non pochi altri atteggiamenti di alcuni responsabili del Vaticano mi danno la certezza che Sua Santità sia poco o male informata di tutto quanto ha per lunghi anni caratterizzato i rapporti intercorsi tra me, il mio gruppo e il Vaticano.
Santità, sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonchè delle colpe commessi dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona, di cui ancora ne subisco le conseguenze (Calvi fu ricattato da Sindona, ndr); sono stato io che, su preciso incarico di Suoi autorevole rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi e associazioni politico-religiose dell'Est e dell'Ovest; sono stato io che, di concerto con le autorità vaticane, ho coordinato in tutto il Centro-Sud America la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l'espandersi di ideologie filomarkiste; e sono stato io, infine, che oggi vengo tradito e abbandonato proprio da queste stesse autorità a cui ho rivolto sempre il Massimo rispetto e obbedienza". 

Insomma, Calvi fa una chiamata di correità nei confronti dello Ior, azionista invasive che ha volute che Calvi aiutasse la politica del Papa contro il comunismo, sia in Europa che in Centro America. Le distrazioni di fondi dal Banco saranno scoperte dai liquidatori in svariati miliardi di lire.

Non ho mai creduto alla tesi del suicidio di Calvi, anche sulla base delle considerazioni del pubblico ministero Luca Tescaroli che ha evidenziato nei processi:
1) Calvi era debilitato fisicamente, un uomo in tali condizioni non poteva compiere acrobazie per impiccarsi sotto un ponte; il pm scrisse: “Sulla base degli esperimenti giudiziari espletati è “da escludersi che in seguito al percorso descritto non rimangano indelebili tracce di ruggine nelle mani, nelle scarpe e nei vestiti...che non potevano non venire a contatto – e ripetutamente – con i supporti metallici ossidati mediante uno strusciamento che avrebbe dovuto lasciare ben evidenti ed indelebili segni di ruggine e altre sostanze imbrattanti...”

2) Calvi era solito portare un copridita al dito indice della mano destra che “era solito sanguinare” a un semplice sfregamento su parete ruvida, ma in sede di esame autopico nulla è stato rilevato in proposito. Il Tribunale civile di Milano ha osservato che “le fasi di attraversamento dell’impalcatura e delle ipotizzate manovre di scivolamento a scopo suicidario dalla sbarre avrebbero provocato lesioni e abrasioni quantomeno all’indice della mano desra di Calvi che era stato leso a causa di un incidente domestico avvenuto nel 1969 con conseguente intervento di chirurgia plastica d’urgenza consistente nel chiudere, con tessuto cutaneo prelevato da altra parte del corpo, la ferita”.

Movente dell'omicidio Calvi? Secondo l'accusa Calvi si sarebbe impossessato di una parte del Tesoro di Cosa Nostra, promettendo di investirlo e farlo fruttare, ma alla fine, travolto dai debiti, non sarebbe più stato in grado di restituirlo.
A questo punto, è opportuno citare la testimonianza dell'allora governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, che sottolinea l'operato di Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro, che proprio per la sua ostina determinazione a far pagare allo IOR il dovuto pagò un costo alto a livello politico: "Lo spessore morale di Andreatta consentì di trovare soluzioni di ”pulizia” netta. Con il suo alto senso delle istituzioni non cercò di minimizzare l’accaduto o di occultare responsabilità e comportamenti scorretti, sul piano giuridico e su quello deontologico. Intervenendo alla Camera per riferire sull’accaduto definì la vicenda dell’Ambrosiano come “la più grave deviazione . . . rispetto alle regole della professione bancaria verificatasi . . . in un grande paese industriale negli ultimi quarant’anni”.

La linea di severità che si scelse di seguire permise anche di ridurre l’entità delle perdite, recuperando ingenti fondi, in Italia e soprattutto, all’estero. Con determinazione, concretezza e massima trasparenza Andreatta assunse le decisioni necessarie alla soluzione del caso; decisioni non facili per le implicazioni riguardanti Stati esteri e i loro sistemi bancari.




Roberto Calvi
La crisi dell’Ambrosiano precipitò il 12 giugno del 1982 con la fuga di Calvi. Si decise l’immediato commissariamento del Banco. Durante il commissariamento Tesoro e Banca d’Italia convennero nel cercare la formazione di un pool di banche disponibili a fornire liquidità al Banco Ambrosiano, sì da evitare la chiusura anche solo temporanea degli sportelli. Lo stesso pool di banche si dichiarò disponibile a subentrare al Banco Ambrosiano qualora dagli accertamenti dei commissari ne fosse emerso il dissesto patrimoniale. Tutto ciò fu definito il 9 luglio nel corso di una lunga riunione svoltasi in Banca d’Italia e che si tenne alla presenza del Ministro Andreatta. Il contenuto della riunione fu reso pubblico da un comunicato stampa stilato dalle stesse banche partecipanti.

I commissari accertarono che l’attività del Banco in Italia era prevalentemente sana; il “marcio” si annidava nelle consociate estere. L’acclaramento delle modalità operative di Calvi mise in luce che egli aveva sfruttato l’insufficiente grado di coordinamento tra le Autorità di vigilanza dei diversi Paesi e in tal modo aveva eluso i controlli.

Con Andreatta si convenne che nelle sedi internazionali occorreva fare riferimento con fermezza a quanto stabilito dall’accordo di Basilea circa l’azione della Vigilanza; essa, infatti, non aveva responsabilità per l’attività svolta all’estero da una banca nazionale attraverso società giuridicamente distinte dalla casa madre e non soggette alla Vigilanza del paese della stessa casa madre.

La soluzione della crisi fu attuata in tempi strettissimi, grazie all’intensa collaborazione tra il Tesoro e la Banca d’Italia.

Il 4 agosto, mercoledì, i commissari straordinari, terminato il loro compito, chiesero la liquidazione del Banco Ambrosiano; il venerdì successivo il CICR approvò la proposta di liquidazione. Il fine settimana fu utilizzato per dar luogo alla costituzione del Nuovo Banco, alla nomina degli amministratori (presidente venne nominato l'avv. Giovanni Bazoli) e dei Sindaci, al subentro del nuovo Banco nell’attività del cessato Banco Ambrosiano. Il lunedì, 9 agosto, tutti gli sportelli del Nuovo Banco operarono regolarmente".

