mercoledì 2 settembre 2015

Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa vive ancora in tutti noi

Verso la fine del colloquio di maturità, la mia mente improvvisamente si ricordò di Ugo Foscolo e recitò al volo il celebre passo dei Sepolcri

A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta.

Passati decenni dal lontano 1989, ho la consapevolezza di dire che il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa rappresenti l'urne de' forti, un forte stimolo a compiere egregie cose. Nonostante sia stato barbaramente assassinato, Dalla Chiesa vive in tutti noi. Personalmente mi  recherò domani in Piazza Diaz alle 18.30 per la commemorazione.

Il 3 settembre cade l'anniversario del barbaro assassinio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emmanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta Domenico Russo.

Dalla Chiesa, sceso a Palermo nella primavera del 1982 come Prefetto, cercò di combattere il fenomeno mafioso - che lui conosceva bene avendo comandato dal 1966 al 1973 la legione dei carabinieri di Palermo - non solo a livello repressivo, ma lavorando sui diritti dei cittadini, ridotti a sudditi da parte della criminalità organizzata.

La A112 del Generale Dalla Chiesa crivellata di colpi
Il giudice Gian Carlo Caselli, collaborator di Dalla Chiesa sul fronte del terrorismo - ha ricordato: “Dalla Chiesa ha occupato gran parte dei suoi 100 giorni come Prefetto di Palermo a parlare ai ragazzi delle scuole, agli operai dei cantieri navali, alla cittadinanza. Perchè sapeva che l’antimafia “delle manette” deve intrecciarsi con l’antimafia “dei diritti”. Altrimenti non si risolve nulla”. Caselli ha definito in passato il Generale Dalla Chiesa "un servitore dello Stato fino all'estremo sacrificio".

Nell’intervista – testamento spiritual, tutta da leggere - a Giorgio Bocca 23 giorni prima di essere ucciso, il Generale Dalla Chiesa disse: “Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

Dalla Chiesa impersonava il potere, che in Italia viene considerato un qualcosa di negativo. Occorre distinguere, tra potere responsabile e potere irresponsabile. Ci viene in soccorso Marco Vitale, economista d'impresa, che ha scritto in proposito una pagina notevole:


"Io insegno ai miei studenti che il potere è connaturato all’uomo; che non esiste attività umana senza potere, e che non esiste potere senza responsabilità; che la scelta è, piuttosto, tra i fini per i quali esercitare il piccolo o grande potere che ci viene assegnato, tra potere responsabile e potere irresponsabile; che non dobbiamo fuggire dal potere, ma anzi addestrarci a gestirlo, nelle grandi e nelle piccole cose, con responsabilità e per finalità positive. Paolo Baffi, il generale Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli: questi uomini, semplicemente facendo fino in fondo il loro dovere professionale, esercitavano un potere. Ed è una grande fortuna che, anche nei momenti più neri, vi siano uomini che non fuggono davanti alla necessità di esercitare, con responsabilità e con l’accettazione consapevole dei rischi connessi, il loro potere. La nostra società non è ammalata di troppo potere, ma, caso mai, di troppo poco potere, di potere troppo concentrato, di potere irresponsabile, che non viene chiamato a corrette rese di conto, di potere oscuro. Essa è piuttosto malata di ingiustizia".

Segnalo il commovente ricordo cinematografico della nipote del Generale, Dora Dalla Chiesa.

Ti sia lieve la terra, caro Generale Dalla Chiesa.

venerdì 31 luglio 2015

Ti sia lieve la terra, caro Paolo Baffi

Paolo Baffi
Il 4 agosto 1989, giusto 26 anni fa, scompare Paolo Baffi, governatore della Banca d'Italia dal 1975 al 1979. Un galantuomo che ha illuminato l'Italia con il suo impegno, il rigore morale, lo spessore intellettuale. Quando andava a Basilea alla Banca dei regolamenti Internazionali , il silenzio regnava sovrano per ascoltare uno dei massimi banchieri centrali del mondo.

Oggi tutti elogiano Mario Draghi, governatore della Bce. Addirittura qualcuno invoca la presenza di Draghi in Cina, dove i mercati sono particolarmente turbolenti (e ci credo, i prezzi delle azioni sono raddoppiati nel corso di un anno!). E allora mi permetto di ricordare che prima di partire per Francoforte rese un tributo all'uomo che lo ha segnato di più: "La cultura di Paolo Baffi conteneva più fermenti di modernità di quanti ve ne fossero nella cultura politica del momento".
Nel marzo 2015 ho avuto l'occasione di presentare il volume - che ho curato - di P. Baffi e AC Jemolo Anni del disincanto (Aragno editore, 2014) nel bellissimo Salone delle Assemblee della Banca d'Italia di Milano. In tale occasione sono stato intervistato. Un breve intervento, ma credo efficace.
Quindi, invece di leggere, per stare al passo coi tempi, guardatevi questo video.

