lunedì 4 maggio 2015

Diamo un taglio all'assenteismo nel pubblico impiego

Tre settimane fa, dopo aver corso domenica 10 km di maratona lunedì mattina, nonostante l'acido lattico nelle gambe, puntuale, alle 8 del mattino mi sono presentato in piscina al Leone XIII dove compio la mia ora di nuoto seguito dal mitico Mario Botto, sempiterno coach di grandi e piccini picciò.

Appena entrato nella hall per chiedere la chiave dell'armadietto, scambio una battuta con Alberto, e gli dico: "Sono venuto lo stesso anche se ieri ho fatto un pezzo di maratona. Non sono mica un dipendente pubblico!", e ho sorriso. Non l'avessi mai fatto! Una signora dietro di me mi ha subito redarguito, dicendomi che lei lavora nel pubblico impiego e subito dopo nuoto sarebbe andata regolarmente in ufficio. Io non ce l'avevo certo con tutti i dipendenti pubblici, ma con coloro che approfittano di uno Stato Mamma per fare quello che vogliono. Con una madre insegnante non posso essere contro coloro che lavorano nella PA (peraltro i racconti di mia mamma sulle assenze dei suoi colleghi corroborano la mia opinione).

Dopo questo scambio di battute, mi sono ripromesso  di scrivere un post documentato sull'assenteismo nel settore pubblico. Partiamo dai numeri. Secondo i dati forniti di recente dal Centro Studi di Confindustria nel pubblico le assenze dei dipendenti sono doppie rispetto al settore privato. Se si riportasse l'assenteismo sulle medie del privato, il risparmio sarebbe di 3,7 miliardi l'anno: "Dai dati del Conto annuale della Ragioneria dello Stato si evince che nel settore pubblico nel 2013 ai 10 giorni di assenza pro capite per malattia se ne sono aggiunti 9 di assenze retribuite. Un assenteismo del 46,3% più alto dei 13 giorni di assenze retribuite rilevate dall’indagine di Confindustria per gli impiegati nelle aziende con oltre 100 addetti (il gruppo più comparabile al pubblico impiego)".


Aggiungo due notizie tratte dai giornali delle ultime settimane:
1) Roma, i primatisti dell'assenteismo licenziati dopo 900 giorni di malattia. Quattro autisti Atac hanno accumulato negli ultimi tre anni in totale 900 giorni di assenza. Uno in particolare dal 2013 al 2015 ha dato forfeit in 403 occasioni. C'è stato bisogno di ricorrere al Regio Decreto 148/31 per procedere al licenziamento. Che sicuramente sarà appellato e con buona probabilità i 4 dell'apocalisse saranno reintegrati. Alla faccia di chi aspetta l'autobus a Roma.

2) Il sindaco di Locri invoca Gesù per limitare le assenze dei dipendenti comunali: Giovanni Calabrese ha scritto una lettera, con tanto di intestazione ufficiale, niente meno che a Gesù Cristo. Il primo cittadino «manifesta la sua disapprovazione e lo sconforto per le continue e ripetute condotte di alcuni dipendenti comunali che immobilizzano l’apparato burocratico e si comportano in maniera poco corretta e anomala sul posto di lavoro, tralasciando il senso del dovere e lo stesso rispetto del lavoro e dei colleghi, nonché della parte politica che governa la Città».

Nella lettera, il sindaco Calabrese racconta ad esempio dell’elettricista comunale che «non poteva sostituire le lampadine perché non c’erano soldi per comprarle e dovevano provvedere i cittadini. Grazie a qualche buon amico sono riuscito ad avere quindicimila lampadine gratuitamente, ma non mi sembra che niente sia cambiato. Le lampadine sono tutte stipate in un deposito, molte zone della città continuano a rimanere al buio e l’elettricista continua ad essere uccel di bosco». Altro rilievo alla polizia municipale: «In circa otto mesi sono state elevate meno di 400 sanzioni stradali in una città in cui regna l’anarchia stradale e l’altro giorno sono stati bravissimi nell’ostacolare il percorso della Madonna Immacolata nostra reverendissima patrona».

Giuseppe Di Vittorio, sindacalista e politico
Un tempo il sindacato difendeva i lavoratori. Consiglio di leggere il profilo di Giuseppe di Vittorio, leader della CGIL dal 1945 al 1957 scritto dallo storico Piero Craveri sul Dizionario Biografico degli italiani della Enciclopedia Treccani. Nella biografia emerge la battaglia compiuta da Di Vittorio per concedere ai lavoratori senza diritti, ai braccianti, delle condizioni di lavoro degne, quando i soprusi e gli orari sovrumani erano la normalità.
Oggi i sindacati spesso tutelano i fannulloni, i nullafacenti, chi non va a lavorare, chi è irresponsabile o miope. Ha perfettamente ragione il giurista Pietro Ichino quando sostiene: "Da una parte c'è l'interesse dei nullafacenti a continuare a godere della rendita che finora è stata loro assicurata; dall'altra c'è l'interesse della maggioranza dei lavoratori pubblici—quelli veri—a una retribuzione adeguata, l'interesse dei precari a uscire dall'apartheid cui sono stati finora condannati, l'interesse della collettività a non veder tagliare gli investimenti necessari per lo sviluppo economico del Paese. In questo conflitto di interessi i sindacalisti del settore pubblico da che parte stanno?"

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