Lezioni per il banking di oggi? Sicuramente. Chi distrae fondi dalla banca al fine di vantaggi personali o per ingraziarsi entità terze, prima o poi fa una brutta fine. La cosa migliore che si può aspettare è finire in galera, come il già presidente di Banca Carige Giovanni Berneschi, che intestava conti a personaggi di fantasia come Filadelfo Arcidiacono.

venerdì 29 maggio 2015

29 maggio 1985, la finale di Coppa dei Campioni si trasforma in una carneficina

Sono passati 30 anni dal quel triste 29 maggio 1985. Me lo ricordo bene quel giorno. Io e i miei amici di via Tolstoy  decidemmo di vedere la finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool in giardino, collegandoci con prese e prolunghe "di fortuna". Fu una tale fatica collegarsi, che quando riuscimmo a vedere le immagini, rimanemmo di sale nel vedere che la partita alle 21.30 non era ancora iniziata. Le notizie erano frammentarie. Il telecronista storico della Rai non aveva ancora delle informazioni ufficiali da comunicare circa il numero dei morti travolti dalla furia ubriaca degli hooligans inglesi.

Guardate il cortometraggio realizzato da Repubblica.it, vale veramente la pena. Con la voce di Michela Cescon e il racconto di Emanuela Audisio, il tifoso Matteo Lucii (allora sedicenne) torna allo stadio di Bruxelles, quell'Heysel scelto dall'UEFA nonostante non avesse alcun requisito per ospitare una finale di Coppa. Reti di separazione inesistenti, struttura fatiscente, procedure di sicurezza non previste. I tifosi della Juventus presenti nel settore Z si trovarono schiacciati dai tifosi inglesi, che sfondarono le debole recinzioni. Chi subì  la pressione mostruosa della massa inglese - in grado di far crollare un muro divisorio - morì asfissiato. La strage è quindi figlia della combinazione della stupidità umana degli hooligans e degli errori organizzativi .

Il racconto del signor Conti, che perse la figlia Giuseppina di 16 anni è straziante. Pensare di riconoscere la propria figlia morta attraverso le scarpe indossate toglie il fiato.

La partita iniziò alle 21.40 invece che alle 20.15, dopo il discorso di Gaetano Scirea che invitava alla calma. Vinse la Juve 1-0 con un rigore di Platini (fischiato per un fallo su Boniek avvenuto fuori dall'area. Il portiere del Liverpool Bruce Grobelaar ha raccontato: "Mancavano cinque minuti al riscaldamento, capimmo che era successo qualcosa: arrivava gente nella nostra zona. Quattro o cinque di noi s'affannarono a dare una mano. Passammo dall'interno dei secchi d'acqua, prendemmo degli asciugamani dalle docce e li lanciammo fuori. Riuscimmo a fare solo questo, ma ormai sapevamo abbastanza per non voler giocare. (...). Alla Juve è stato rimproverato di non aver restituito la Coppa ma l'errore fu giocare: fece un gol, la Coppa è sua".

Il giornalista Maurizio Crosetti, allora alla prima trasferta importante, scrive oggi: "Dalla tribuna si capiva e non capiva. "Ci sono dei morti", disse una voce, e subito ci precipitammo giù dale scale verso l'antistadio. E li vedemmo. Erano già allineati, cinque, otto, dodici morti in fila e senza nessuno accanto. Corpi soli, irreparabili. Transenne di ferro venivano usati come barelle, la polizia a cavallo andava avanti e indietro soffiando nei fischietti e roteando bastoni. C'erano infermieri, pochi, e medici, ancora meno. C'era morte dappertutto".

Nessuno ha pagato per la gravità di quanto è accaduto, soprattutto gli organizzatori belgi, indecorosi. Si vede addirittura nei filmati la polizia a cavallo che manganella i tifosi della Juve scampati alla tragedia invadendo il campo di gioco.
I morti, gli sia lieve la terra, saranno 39.

venerdì 22 maggio 2015

La capacità di concentrazione, focalizzazione è determinante per il successo. Ma non è senza costi.

Nel volume appena uscito della scrittrice Paola Mastracola - L'esercito delle cose inutili (Einaudi, 2015) - il protagonista Raimond ci insegna che anche quando fai la cosa più inutile del mondo - che sia raccogliere conchiglie, trapiantare primule, amare qualcuno in silenzio - puoi trovare una scintilla di vita, di lampo di senso, uno scatto inaspettato.

Arrivato al capitolo 25, il lettore rimane folgorato dalla figura del biologo, "un bell'uomo, con un completo grigio e la cravatta (...), si è occupato per anni d'isolare un tal batterio per sconfiggere una malattia molto grave, che fa strage nei paesi più poveri del mondo".

La cosa particolare è che il biologo per studiare meglio a un certo punto ha lasciato tutto, moglie, figli, amici, e si è affittato una baita in montagna, portandosi dietro i libri, gli alambicchi per gli esperimenti, il microscopio, i vetrini, le colture. "E ha vissuto lì, scollegato da tutto e da tutti. Tre anni".
Secondo il biologo, negli studi, "si può arrivare a qualche risultato solo se ci si rinchiude in un posto isolato senza la vita che ti prende", ossia senza far tardi la sera, andare al cinema con gli amici, portare a cena la fidanzata, comprarsi un paio di scarpe nuove".
Mastrocola scrive con sapidità: "Gli piace molto la vita. Ma lo distrae, non può permetterselo. Deve studiare. Una baita in alta montagna è perfetta. La sua ricerca richiede concentrazione".

Dopo qualche anno la ricerca è finite, il biologo ce l'ha fatta, ha isolato il batterio, la malattia può essere sconfitta. E' molto soddisfatto. Torna al suo paese. C'è un però. Il suo isolamento lo ha costretto a trascurare tutte le relazioni, a non coltivare i contatti: "Ero diventato un orso, un frate, una specie di eremita".