Se volete approfondire i temi trattati in "Anni del disincanto", quest'altro video è indicativo

Buone vacanze a tutti i miei lettori. Ci rivediamo, puntuali, a settembre.

martedì 28 luglio 2015

Sono 5 anni che esiste Faust e il Governatore. Buon compleanno!

A fine luglio di 5 anni fa, stimolato dai miei studenti, ruppi gli indugi e creai questo blog, di cui vado particolamente fiero. Qualche numero: oltre 4mila pagine al mese lette, 233mila dalla nascita, 422 post elaborati.

Un successo, soprattutto per la qualità di voi lettori, che continuate a leggermi, a postare commenti pubblici e privati.

Stanno per iniziare le vacanze agostane. Colgo l'occasione, come al solito, per segnalarvi qualche titolo. Come ha scritto Donatella Di Cesare sulla Lettura di domenica scorsa ha saggiamente scritto che il riposo non significa dormire e basta: "Il riposo non va confuso con il sopore né con l'inerzia. Il respiro del riposo segna l'interruzione che imprime un nuovo ritmo, che inaugura un viaggio verso un'altra esperienza del tempo. Soprattutto, al contrario di quello che si crede, il riposo è agire, dove l'importante diventa il come si agisce. Riposare vuol dire spezzare quell nesso tra mezzo e fine che pervade la consueta produttività dei nostri giorni. Significa, dunque, affrancare il nostro agire dall'economia dei fini. Riposare è un agire più elevato, quasi festosamente celebrato".

Cosa c'è di più elevato che leggere?

Nella mia (piccola) valigia cercherò di portarmi:

- G. Nardozzi, Il modo alla rovescia. Come la finanza dirige l'economia, il Mulino;
- Sebastiano Vassalli (scomparso ieri, gli sia lieve la terra, io l'ho citato più volte, mirabili i suoi "Marco e Mattio" e "Il Cigno", la storia di Emanuele Notarbartolo, direttore del Banco di Sicilia), La Chimera, Einaudi;
- Antonio Manzini, Non è stagione, Sellerio; ho la letto Pista nera, ambientato a Champoluc e il vice questore Rocco Schiavone mi ha stregato;
- Carlo Bellavite Pellegrini, Pirelli. Innovazione e passione 1872-2015, il Mulino;
- (a cura di) Nicola Rossi, Sudditi. Un programma per i prossimi 50 anni, Policy;
- (a cura di) Alfredo Gigliobianco, Luigi Einaudi: libertà economica e coesione sociale, Laterza.

Mi raccomando, assicuratevi che anche i vostri figli abbiano libri su cui meditare e sognare (perchè no).

Ah, scordavo, se non l'avete ancora letto, P. Baffi e A.C. Jemolo, Anni del disincanto, a cura del sottoscritto, Aragno editore, un carteggio tanto antico quanto attuale tra due galantuomini.

lunedì 20 luglio 2015

La forza dei simboli: Papa Francesco e Santa Marta, Sergio Mattarella e le Fosse Ardeatine, Mario Draghi e il volo low-cost, Carlo De Benedetti e il mancato elicottero

Graffito romano su Papa Francesco
Papa Francesco è una delle maggiori figure di spicco di questi ultimi anni. Il cambiamento che sto portando all'interno della Chiesa è mostruoso. A livello simbolico, il fatto che giri alla sera da solo senza scorta per Roma ha dell'incredibile. Proprio perchè siamo convinti che gli atti abbiano una forte valenza simbolica, crediamo che la scelta del Papa di andare a risiedere non negli alloggi Vaticani ma in Santa Marta sia di fondamentale importanza per far capire a tutti che le cose si possono cambiare. Massimo Franco nel suo Il Vaticano secondo Francesco (Mondadori, 2014) scrive: "L'edificio scelto come casa da papa Francesco anticamente era un lazzaretto pontificio per i malati di colera (...). Francesco ha detto di vedere la Chiesa "come un ospedale da campo dopo una battaglia...Curare le ferrite. E bisogna cominciare dal basso".
Non banale il fatto che Casa Santa Marta abbia ospitato nel 2011 i commissari di Moneyval, l'organismo del Consiglio d'Europa che si prefigge di valutare i sistemi antiriciclaggio del denaro sporco.
Il Committee of experts on the evaluation on the anti-money laundering measures and the financing of terrorism negli anni scorsi ha messo in mora la banca del Vaticano, lo Ior - Istituto per le Opere di Religione - che non rispettava le normative antiriciclaggio.

