Siamo entrati da alcuni anni nell'epoca del "Winner takes it all", come cantavano gli Abba nel 1980.
Come si fa ad difendersi, ad essere pronti per questa profonda trasformazione del mondo, dove l'1% per cento della popolazione si prende la gran fetta della torta del reddito e della ricchezza - fenomeno ben descritto dallo storico Thomas Piketty in Il capitale nel XXI secolo, (Bompiani, 2014)?
Studiare duramente, cari miei, è l'unica alternativa possibile. Sta sparendo la classe media, I migliori, I talenti, si prendono gran parte della torta. A chi non ha studiato, toccano lavori sottopagati o la disoccupazione. Come reassume efficamente Tyler Cowen, "Average is over".
Qualche settimana fa il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco è intervenuto nel dibattito sulla storia dell'IRI. Uno dei passaggi significativi recita: "Si indica spesso come causa della difficoltà di un ritorno alla crescita della nostra economia, accentuatasi con la crisi finanziaria, la specializzazione settoriale, sbilanciata verso produzioni tradizionali e a basso contenuto tecnologico. Ma sono soprattutto le carenze nella capacità di innovare, di utilizzare nuove tecnologie e occupare una forza lavoro dotata di nuove competenze che ci devono oggi preoccupare. È probabile che queste stesse carenze siano alla base di molte rigidità nella struttura produttiva. La ridotta, spesso ridottissima, dimensione delle nostre imprese, nell’industria come nei servizi, e soprattutto la loro tendenza a restare tali e non
crescere, costituisce un fondamentale fattore della debolezza della loro capacità innovative".
Sulla stessa linea l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi sul Messaggero: "La richiesta di nuova mano d'opera si concentra nelle imprese con un'elevata propensione all'esportazione che, in molti casi, hanno difficoltà a trovare nel mercato del lavoro le specializzazioni di cui hanno bisogno. Anche in presenza dei dati terrificanti sulla disoccupazione è oggi difficile trovare gli addetti capaci di fare funzionare le moderne macchine utensili e gli specialisti nel controllo della qualità, nella manutenzione, nella digitalizzazione e anche personale preparato per affrontare i nuovi mercati, spesso lontani e con caratteristiche diverse da quelli tradizionali.
Emerge cioè evidente la disfunzione tra il nostro sistema scolastico e le necessità del sistema produttivo. Quando si era prospettata la riforma dell'Università si era pensato che il diploma triennale dovesse, almeno in parte, venire incontro alle necessità di specializzazione del nuovo mercato del lavoro ma questo progetto è stato poi distorto da improvvide misure legislative e dalle resistenze accademiche. I corsi triennali, esclusa la parziale eccezione del settore sanitario, sono quindi diventati semplicemente preparatori alla laurea magistrale. Il risultato è che manca la mano d'opera qualificata per le imprese e i nostri laureati sono obbligati ad emigrare. Come ultimo punto bisogna osservare che la rivoluzione digitale, mentre apre le porte ad una limitata quantità di specialisti, le chiude ad un enorme numero di lavoratori non specializzati".
L'ex presidente della Commissione Europea ha ragione. Anche con la ripresa incipiente, la disoccupazione in Italia farà fatica a scendere se non miglioriamo il matching tra domanda e offerta di lavoro. Solo una preparazione scolastica mirata e un incessante processo di aggiornamento della mano d'opera può tradursi in maggiori opportunità di lavoro.
Altrimenti "the winner takes it all", come cantavano gli ABBA.
Nel fare pulizia sulla scrivania, ho trovato un'intervista del 7 settembre 2014 a Pharrel Williams, "uno degli artisti più seguiti del momento" e cosa dice: "Ragazzi, studiate! La vita è una ricerca continua. Penso che la fine arrive quando si smette di indagare".
RispondiEliminaNon so se ha pubblicato quindi riscrivo...
RispondiEliminaBenia leggiti l'interessantissimo report di IRPFI (http://www.ifpri.org/publication/2014-2015-global-food-policy-report) che sull'agricoltura ha il coraggio di dichiarare "way up or way out"!
Un attimo, c'è un problema gigantesco di allocazione delle risorse e di disincentivo agli investimenti. Investire in Italia è nonsense per un sacco di motivi che conosciamo tutti piuttosto bene. E non è una cosa recente, va avanti da decenni e pochi si rendono conto che le strette fiscali hanno avuto una accelerazione proprio contestualmente alla rivoluzione IT (che in Italia non si è vista ancora oggi), distogliendo risorse.
RispondiEliminaSenza investimenti (non solo in IT, ovviamente), senza HR (non inventiamoci favole, le risorse umane in Italia sono di scarso livello e la capacità di attrarre talenti dall'estero è inesistente perché i salari non sono competitivi), senza un moderno sistema finanziario (bancocentrismo), insomma, senza una infrastruttura di base minima per essere competitivi non si può pretendere che le cose vadano diversamente.
BTW, investire in educazione è assolutamente necessario, ma tenete presente che nel quadro attuale significa finanziare competenze che poi andranno inevitabilmente via.
Perché il mercato del lavoro per le competenze elevate è globale, e pochi restano in un paese in cui gli stipendi sono 1/3-1/10 di quelli che si possono trovare altrove.
Ricevo e pubblico:
RispondiEliminaahaha, la foto è stupenda! putroppo c'è chi dice: It's simple and it's plain, Why should I complain?
Laura