Paolo Baffi, governatore sempiterno
Dopo la lettura, il mio pensiero è volato subito al governatore Paolo Baffi - chi sennò!, le cui carte conosco quasi a memoria, sic - che ha coltivato poco o nulla le relazioni con la politica, e ne ha pagato un prezzo altissimo.
Nel volume di Baffi e Jemolo Anni del disincanto, che ho avuto il piacere di curare, cito un passaggio di Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, che scrive: "

Eugenio Scalfari ricorda - a Enzo Biagi - così un suo incontro con Pertini: "Un giorno mi permisi di suggerire a Pertini di nominare Baffi senatore a vita alla prima occasione, per dovere di riparazione contro un sopruso patito; ma, con mio grande stupore, lo trovai sordo su questo tema. «Prima», mi disse, «ci sono i miei amici della Resistenza, poi si vedrà».
Ricordo con amarezza questa frase del presidente, per dimostrare quale sia la separatezza di queste persone schive, ristrette nella loro scienza e al loro lavoro, prive di contatti e quindi di umane simpatie, al punto che perfino il più sensibile tra gli uomini del Palazzo, com’era certamente
Pertini, ne ignora i meriti e i torti subiti".


Come disse il fondatore di Intel, Andy Grove, "Only the paranoid survive", ma, talora, il costo può essere significativo.
 




 
 

lunedì 18 maggio 2015

Il mondo visto dal Salone Internazionale del libro di Torino: "Leggere non è solo ricchezza privata, è una ricchezza per la società, è antidoto all'appiattimento" (Mattarella, cit.)

Venerdì scorso sono andato col mio amico Leo al Salone del Libro di Torino. Un'esperienza da fare. Visto che i libri per me sono un oggetto erotico, è stata una gita di estremo piacere. Quando si prende in mano un libro ci si puo’ anche divertire molto, si ride, si piange e si é portati ad immaginare altri mondi, unici per ciascuno di noi.
Il libro non va messo in una teca, va vissuto, sottolineato, si possono scrivere note a margine, si devono poter ritrovare i passaggi che ci sono piaciuti di più a distanza di tempo.

Nel viaggio di andata sul FrecciaRossa ho trovato il tempo per leggere l'intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell'inaugurazione del Salone del Libro. Un passaggio in particolare mi ha colpito: "Leggere non è solo una ricchezza privata, destinata al singolo individuo. Leggere è una ricchezza per la società per il bene comune. E' un antidoto all'appiattimento, è ossigeno per le coscienze. La lettura non può essere ridotta a consolazione o semplice svago. E' semmai una porta sul mondo, che ci apre alla conoscenza di esperienze lontane, che ci mostra cose vicine che non avevamo notato, o capito, che ci fa comprendere le grandi potenzialità dell'umanità che ci circonda. Leggere ha a che fare con la libertà. E con la speranza".
Quando Mattarella ha detto che "Chi scrive un libro, lo fa perchè avverte valori da trasmettere", la mia mente è volata a tutte le idee, ai valori liberali e di integrità morale raccolti nel carteggio Baffi-Jemolo in cui mi sono cimentato con successo in "Anni del disincanto" (Aragno, 2014).

Il Presidente Mattarella ha colto l'occasione anche per dire che l'idea stessa di Europa va oltre il territorio, e implica una "visione dell'uomo de del mondo". Meno male che c'è qualcuno per cui l'Europa non è solo il rapporto deficit/pil e il Trattato di Stabilità: "Potremmo dire che l'Europa non esisterebbe senza i libri: senza il lavoro dei monaci non avremmo recuperato tanti testi dell'antichità, senza Gutenberg, non ci sarebbe stata la Riforma, senza le grandi biblioteche non ci sarebbe stata l'evoluzione del diritto, non ci sarebbe stato il pensiero moderno".

Hans Tuzzi, bibliofilo e scrittore di talento, inventore del commissario Norberto Melis, nell'attacco al "Mondo visto dai libri" (Skira, 2014) coglie il punto, il libro come risposta all'orrore e all'ignavia: "Quando, il 5 settembre 2013, a Mantova, Paola Italia disse che Gadda pubblicò L'Adalgisa anche come atto etico, esile gesto di civiltà contro la criminale barbarie della Guerra voluta da Hitler, qualcosa scatto nel mio cervello: vidi, nello scoscendere dei secoli, morti disastri e ferocie scatenati dal sonno della ragione, e, fra stragi e guerre, prepotenze e ingiustizie, fra incerti progressi e mai facili conquiste, l'Uomo, nudo, piccolo, spaurito, molteplice, confuso e talvolta inconsapevole debitore a quanti, appunto, mai tra ignavia e orrore ammainarono il vessillo dell'intelligenza, del raziocinio, della scienza, dell'arte".

I giovani leggono sempre meno. Speriamo nelle donne che leggono molto di più. Nel corso delle mie lezioni universitarie, a furia di citare libri da leggere, uno studente mi ha detto: "Prof., ma lei li ha letti tutti questi libri che cita? Sa, io leggo solo d'estate, perchè gli altri mesi non ho tempo". Io gli ho risposto che leggere è un antidoto all'atrofizzazione della mente e al conformismo imperante. I libri vanno letti anche in autunno, inverno e primavera, altrimenti finiamo - con le parole di Pif -  a credere che La mafia uccide solo d'estate.

venerdì 8 maggio 2015

La battaglia di Roger Abravanel per soft skills, migliore didattica, mobilità sociale #education #scuola

Roger Abravanel, dopo una lunga carriera in McKinsey, ha deciso di combattere una vera e propria battaglia a favore della meritocrazia, su cui abbiamo scritto spesso in passato.

In anni recenti Roger si è innamorato e ha avuto un altro figlio, che gli ha allungato la vita e lo ha invogliato a pensare e riflettere sui giovani e in particolare sull'education.

E' appena uscito in libreria La ricreazione e' finita. Scegliere la scuola, trovare il lavoro (Rizzoli, 2015), scritto da Abravanel insieme a Luca D'Agnese, manager dell'Enel. Il titolo rieccheggia l'infelice frase riferita da Alain Minc all'Ing. Carlo De Benedetti in occasione della fallita scalata ostile alla Societè Generale de Belgique nel 1988.