Un altro istruttivo atto simbolico è stata la visita del neo presidente della Repubblica, appena eletto, Sergio Mattarella alle Fosse Ardeatine. Con una semplicissima Panda, peraltro. L'Agenzia Ansa scrive che "Dopo essersi fermato in raccoglimento nel luogo dell'eccidio compiuto dainazisti ha dichiarato: "L'alleanza tra  nazioni e popolo seppe battere l'odio nazista, razzista,
antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso. La stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore". Una partenza veramente all'insegna della sobrietà - quanto ne abbiamo bisogno! - e della Resistenza come fondamento della Nazione.


Mario Draghi
Quando Mario Draghi venne nominato governatore della Banca d'Italia, dopo il pessimo finale di Antonio Fazio - coinvolto in un rapporto incentuoso con il banchiere Gianpy Fiorani di Banca Popolare Lodi  - alla prima occasione di viaggio, decise di comprare un volo low-cost, senza alcun portaborse ad alleviare il peso dei documenti che portava con sè. Il messaggio da passare ai media era chiarissimo. Le cose sono cambiate. In Banca d'Italia si torna all'era Baffi, con comportamenti di totale sobietà e integrità. E mai e poi mai di ricevono "baci sulla fronte" da un soggetto vigilato.

Nel lontano 1979, con il terrorismo al culmine, come raccontò il compianto Marco Borsa in Capitani di sventura (Mondadori, 1992), Carlo De Benedetti ricevette una telefonata del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa avvisandolo che era nel mirino delle Brigate Rosse, suggerendogli di comprare un elicottero per andare ogni mattina ad Ivrea senza correre rischi. Ma De Benedetti rispose: "Caro generale, mi rendo conto del pericolo e le sono grato per avermi avvertito. Ma temo proprio di non poter venire in elicottero in un momento in cui sto chiedendo ai miei dipendenti il massimo sforzo per ridurre le spese generali".

lunedì 13 luglio 2015

La rivoluzione digitale può salvare il mondo. Il caso del Plan Ceibal introdotto da Mujica in Uruguay

Daniel Cabrera, filippino, 9 anni, studia sotto un lampione
Fino a poche settimane fa il presidente dell'Uruguay è stato José Mujica Cordano, un personaggio molto interessante. Un "leader di statura mondiale" lo ha definito l'Economist.

Mujica, 80 anni, ne ha passati 14 in carcere, in quanto membro del Movimento di liberazione nazionale Tupamaros. Entrato in prigione a 37 anni, ne è uscito a 50 dopo due evasioni e segni indelebili sul suo corpo in seguito alle torture subite.
Come Nelson Mandela, nonostante quello che ha passato, Mujica non prova rancore. Quando uscì nel 1985, pochi giorni pronunciò un discorso dove non c'era traccia di alcun risentimento. E' questa la sua forza.

Una volta eletto presidente dell'Uruguay, ha subito rinunciato all'emolumento di 10mila dollari circa, trattenendone per sè solo 1.000 al mese. Ha sostenuto di non averne bisogno, vivendo in una casa semplice con la moglie Lucia e la cagnetta Manuela.
Tra le diverse cose - oltre l'esempio - che Mujica lascia al suo Paese ce n'è una di grande valore. E' il Plan Ceibal - nome che deriva dal ceibo, albero tipico del Paese - che si concretizza nel garantire un computer per ogni scolaro uruguagio (come li definiva il grande Gianni Brera) e connessione wi-fi in tutte le scuole del Paese.

L'iniziativa deriva da un'idea di Nicholas Negroponte del Mit denominate "one laptop for a child". Non mi è sfuggita la foto di Daniel Cabrera, bimbo filippino di 9 anni, che cerca di studiare nella notte sotto la luce di un lampione. Magari un giorno anche nelle Filippine potrà arrivare questo progetto così valido.
Oggi in Uruguay, tutti gli scolari delle 2.400 scuole elementari hanno un pc portatile che si chiama XO, bianco e verde, piccolissimo e con tutte le funzioni che servono a un bambino. Altro che digital divide!

Lode a Mujica, a Negroponte e a tutti coloro che sono in grado di cambiare il futuro delle persone, soprattutto se meno fortunate.

martedì 7 luglio 2015

La mancanza di senso storico è un grave fattore di debolezza dei millenials

Nella mia esperienza di professore (a contratto) in università ho tratto sempre più elementi che dimostrano la grava mancanza di senso storico delle nuove generazioni. Gli studenti ai miei occhi sono spaesati, ciechi e bendati in un mondo incerto, mai tanto complesso, liquido (Bauman, cit.). Come fare a orientarsi? Studiare la storia. Nessuno lo fa e anche le università riducono i programmi di storia, rendendo l'allievo sempre meno pronto ad affrontare il mondo con la saggezza derivante dalla memoria storica.