Il volume di focalizza sulle competenze, sul "saper fare" (non basta il "sapere" nel 2015) di cui i giovani sono sprovvisti, poichè la scuola è impostata male, su canoni ottocenteschi, non adeguati a un mondo del lavoro molto cambiato.
Abravanel insiste ogni piè sospinto sulle nuove competenze necessarie nella società post-industriale: saper lavorare in autonomia (anche il dipendente deve agire come un imprenditore), risolvere problemi, avere spirito critico, saper comunicare e lavorare in team. Se interrogate gli imprenditori, vi diranno che i nostri ragazzi queste "competenze di vita" non le hanno.

Beppe Severgnini, che ha recensito il volume sul Corriere della Sera, ha sostenuto in modo convinto che "l'università è un investimento in se stessi e resta l'ultimo grande frullatore sociale, capace di mescolare redditi, censo e geografia. Se si ferma, siamo spacciati". Ma l'università italiana è tutto tranne che un ascensore sociale.

L'universita' italiana non funziona, non prepara in modo adeguato i giovani. A parte eccezioni come la Bocconi, i politecnici di Milano e Torino, l'università di Trento, il resto del panorama universitario lascia a desiderare. Perchè? La colpa, secondo gli autori, è delle tante lauree inutili sfornate da mediocri atenei che da anni creano schiere di giovani disoccupati. Quando i giovani protestano invocando il "diritto allo studio", dovrebbero invece chiedere "diritto al lavoro", grazie a una scuola migliore.
Come i maestri - secondo un proverbio ebraico - bisogna andarseli a cercare, così bisogna fare con le scuole e l'università. Non bisogna essere pigri e scegliere quella sotto casa. E' opportuno invece darsi da fare per scoprire le ottime scuole e università che sono presenti anche in Italia. Come valutare le scuole? Per esempio su www.eduscopio.it, ottimo sito web con analisi e valutazioni sulle scuole fornite dalla Fondazione Agnelli, guidata dall'ottimo Andrea Gavosto.
  
Quando gli autori tifano per una maggiore mobilità sociale basata sull'eguaglianza delle condizioni di partenza non fanno che riproporre in altri termini le teorie di Luigi Einaudi, ministro del Bilancio del dopoguerra, governatore della Banca d'Italia dal 1945 al 1948 e poi Presidente della Repubblica.

Luigi Einaudi
Einaudi nelle "Lezioni di politica sociale (Einaudi, 1949) discutendo della possibilità di un reddito minimo nazionale per i più' svantaggiati o i più colpiti dalle contingenze della vita o del lavoro, mette subito le mani avanti avvertendo come "bisogna cercare di stare lontani dell'estremo pericolosissimo dell'incoraggiamento all'ozio". Conta garantire l'eguaglianza delle condizioni di partenza, non di arrivo: "Una assicurazione data a tutti gli uomini perchè possano sviluppare le loro attitudini", affinchè emergano "studiosi e inventori che oggi ne hanno la possibilita'". L'uomo deve faticare, fin dai tempi di Adamo ed Eva, ammonisce Einaudi: "In perpetuo durerà la legge per cui gli uomini sono costretti a strappare col lavoro alla terra avara i beni di cui essa è feconda".
Chiudo invitando alla lettura completa del volume di Abravanel e D'Agnese. Purtroppo siccome l'italiano non legge, si perpetuerà il sistema ben delineato dagli autori per cui le famiglie acculturate, cittadine del mondo, consapevoli del valore dell'impegno, dello studio, della necessità di conoscenze orizzontali e verticali (ne riparleremo), di soft skills, manderanno i loro figli nelle università migliori. E i ceti popolari, che si nutrono di panem et circences (Berlusconi aveva capito tutto!), staranno attaccati alla tv così da privare i loro figli di un futuro migliore.
 
Giorgio Ambrosoli
P.S.: una critica: nel volume si cita una battuta di Giulio Andreotti sulla numerosità eccessiva degli student "fuori corso" nelle università italiane. Ecco, evitiamo di citare figure da cui i giovani hanno ben poco da imparare. Un politico che ha basato la sua carriera su accordi con la mafia, sull'appoggio della corrente siciliana guidata dal mafioso Salvo Lima - che sostenne a piè sospinto il "sacco di Palermo" guidato dal sindaco democristiano corrotto Vito Ciancimino - colui che definì il bancarottiere Michele Sindona "salvatore della lira", colui che delineò l'avvocato Giorgio Ambrosoli come uno "che se l'andava cercando", non merita di essere citato neanche una volta.

lunedì 4 maggio 2015

Diamo un taglio all'assenteismo nel pubblico impiego

Tre settimane fa, dopo aver corso domenica 10 km di maratona lunedì mattina, nonostante l'acido lattico nelle gambe, puntuale, alle 8 del mattino mi sono presentato in piscina al Leone XIII dove compio la mia ora di nuoto seguito dal mitico Mario Botto, sempiterno coach di grandi e piccini picciò.

Appena entrato nella hall per chiedere la chiave dell'armadietto, scambio una battuta con Alberto, e gli dico: "Sono venuto lo stesso anche se ieri ho fatto un pezzo di maratona. Non sono mica un dipendente pubblico!", e ho sorriso. Non l'avessi mai fatto! Una signora dietro di me mi ha subito redarguito, dicendomi che lei lavora nel pubblico impiego e subito dopo nuoto sarebbe andata regolarmente in ufficio. Io non ce l'avevo certo con tutti i dipendenti pubblici, ma con coloro che approfittano di uno Stato Mamma per fare quello che vogliono. Con una madre insegnante non posso essere contro coloro che lavorano nella PA (peraltro i racconti di mia mamma sulle assenze dei suoi colleghi corroborano la mia opinione).