In un bell'articolo Massimiliano Panarari sulla Stampa - L'illusione di essere eruditi 2.0 - ha evidenziato che i giovani - facendo leva su google - tendono a sottovalutare l'importanza del sapere. E' caduto il "confine tra quanto si conosce effettivamente e ciò che si ritiene di sapere semplicemente perché lo vediamo sul Web e lo leggiamo in presa diretta sullo schermo di qualcuna delle nostre piattaforme digitali. Una confusione bella e buona (anzi, cattiva e pericolosa), per cui finiremmo sistematicamente per illuderci di saperne tantissimo e di essere, a conti fatti, più intelligenti di quanto siamo davvero".  

Cesare Musatti
Come disse il padre della psicanalisi italiana Cesare Musatti "Sarete quello che avrete dimenticato, ma prima lo dovete sapere". E la fatica di imparare? E il bello della conquista del sapere? Perdute.
Panarari è così limpido che lo citiamo integralmente: "Questo nozionismo internettiano a costo zero cancella di botto la fatica e la pazienza certosina che occorrevano nel passato per accumulare cultura, scienza e dottrina. Tutto il sapere e subito, ennesima manifestazione della forza ma, appunto, anche dei rischi del digital now, la condizione di eterno presente (senza profondità storica) in cui queste formidabili tecnologie hanno immerso le nostre vite. Mentre proprio il tempo costituisce, come hanno insegnato secoli di storia dell’Occidente, l’ingrediente essenziale per fare sedimentare il sapere, sviluppando la «giusta distanza» del filtro e delle facoltà critiche, vero antidoto alla convinzione di conoscere tutto e di essere supercompetenti in ogni campo. «Io so di non sapere», come ci ammoniva Socrate, quando non c’era il Web.

Quante volte ho spiegato a lezione l'importanza della sedimentazione del sapere, che deve macerare, come fossimo dei bovini. Invece spesso lo studente compie dei tour de force prima dell'esame così da passare sì la prova e dopo un mese aver dimenticato tutto. Come Mike Buongiorno che "entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all'apatia e alla pigrizia mentale"
attraversava i meandri del sapere e ne usciva vergine e puro"
(Umberto Eco, Fenomenologia di Mike Buongiorno, cit.).

lunedì 29 giugno 2015

I fondi sovrani: tendenze future e voglia di contare. Il caso del fondo sovrano dell'Angola

Si è tenuta oggi nella splendida cornice di Palazzo Clerici, sede dell'Istituto di Studi di Politica Internazionale (ISPI), la presentazione del Annual Report 2014 sui fondi sovrani (Sovereign Wealth Found, SWF), organizzata dal Sovereign Investment Lab (Sil) del Centro Paolo Baffi-Carefin dell'Università Bocconi.
Il direttore del Sil Bernardo Bortolotti ha introdotto i lavori sotto gli affreschi del Tiepolo, contestualizzando lo sviluppo dei fondi sovrani: "La crescita impetuosa dei fondi sovrani è uno dei fatti più interessanti della storia recente della finanza globale. Nell'arco di poco più di dieci anni, hanno aumentato il patrimonio gestito più di ogni altra categoria di investiture istituzionale e vantano attivi per un controvalore di circa 5mila miliardi di dollari".

A seguire un intervento ficcante del prof. Aldo Musacchio dell'Harvard Business School, autore di un volume #mustread Reinventing State capitalism. Subito dopo ha preso la parola Thouraya Tikri, chief country economist at the North Africa Department dell'African Development Bank. Tikri ha spiegato che in Africa, nonostante siano più piccoli rispetto ai competitor mondiali - esistano diversi fondi sovrani.
 
In particolare, scorrendo l'annual report, ho notato che il fondo sovrano dell'Angola ha una dotazione di 5 miliardi di dollari. La mente è volata a Nicholas Kristof,  editorialisti di punta del New York Times  che è riuscito a realizzare un servizio dall'Angola - nonostante non sia ben visto dalle autorità - dove descrive la pazzesca polarizzazione di reddito e di ricchezza presente nel Paese africano. A fronte di prezzi da capogiro degli immobili nella capital Luanda, gli ospedali sono privi di medicine, attrezzature basiche per poter curare la popolazione, in gran parte in stato di estrema povertà e denutrizione. Vi invito a guardare il video di Kristof. Parla da solo: The world's deadliest place for kids.

Prima di costituire il fondo sovrano, sarebbe opportuno che il presidente/dittatore Jose Eduardo dos Santos sviluppi una politica sanitaria che riduca la terribile mortalità infantile. In Angola il 69% della popolazione vive sotto la fascia di povertà. Poi, solo poi, investa dove vuole col fondo sovrano. Ma solo dopo.

lunedì 22 giugno 2015

I compiti per le vacanze sono utili e fanno la differenza

Finita la scuola - quali sono le altre categorie a parte gli insegnanti con 3 mesi di vacanza? - , montano le polemiche sui compiti. In nome del diritto al gioco molte famiglie esigono l'assenza di compiti per le vacanze. E molti professori sono d'accordo con questa visione perdente per gli allievi.

Su Repubblica, qualche tempo fa a tutta pagina si titolava "Alleanza tra prof e famiglie nel nome del diritto al gioco". L'attacco racconta la volontà di una madre di non acquistare i libri per le vacanze. Il social su Facebook "Basta compiti" ha raggiungo i 4.500 iscritti. Su change.org c'è una petizione che conta 4.300 firme. Alcuni scrivono che i compiti constringono i genitori a sostituire i docenti. Ma dai! So benissimo per esperienza che ci sono genitori che si sostituiscono ai figli, che si mettono al loro fianco mentre fanno i compiti. Sbagliatissimo. Il bambino deve imparare l'autonomia e i compiti deve farli da solo. Se sbagli si corregge in classe.

Questi genitori non sanno quanti danni fanno ai propri figli.

Anni fa mi sono imbattuto in un libro formidabile, Fuoriclasse (Mondadori, 2009) di Malcolm Gladwell, giornalista divulgativo, ma sarebbe meglio definirlo scienziato pop. In questo volume il lettore veniva portato a conoscenza di un esperimento compiuto negli Stati Uniti. In una scuola, con gli stessi professori, a parità di altre condizioni, ad alcune classi vengono assegnati i compiti per le vacanze, ad altre no. Dopo ogni anno gli alunni delle classi senza compiti rientrano a scuola meno preparati di chi li ha fatti. Dopo 5 anni la differenza cognitiva e di preparazione non deriva dagli insegnanti, dai metodi didattici, ma, guarda caso, dall'avere o meno fatto i compiti.
Misurando i punteggi della capacità di lettura DOPO le vacanze estive, si nota come i bambini più ricchi tornano in settembre con un'abilità di lettura molto più forte, mentre i bambini di famiglie povere subiscono un calo. Così mentre i bambini poveri surclassano i ricchi nell'apprendimento durante l'anno scolastico, d'estate si fanno superare di parecchie lunghezze.
Se ne deduce che nel campo della lettura, i bambini poveri NON imparano nulla quando le scuole sono chiuse.
Gladwell conclude con amarezza: "Di fatto, tutti i vantaggi che gli alunni facoltosi hanno dei confronti degli indigenti derivano dalle differenze di apprendimento dei privilegiati nell'ambito extrascolastico. Ma è evidente. I bambini ricchi in vacanza vengono accompagnati nei musei, iscritti a corsi e campi estivi dove seguono le lezioni. Vengono stimolati in ogni modo. I bambini poveri stanno attaccati davanti alla TV (o al tablet).

I compiti mantengono in  esercizio la mente, aiutano a consolidare i concetti. La mente è un muscolo, se non si esercita, in modo inerziale assopisce.

Ha ragione Pier Luigi Ipata, professore di biologia molecolare all'Università di Pisa che scrive a Repubblica sostenendo che la via di mezzo è quella corretta: "Vi sono adolescenti, più numerosi di quanto di creda che anche se non hanno compiti per le vacanze rubano non più di una o due ore ai giorni delle vacanze per mantenere il cervello in esercizio, imparando una lingua o risolvendo quesiti di matematica. John Dewey diceva che "l'educazione non serve solo a prepararsi alla vita, ma è la vita stessa". Questi giovani lo sanno, lo intuiscono. Non confondiamo loro le idee, convincendoli che fare i compiti durante le vacanze è addirittura dannoso e procura sofferenze. Vi sono invece giovani per i quali la scuola può diventare fonte di preoccupazioni. Per questi le vacanze sono un toccasana". Ma questi ultimi, aggiungo io, sono un'estrema minoranza.
Spesso sono tentato di pensare che il problema della scuola italiana siano i genitori.

venerdì 5 giugno 2015

17 giugno 1982, il banchiere Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, viene trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra

Il 17 giugno - 33 anni fa, nel 1982 - cade l'anniversario dell'omicidio di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, trovato impiccato a Londra sotto il Ponte dei Frati Neri. Se la lenta e farraginosa giustizia italiana non è giunta a trovare i responsabili dell'omicidio, alcuni magistrati hanno cercato la verità nel tempo, avvertendo che è molto diversa dalla verità giudiziaria.

La lettera pubblicata nel volume di Mario Almerighi La borsa di Calvi. Ior, P2 mafia: le lettere e i segreti mai svelati del banchiere di Dio (Chiarelettere, 2015) fa un po' di luce ed è veramente impressionante. Il banchiere Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, caduto in disgrazia, voleva salvarsi la vita e riacquistare il potere  perso attraverso azioni ricattatorie basate sui documenti in essa contenuti. Calvi decise quindi il 5 giugno 1982 (12 giorni prima di essere impiccato) di scrivere direttamente al Papa - Giovanni Paolo II - affinchè intervenga sul cardinal Marcinkus e sullo Ior, la Banca del Vaticano, azionista del Banco Ambrosiano.