Dopo questo scambio di battute, mi sono ripromesso  di scrivere un post documentato sull'assenteismo nel settore pubblico. Partiamo dai numeri. Secondo i dati forniti di recente dal Centro Studi di Confindustria nel pubblico le assenze dei dipendenti sono doppie rispetto al settore privato. Se si riportasse l'assenteismo sulle medie del privato, il risparmio sarebbe di 3,7 miliardi l'anno: "Dai dati del Conto annuale della Ragioneria dello Stato si evince che nel settore pubblico nel 2013 ai 10 giorni di assenza pro capite per malattia se ne sono aggiunti 9 di assenze retribuite. Un assenteismo del 46,3% più alto dei 13 giorni di assenze retribuite rilevate dall’indagine di Confindustria per gli impiegati nelle aziende con oltre 100 addetti (il gruppo più comparabile al pubblico impiego)".


Aggiungo due notizie tratte dai giornali delle ultime settimane:
1) Roma, i primatisti dell'assenteismo licenziati dopo 900 giorni di malattia. Quattro autisti Atac hanno accumulato negli ultimi tre anni in totale 900 giorni di assenza. Uno in particolare dal 2013 al 2015 ha dato forfeit in 403 occasioni. C'è stato bisogno di ricorrere al Regio Decreto 148/31 per procedere al licenziamento. Che sicuramente sarà appellato e con buona probabilità i 4 dell'apocalisse saranno reintegrati. Alla faccia di chi aspetta l'autobus a Roma.

2) Il sindaco di Locri invoca Gesù per limitare le assenze dei dipendenti comunali: Giovanni Calabrese ha scritto una lettera, con tanto di intestazione ufficiale, niente meno che a Gesù Cristo. Il primo cittadino «manifesta la sua disapprovazione e lo sconforto per le continue e ripetute condotte di alcuni dipendenti comunali che immobilizzano l’apparato burocratico e si comportano in maniera poco corretta e anomala sul posto di lavoro, tralasciando il senso del dovere e lo stesso rispetto del lavoro e dei colleghi, nonché della parte politica che governa la Città».

Nella lettera, il sindaco Calabrese racconta ad esempio dell’elettricista comunale che «non poteva sostituire le lampadine perché non c’erano soldi per comprarle e dovevano provvedere i cittadini. Grazie a qualche buon amico sono riuscito ad avere quindicimila lampadine gratuitamente, ma non mi sembra che niente sia cambiato. Le lampadine sono tutte stipate in un deposito, molte zone della città continuano a rimanere al buio e l’elettricista continua ad essere uccel di bosco». Altro rilievo alla polizia municipale: «In circa otto mesi sono state elevate meno di 400 sanzioni stradali in una città in cui regna l’anarchia stradale e l’altro giorno sono stati bravissimi nell’ostacolare il percorso della Madonna Immacolata nostra reverendissima patrona».

Giuseppe Di Vittorio, sindacalista e politico
Un tempo il sindacato difendeva i lavoratori. Consiglio di leggere il profilo di Giuseppe di Vittorio, leader della CGIL dal 1945 al 1957 scritto dallo storico Piero Craveri sul Dizionario Biografico degli italiani della Enciclopedia Treccani. Nella biografia emerge la battaglia compiuta da Di Vittorio per concedere ai lavoratori senza diritti, ai braccianti, delle condizioni di lavoro degne, quando i soprusi e gli orari sovrumani erano la normalità.
Oggi i sindacati spesso tutelano i fannulloni, i nullafacenti, chi non va a lavorare, chi è irresponsabile o miope. Ha perfettamente ragione il giurista Pietro Ichino quando sostiene: "Da una parte c'è l'interesse dei nullafacenti a continuare a godere della rendita che finora è stata loro assicurata; dall'altra c'è l'interesse della maggioranza dei lavoratori pubblici—quelli veri—a una retribuzione adeguata, l'interesse dei precari a uscire dall'apartheid cui sono stati finora condannati, l'interesse della collettività a non veder tagliare gli investimenti necessari per lo sviluppo economico del Paese. In questo conflitto di interessi i sindacalisti del settore pubblico da che parte stanno?"

martedì 28 aprile 2015

Perchè l'uomo corre? Da cosa intende fuggire? Correre è guardare gli altri e capire che siamo tutti uniti nello stesso casuale destino

Piccone in dirittura d'arrivo sotto caldo bestiale
Insieme a 3 miei colleghi, il 14 aprile scorso ho partecipato alla MilanMarathon, 42 km da correre a squadre, dove ognuno corre la sua parte di circa 10 km. A me è toccata l'ultima frazione, da Via Alcide de Gasperi all'imbocco delle autostrade a Porta Venezia, dove si gira in via Palestro per il rettilineo finale.

Il caldo ha contrassegnato la competizione. Sembrava di essere d'estate. Io, nonostante mi fossi rifocillato costantemente durante il percorso, sono arrivato asciutto all'arrivo. E senza più risorse. L'allenamento serale alla montagnetta di San Siro è cosa ben diversa dal correre tra l'una e le due sotto il sole cocente.

Nei giorni successivi mia moglie mi ha chiesto: "Ma chi te lo ha fatto fare! Perchè la gente corre?". Io mi sono rivolto allora al mio amico Leo, grande runner, il quale mi ha inviato una risposta meritevole di essere letta per intero:  
 
"Caro Benji, a me piace traspirare copiosamente in compagnia e condividere la sofferenza insieme al genere umano che io amo.

Qui sotto quello che scrissi dopo la Maratona di Stoccolma del giugno 2013.

Rileggendo quello che ho scritto mi accorgo che certe sensazioni sono state cosi' intense che ancora adesso tornano ad affiorare e mi provocano una profonda emozione.

Ecco forse é questa profonda emozione che mi spinge a correre nel modo strampalato e poco organizzato in cui lo faccio!

STOCCOLMA 2013

Correre la maratona é dimostrare di far parte del genere umano, condividere i gesti, le paure, le inquietudini e le speranze.

Leo all'arrivo della Maratona di Stoccolma
E' cercare l'armonia insieme agli altri e degli altri, esorcizzare i timori con un gesto universale.

E' dimostrare che si può controllare lo spazio fisico del mondo, percorrerlo sino a non avere più forze.

E' finire la lunga corsa e sentire da subito il bisogno di correrne un'altra perché questo mondo é grande e noi siamo piccolo.