Eccone qui uno stralcio significativo:
"Santità, ho pensato molto, molto in questi giorni e ho capito che c'è una sola speranza per cercare di salvare la spaventosa situazione che mi vede coinvolto con lo Ior in una serie di tragiche vicende che vanno sempre più deteriorandosi e che finirebbero per travolgerci irreversibilmente.
Ho pensato molto, Santità, e ho concluso che Lei è l'ultima speranza. Da molti mesi ormai, mi vado dibattendo a destra e a manca, alla disperata ricerca di trovare chi responsabilmente possa rendersi conto della gravità di quanto accaduto e di quanto più gravemente accadrà se non intervengono efficacy e tempestivi provvedimenti essenziali per respingere gli attacchi concentrici che hanno come principale bersaglio la Chiesa e, conseguentemente, la mia persona e il gruppo a me facente capo.
La politica dello struzzo, l'assurda negligenza, l'ostinata intransigenza e non pochi altri atteggiamenti di alcuni responsabili del Vaticano mi danno la certezza che Sua Santità sia poco o male informata di tutto quanto ha per lunghi anni caratterizzato i rapporti intercorsi tra me, il mio gruppo e il Vaticano.
Santità, sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonchè delle colpe commessi dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona, di cui ancora ne subisco le conseguenze (Calvi fu ricattato da Sindona, ndr); sono stato io che, su preciso incarico di Suoi autorevole rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi e associazioni politico-religiose dell'Est e dell'Ovest; sono stato io che, di concerto con le autorità vaticane, ho coordinato in tutto il Centro-Sud America la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l'espandersi di ideologie filomarkiste; e sono stato io, infine, che oggi vengo tradito e abbandonato proprio da queste stesse autorità a cui ho rivolto sempre il Massimo rispetto e obbedienza". 

Insomma, Calvi fa una chiamata di correità nei confronti dello Ior, azionista invasive che ha volute che Calvi aiutasse la politica del Papa contro il comunismo, sia in Europa che in Centro America. Le distrazioni di fondi dal Banco saranno scoperte dai liquidatori in svariati miliardi di lire.

Non ho mai creduto alla tesi del suicidio di Calvi, anche sulla base delle considerazioni del pubblico ministero Luca Tescaroli che ha evidenziato nei processi:
1) Calvi era debilitato fisicamente, un uomo in tali condizioni non poteva compiere acrobazie per impiccarsi sotto un ponte; il pm scrisse: “Sulla base degli esperimenti giudiziari espletati è “da escludersi che in seguito al percorso descritto non rimangano indelebili tracce di ruggine nelle mani, nelle scarpe e nei vestiti...che non potevano non venire a contatto – e ripetutamente – con i supporti metallici ossidati mediante uno strusciamento che avrebbe dovuto lasciare ben evidenti ed indelebili segni di ruggine e altre sostanze imbrattanti...”

2) Calvi era solito portare un copridita al dito indice della mano destra che “era solito sanguinare” a un semplice sfregamento su parete ruvida, ma in sede di esame autopico nulla è stato rilevato in proposito. Il Tribunale civile di Milano ha osservato che “le fasi di attraversamento dell’impalcatura e delle ipotizzate manovre di scivolamento a scopo suicidario dalla sbarre avrebbero provocato lesioni e abrasioni quantomeno all’indice della mano desra di Calvi che era stato leso a causa di un incidente domestico avvenuto nel 1969 con conseguente intervento di chirurgia plastica d’urgenza consistente nel chiudere, con tessuto cutaneo prelevato da altra parte del corpo, la ferita”.

Movente dell'omicidio Calvi? Secondo l'accusa Calvi si sarebbe impossessato di una parte del Tesoro di Cosa Nostra, promettendo di investirlo e farlo fruttare, ma alla fine, travolto dai debiti, non sarebbe più stato in grado di restituirlo.
A questo punto, è opportuno citare la testimonianza dell'allora governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, che sottolinea l'operato di Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro, che proprio per la sua ostina determinazione a far pagare allo IOR il dovuto pagò un costo alto a livello politico: "Lo spessore morale di Andreatta consentì di trovare soluzioni di ”pulizia” netta. Con il suo alto senso delle istituzioni non cercò di minimizzare l’accaduto o di occultare responsabilità e comportamenti scorretti, sul piano giuridico e su quello deontologico. Intervenendo alla Camera per riferire sull’accaduto definì la vicenda dell’Ambrosiano come “la più grave deviazione . . . rispetto alle regole della professione bancaria verificatasi . . . in un grande paese industriale negli ultimi quarant’anni”.

La linea di severità che si scelse di seguire permise anche di ridurre l’entità delle perdite, recuperando ingenti fondi, in Italia e soprattutto, all’estero. Con determinazione, concretezza e massima trasparenza Andreatta assunse le decisioni necessarie alla soluzione del caso; decisioni non facili per le implicazioni riguardanti Stati esteri e i loro sistemi bancari.