E' tanto simile alla vita questa corsa, le nuvole lasciano il posto al sole, il sole alla pioggia, il ciccione al magro, il caracollante al super allenato, la banana al cetriolo.

E' guardare gli altri e capire che siam tutti uniti nello stesso casuale destino.

E' farlo con un amico che resterà sempre nella memoria perché anche se corre molto più veloce di te ti ha accompagnato in un percorso unico e irripetibile.

E' continuar parossistico a far pipì prima della partenza perché non si riesce a trattenere l'emozione.

E' l'uso smodato di vasellina del mio amico Ico.

E' tenere in mano un cetriolo sotto la pioggia al 35esimo chilometro

E' un arrivo leggendario in uno stadio che gronda di pioggia e di storia.

E' il sorriso pieno di grande gioia di Francesca, Lollo e Franci al mio ingresso nello stadio olimpico di Stoccolma

E' un bambino dolcissimo che mi rimuove con estrema cura e gentilezza il chip dalla scarpa facendo attenzione di non farmi male ai piedi.

E' una serie interminabile di culi e lamenti che vedo e sento entrando nella dressing room dei maschi alla fine della corsa

E' un ritorno dolente ma con gioia straripante a Stureby insieme ad altre quindicimila persone

E' parlare con tutti della magica esperienza passata

Continua dolce a farsi spazio nella memoria questo sofferente viaggio svedese".
 
Benji, Silvia, Massimo e Andrea, team Magica Cleme
Nei giorni successivi alla staffetta della Milan-Marathon ho pensato che la fatica condivisa, la sofferenza della salita al Portello sotto il sole, la linea del traguardo che non arrivava mai, siano stati tutti segnali diretti a prendere consapevolezza del terribile "mestiere di vivere", così ben raccontato da Cesare Pavese.
I giorni seguenti ha voluto dire la sua anche Mario Draghi, allievo di Federico Caffè e profondo estimatore di Paolo Baffi, il quale, a fronte di quesiti sull'opportunità di ridurre i volumi del QE in vista della ripresa, ha risposto: "E' come se un maratoneta chiedesse dopo 1 km se la corsa è finita". Grande #SuperMario.
 

 

martedì 21 aprile 2015

Siamo nell'epoca di "winner takes it all": l'unica arma di difesa è studiare e approfondire, saperne di più degli altri

Siamo entrati da alcuni anni nell'epoca del "Winner takes it all", come cantavano gli Abba nel 1980.

Come si fa ad difendersi, ad essere pronti per questa profonda trasformazione del mondo, dove l'1% per cento della popolazione si prende la gran fetta della torta del reddito e della ricchezza - fenomeno ben descritto dallo storico Thomas Piketty in Il capitale nel XXI secolo, (Bompiani, 2014)?

Studiare duramente, cari miei, è l'unica alternativa possibile. Sta sparendo la classe media, I migliori, I talenti, si prendono gran parte della torta. A chi non ha studiato, toccano lavori sottopagati o la disoccupazione. Come reassume efficamente Tyler Cowen, "Average is over".

Qualche settimana fa il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco è intervenuto nel dibattito sulla storia dell'IRI. Uno dei passaggi significativi recita: "Si indica spesso come causa della difficoltà di un ritorno alla crescita della nostra economia, accentuatasi con la crisi finanziaria, la specializzazione settoriale, sbilanciata verso produzioni tradizionali e a basso contenuto tecnologico. Ma sono soprattutto le carenze nella capacità di innovare, di utilizzare nuove tecnologie e occupare una forza lavoro dotata di nuove competenze che ci devono oggi preoccupare. È probabile che queste stesse carenze siano alla base di molte rigidità nella struttura produttiva. La ridotta, spesso ridottissima, dimensione delle nostre imprese, nell’industria come nei servizi, e soprattutto la loro tendenza a restare tali e non
crescere, costituisce un fondamentale fattore della debolezza della loro capacità innovative".

Sulla stessa linea l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi sul Messaggero: "La richiesta di nuova mano d'opera si concentra nelle imprese con un'elevata propensione all'esportazione che, in molti casi, hanno difficoltà a trovare nel mercato del lavoro le specializzazioni di cui hanno bisogno. Anche in presenza dei dati terrificanti sulla disoccupazione è oggi difficile trovare gli addetti capaci di fare funzionare le moderne macchine utensili e gli specialisti nel controllo della qualità, nella manutenzione, nella digitalizzazione e anche personale preparato per affrontare i nuovi mercati, spesso lontani e con caratteristiche diverse da quelli tradizionali.

Emerge cioè evidente la disfunzione tra il nostro sistema scolastico e le necessità del sistema produttivo. Quando si era prospettata la riforma dell'Università si era pensato che il diploma triennale dovesse, almeno in parte, venire incontro alle necessità di specializzazione del nuovo mercato del lavoro ma questo progetto è stato poi distorto da improvvide misure legislative e dalle resistenze accademiche. I corsi triennali, esclusa la parziale eccezione del settore sanitario, sono quindi diventati semplicemente preparatori alla laurea magistrale. Il risultato è che manca la mano d'opera qualificata per le imprese e i nostri laureati sono obbligati ad emigrare. Come ultimo punto bisogna osservare che la rivoluzione digitale, mentre apre le porte ad una limitata quantità di specialisti, le chiude ad un enorme numero di lavoratori non specializzati".


L'ex presidente della Commissione Europea ha ragione. Anche con la ripresa incipiente, la disoccupazione in Italia farà fatica a scendere se non miglioriamo il matching tra domanda e offerta di lavoro. Solo una preparazione scolastica mirata e un incessante processo di aggiornamento della mano d'opera può tradursi in maggiori opportunità di lavoro.
Altrimenti "the winner takes it all", come cantavano gli ABBA.

lunedì 13 aprile 2015

Che emozione presentare il mio volume su Baffi e Jemolo alla Camera dei Deputati

B. Piccone nella Sala del Refettorio a Palazzo San Macuto
Nella bellissima cornice della Sala del Refettorio all'interno di Palazzo San Macuto - dove per anni si è riunita la Commissione Stragi, guidata dal quel galantuomo di Libero Gualtieri - il 30 marzo scorso ho presentato il volume di Paolo Baffi e Arturo Carlo Jemolo Anni del disincanto (Aragno Editore, 2014).