Roberto Calvi
La crisi dell’Ambrosiano precipitò il 12 giugno del 1982 con la fuga di Calvi. Si decise l’immediato commissariamento del Banco. Durante il commissariamento Tesoro e Banca d’Italia convennero nel cercare la formazione di un pool di banche disponibili a fornire liquidità al Banco Ambrosiano, sì da evitare la chiusura anche solo temporanea degli sportelli. Lo stesso pool di banche si dichiarò disponibile a subentrare al Banco Ambrosiano qualora dagli accertamenti dei commissari ne fosse emerso il dissesto patrimoniale. Tutto ciò fu definito il 9 luglio nel corso di una lunga riunione svoltasi in Banca d’Italia e che si tenne alla presenza del Ministro Andreatta. Il contenuto della riunione fu reso pubblico da un comunicato stampa stilato dalle stesse banche partecipanti.

I commissari accertarono che l’attività del Banco in Italia era prevalentemente sana; il “marcio” si annidava nelle consociate estere. L’acclaramento delle modalità operative di Calvi mise in luce che egli aveva sfruttato l’insufficiente grado di coordinamento tra le Autorità di vigilanza dei diversi Paesi e in tal modo aveva eluso i controlli.

Con Andreatta si convenne che nelle sedi internazionali occorreva fare riferimento con fermezza a quanto stabilito dall’accordo di Basilea circa l’azione della Vigilanza; essa, infatti, non aveva responsabilità per l’attività svolta all’estero da una banca nazionale attraverso società giuridicamente distinte dalla casa madre e non soggette alla Vigilanza del paese della stessa casa madre.

La soluzione della crisi fu attuata in tempi strettissimi, grazie all’intensa collaborazione tra il Tesoro e la Banca d’Italia.

Il 4 agosto, mercoledì, i commissari straordinari, terminato il loro compito, chiesero la liquidazione del Banco Ambrosiano; il venerdì successivo il CICR approvò la proposta di liquidazione. Il fine settimana fu utilizzato per dar luogo alla costituzione del Nuovo Banco, alla nomina degli amministratori (presidente venne nominato l'avv. Giovanni Bazoli) e dei Sindaci, al subentro del nuovo Banco nell’attività del cessato Banco Ambrosiano. Il lunedì, 9 agosto, tutti gli sportelli del Nuovo Banco operarono regolarmente".

Lezioni per il banking di oggi? Sicuramente. Chi distrae fondi dalla banca al fine di vantaggi personali o per ingraziarsi entità terze, prima o poi fa una brutta fine. La cosa migliore che si può aspettare è finire in galera, come il già presidente di Banca Carige Giovanni Berneschi, che intestava conti a personaggi di fantasia come Filadelfo Arcidiacono.

venerdì 29 maggio 2015

29 maggio 1985, la finale di Coppa dei Campioni si trasforma in una carneficina

Sono passati 30 anni dal quel triste 29 maggio 1985. Me lo ricordo bene quel giorno. Io e i miei amici di via Tolstoy  decidemmo di vedere la finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool in giardino, collegandoci con prese e prolunghe "di fortuna". Fu una tale fatica collegarsi, che quando riuscimmo a vedere le immagini, rimanemmo di sale nel vedere che la partita alle 21.30 non era ancora iniziata. Le notizie erano frammentarie. Il telecronista storico della Rai non aveva ancora delle informazioni ufficiali da comunicare circa il numero dei morti travolti dalla furia ubriaca degli hooligans inglesi.

Guardate il cortometraggio realizzato da Repubblica.it, vale veramente la pena. Con la voce di Michela Cescon e il racconto di Emanuela Audisio, il tifoso Matteo Lucii (allora sedicenne) torna allo stadio di Bruxelles, quell'Heysel scelto dall'UEFA nonostante non avesse alcun requisito per ospitare una finale di Coppa. Reti di separazione inesistenti, struttura fatiscente, procedure di sicurezza non previste. I tifosi della Juventus presenti nel settore Z si trovarono schiacciati dai tifosi inglesi, che sfondarono le debole recinzioni. Chi subì  la pressione mostruosa della massa inglese - in grado di far crollare un muro divisorio - morì asfissiato. La strage è quindi figlia della combinazione della stupidità umana degli hooligans e degli errori organizzativi .

Il racconto del signor Conti, che perse la figlia Giuseppina di 16 anni è straziante. Pensare di riconoscere la propria figlia morta attraverso le scarpe indossate toglie il fiato.