Questi i relatori che hanno accettato il mio invito alla Camera dei Deputati:
- Mauro Campus, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università di Firenze;
- Giampaolo Galli, economista e membro della commissione Bilancio della Camera;
- Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d'Italia.


Andreotti con Licio Gelli, capo della P2 
Lo storico Campus ha spiegato con dovizia che il volume sembra rivolto a specialisti, ma così non è. La sua valenza è maggiore. In seguito ha concentrato il suo intervento sulla storia dell'ingresso della lira nel Sistema Monetario Europeo. Nel carteggio Otmar Emminger, presidente della Bundesbank e Paolo Baffi si evince la forte stima presente tra i due. Anche grazie a questi rapporti, Baffi riuscì a convincere i tedeschi della necessità per l'Italia della banda larga (del 6%) diversa da quella tra le valute degli altri Paesi europei (2,25%). Campus ha potuto accedere anche all'archivio di Giulio Andreotti. Chissà in futuro se ci potrà rilevare qualcosa di succoso!

L'intervento di Giampaolo Galli lo possiamo suddividere in due: la prima di ricordi sulla sua amicizia con Baffi: "Fui assunto in Banca d’Italia nel 1978, quando Baffi era ancora Governatore. Ma l’allora Direttore Generale, Carlo Azeglio Ciampi, mi consentì di terminare il dottorato a MIT fino a tutto l’anno accademico 1979-80. Presi quindi servizio effettivo nel settembre del 1980, quando Baffi aveva già dato le dimissioni a seguito dalla orrenda vicenda che lo vide incriminato assieme a Mario Sarcinelli. Nel giro di poco tempo Baffi cominciò a chiamarmi e voleva spesso che fossi al suo fianco, per nessun particolare motivo. Per parlare. Io ero un giovane di 30 anni fresco di studi americani, avevo studiato e fatto ricerca con persone che a Baffi erano ben note (Franco Modigliani, Paul Samuelson, Robert Solow, Evsey Domar, quello del modello Harrod - Domar ). Baffi era curioso di capire come io vedessi il mondo".

Successivamente Galli ha analizzato con spessore il volume "Anni del disincanto", citando i passaggi che più lo hanno colpito. In particolare questo - che piace anche a me: "Il 31 dicembre 1969 Baffi aveva scritto a Jemolo il discorso immaginario dello Stato ad un risparmiatore:  “Se, impedito o dissuaso in ogni altra direzione,  affiderai il tuo peculio a una banca (…) io settore pubblico provvederò a dissiparlo, appropriandomene per finanziare disavanzi correnti dei vari enti in cui mi impersono: stato, comuni, regioni, istituti assistenziali, aziende municipalizzate e di stato; identico a me stesso solo e sempre nella mala amministrazione” (p. 15). E questo - afferma Baffi - lo direi dal “mio posto di partecipazione al governo e allo sgoverno della cosiddetta intermediazione finanziaria”.

Quale governo avrà il coraggio di tagliare la spesa pubblica e affrontare con il dovuto rigore il taglio della spesa corrente?  

Salvatore Rossi è stato colpito dall'"arguzia del curatore, che mescola molti talenti". Faccio veramente fatica a contenere la mia emozione. Non è cosa di tutti i giorni ricevere i complimenti del dg di Bankitalia.
Rossi coglie il punto nei suoi commenti incisivi al volume. Spiega come il carteggio Baffi-Jemolo occupi poco spazio, in termini relativi. Il vero valore del libro sta nella ricchezza dei riferimenti e nell'analisi dei diversi corrispondenti di Paolo Baffi, che rispondeva a tutti e intratteneva rapporti con più di 300 persone (Einaudi, Menichella, Calamandrei, Bocca, Gorresio, Scalfari, Zappulli, tra i tanti).

Salvatore Rossi, dg Banca d'Italia
Tocca a me. Trattengo il fiato. Un fiume in piena. Sono tante e troppe le cose che voglio dire. Ringrazio la Banca d'Italia tutta che mi ha supportato in questi anni, in particolare Alfredo Gigliobianco, capo della Ricerca Storica, e l'Archivio Storico della Banca d'Italia (ASBI), guidato da Alberto Baffigi.

Credo valga la pena ricordare - visto che ci troviamo in Parlamento - che la politica non ritenne di concedere a Baffi il seggio di Senatore a vita. Fu una colpa grave.



Luigi Spaventa

I rapporti di Baffi con la politica non furono certo facili. In un esplicativo articolo su Repubblica il 7 aprile 1990, dal titolo “Fu troppo onesto per piacere ai politici", Luigi Spaventa sprizzò indignazione nei confronti del presidente del consiglio Giulio Andreotti, capo del governo, allora, come nel fatale 1979. Spaventa riferiva che un mese prima Andreotti aveva ricordato Baffi “in modo singolare e nella singolare occasione della commemorazione di Sandro Pertini davanti alle Camere riunite. Andreotti legge 52 righe smilze dove sei riguardavano Baffi. Opportuno citarle così da far riflettere coloro che rimpiangono la prima Repubblica:

“L’intransigenza verso la dittatura fu la nota determinante del comportamento di Pertini. A chi gli proponeva, per il senato a vita, un illustre bancario ineccepibile sotti tutti gli aspetti, Pertini rispose: ”Non era con me quando lottavamo contro il fascismo”. E scelse Camilla Ravera”.
Dare del bancario a Paolo Baffi era un insulto alla memoria dell’uomo.
Sandro Pertini, presidente sopravvalutato

Anche Eugenio Scalfari, commentò la freddezza di Pertini con amarezza sentendo “quale sia la separatezza di queste persone schive ristrette nella loro scienza e al loro lavoro, prive di contatti e quindi di umane simpatie, al punto che perfino il più sensibile tra gli uomini del Palazzo, com’era certamente Pertini, ne ignora i meriti e i torti subiti".


Nel febbraio 1986, Mario Monti e Riccardo Franco Levi chiedero - dalle colonne del Corriere della Sera – al presidente Cossiga di nominare Baffi senatore a vita. La nomina poteva apparire un risarcimento dello Stato al governatore che aveva fatto muro contro le trame P2-Caltagirone-Sindona-Calvi. Ma anche questa volta il presidente rifiutò. Io scrivo: “Tra Baffi e Cossiga c’era un’eccessiva differenza nella concezione delle istituzioni”.
Lunghi applausi poi lascio la parola al prof. Lorenzo Infantino della LUISS che succintamente ricorda come il saggio di Paolo Baffi "Via Nazionale e gli economisti stranieri (1944-1953)" sia una fonte continua di riflessioni.
Io e Giuseppina Baffi ci abbracciamo, consapevoli che l'incontro è riuscito. Viene a salutarmi anche Andrea Jemolo, nipote di AC Jemolo, che si congratula per la qualità degli interventi. Anche Enrico e Alessandra Baffi vengono verso di me felici, riconoscenti nei miei confronti per aver riportato all'attenzione degli italiani un galantuomo di una competenza fuori dal comune, un fuoriclasse che porta il nome di Paolo Baffi.

martedì 7 aprile 2015

C'erano una volta i grandi banchieri: Raffaele Mattioli e Siegmund Warburg

L'agenda di Raffaele Mattioli del 9 marzo 1949
Qualche tempo fa, al termine della lezione in università - insegno Sistema finanziario alla Carlo Cattaneo-LIUC di Castellanza - uno studente mi ha chiesto un parere sullo standing dei banchieri di oggi.

Gli ho consigliato andare su Faust e il Governatore e leggere il mio post su Sigmund Warburg, banchiere inglese vissuto nel '900.

Lo storico Niall Ferguson ha scritto un libro meraviglioso su WarburgHigh Financier. The lives and time of Siegmund Warburg (Penguin Press, 2010). Vi consiglio di leggerlo. Mentre in Inghilterra si può prendere a riferimento Warburg, visto che i banchieri attuali lasciano a desiderare, in Italia si può e si deve far riferimento a Raffaele Mattioli.

Settimana scorsa ho partecipato alla presentazione delle Carte Mattioli (1948-1972), che l'Archivio storico di Intesa SanPaolo - ottimamente guidato da Francesca Pino - ha reso disponibili in rete.
Raffaele Mattioli è stato forse il più grande banchiere italiano. Ha guidato la Banca Commerciale dal 1933 al 1972, prima come amministratore delegato, poi come presidente.

E' significativo ricordare che la politica pose fine alla carriera di Mattioli nominando (la Commerciale era una delle Bin, banche di interesse nazionale, quindi controllata dall'Iri) il piduista Gaetano Stammati, espressione di quel mondo democristiano complice dell'attacco golpista alla Banca d'Italia di Paolo Baffi nel 1979 (per approfondimenti si rimanda ai numerosi post di questo blog).

Povero Baffi! Nei carteggi che ho analizzato, curati con grande cura dall'Archivio storico della Banca d'Italia (ASBI), Baffi si fidava di Stammati. Che tradimento intellettuale e morale!

Nel volume di Ferguson mi colpì il racconto della giornata del banchiere d'affari Warburg: "“Mr Warburg himself spent, every day, at least eight hours in meetings, four hours with visitors, three hours at three different lunches, three hours in entertaining colleagues and business friends over dinner, two hours dictating letters, one hour reading letters, four hours in one aeroplane or another, altogether 25 hours on a conservative basis” (p. 237).
 
Nel volume di F. Pino e F. Gaido sulle Carte Mattioli (1946-1972) - il volume Raffaele Mattioli: documenti  e fotografie della maturità è edito da Hoepli - c'è una riproduzione significativa dell'agenda di incontri giornaliera di Mattioli. Ogni giorno, come per Warburg, gli appuntamenti si susseguono fittissimi.

Qui sopra potete vedere come anche in tarda serata fanno visita a Mattioli Bombieri, Cuccia, Tino, Solmi.

Vogliamo paragonare Mattioli e Warburg con i banchieri di oggi? Nel 2008 mentre la sua banca crollava, il banchiere alla guida di Bear Stearns, James Cayne,  era irreperibile perchè impegnato sui campi di golf e sui tavoli di bridge.

Da "banchiere umanista", Mattioli incontrava non solo uomini di banca ma anche letterati, poeti, storici con cui poi proseguiva la serata nella sua casa di Via Bigli, salotto illuminista, come racconta Riccardo Bacchelli nelle "Notti di via Bigli".

Come ha scritto lo storico Sandro Gerbi nel suo recente intervento (e sulla stessa linea la docente Daniela Felisini), Mattioli insisteva tutti gli anni con i suoi referenti dell'Iri per aumentare il capitale sociale della Commerciale, così da tenere il passo con la crescita dei competitor europei. Cosi non fu: l'Iri preferì destinare i fondi di dotazione alla Finsider e alle altre partecipazioni statali, costringendo la Comit all'impossibilità di crescere. Mentre negli anni Cinquanta la Banca Commerciale e la Bnl erano più grandi della Deutsche Bank, oggi i rapporti sono invertiti e la gloriosa Commerciale è stata assorbita da Intesa SanPaolo che ha fatto sparire il marchio BCI, un tempo orgoglio dell'Italia nel mondo.


Frick Collection - New York
Come il "robber baron" Henry Clay Frick ha lasciato a New York una collezione di quadri di prim'ordine - è un must la visita alla Frick Collection - così, si può ipotizzare, Giovanni Bazoli, per redimere la cancellazione del marchio BCI, ha investito risorse della banca affinchè l'Archivio storico sia una fonte documentale per tutti noi. Good job.
 
P.S.: per approfondimenti si rimanda a S. Gerbi, Raffaele Mattioli e il filosofo domato (Einaudi, 2002), S. Gerbi, Mattioli e Cuccia, due banchieri del Novecento (Einaudi, 2011), G. Malagodi, Profilo di Raffaele Mattioli (Aragno, 2010); G. Rodano, Il credito all'economia. Raffaele Mattioli alla Banca Commerciale Italiana, (Ricciardi, 1983 ).www.hoepli.it