La partita iniziò alle 21.40 invece che alle 20.15, dopo il discorso di Gaetano Scirea che invitava alla calma. Vinse la Juve 1-0 con un rigore di Platini (fischiato per un fallo su Boniek avvenuto fuori dall'area. Il portiere del Liverpool Bruce Grobelaar ha raccontato: "Mancavano cinque minuti al riscaldamento, capimmo che era successo qualcosa: arrivava gente nella nostra zona. Quattro o cinque di noi s'affannarono a dare una mano. Passammo dall'interno dei secchi d'acqua, prendemmo degli asciugamani dalle docce e li lanciammo fuori. Riuscimmo a fare solo questo, ma ormai sapevamo abbastanza per non voler giocare. (...). Alla Juve è stato rimproverato di non aver restituito la Coppa ma l'errore fu giocare: fece un gol, la Coppa è sua".

Il giornalista Maurizio Crosetti, allora alla prima trasferta importante, scrive oggi: "Dalla tribuna si capiva e non capiva. "Ci sono dei morti", disse una voce, e subito ci precipitammo giù dale scale verso l'antistadio. E li vedemmo. Erano già allineati, cinque, otto, dodici morti in fila e senza nessuno accanto. Corpi soli, irreparabili. Transenne di ferro venivano usati come barelle, la polizia a cavallo andava avanti e indietro soffiando nei fischietti e roteando bastoni. C'erano infermieri, pochi, e medici, ancora meno. C'era morte dappertutto".

Nessuno ha pagato per la gravità di quanto è accaduto, soprattutto gli organizzatori belgi, indecorosi. Si vede addirittura nei filmati la polizia a cavallo che manganella i tifosi della Juve scampati alla tragedia invadendo il campo di gioco.
I morti, gli sia lieve la terra, saranno 39.

venerdì 22 maggio 2015

La capacità di concentrazione, focalizzazione è determinante per il successo. Ma non è senza costi.

Nel volume appena uscito della scrittrice Paola Mastracola - L'esercito delle cose inutili (Einaudi, 2015) - il protagonista Raimond ci insegna che anche quando fai la cosa più inutile del mondo - che sia raccogliere conchiglie, trapiantare primule, amare qualcuno in silenzio - puoi trovare una scintilla di vita, di lampo di senso, uno scatto inaspettato.

Arrivato al capitolo 25, il lettore rimane folgorato dalla figura del biologo, "un bell'uomo, con un completo grigio e la cravatta (...), si è occupato per anni d'isolare un tal batterio per sconfiggere una malattia molto grave, che fa strage nei paesi più poveri del mondo".

La cosa particolare è che il biologo per studiare meglio a un certo punto ha lasciato tutto, moglie, figli, amici, e si è affittato una baita in montagna, portandosi dietro i libri, gli alambicchi per gli esperimenti, il microscopio, i vetrini, le colture. "E ha vissuto lì, scollegato da tutto e da tutti. Tre anni".
Secondo il biologo, negli studi, "si può arrivare a qualche risultato solo se ci si rinchiude in un posto isolato senza la vita che ti prende", ossia senza far tardi la sera, andare al cinema con gli amici, portare a cena la fidanzata, comprarsi un paio di scarpe nuove".
Mastrocola scrive con sapidità: "Gli piace molto la vita. Ma lo distrae, non può permetterselo. Deve studiare. Una baita in alta montagna è perfetta. La sua ricerca richiede concentrazione".

Dopo qualche anno la ricerca è finite, il biologo ce l'ha fatta, ha isolato il batterio, la malattia può essere sconfitta. E' molto soddisfatto. Torna al suo paese. C'è un però. Il suo isolamento lo ha costretto a trascurare tutte le relazioni, a non coltivare i contatti: "Ero diventato un orso, un frate, una specie di eremita".


Paolo Baffi, governatore sempiterno
Dopo la lettura, il mio pensiero è volato subito al governatore Paolo Baffi - chi sennò!, le cui carte conosco quasi a memoria, sic - che ha coltivato poco o nulla le relazioni con la politica, e ne ha pagato un prezzo altissimo.
Nel volume di Baffi e Jemolo Anni del disincanto, che ho avuto il piacere di curare, cito un passaggio di Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, che scrive: "

Eugenio Scalfari ricorda - a Enzo Biagi - così un suo incontro con Pertini: "Un giorno mi permisi di suggerire a Pertini di nominare Baffi senatore a vita alla prima occasione, per dovere di riparazione contro un sopruso patito; ma, con mio grande stupore, lo trovai sordo su questo tema. «Prima», mi disse, «ci sono i miei amici della Resistenza, poi si vedrà».
Ricordo con amarezza questa frase del presidente, per dimostrare quale sia la separatezza di queste persone schive, ristrette nella loro scienza e al loro lavoro, prive di contatti e quindi di umane simpatie, al punto che perfino il più sensibile tra gli uomini del Palazzo, com’era certamente
Pertini, ne ignora i meriti e i torti subiti".


Come disse il fondatore di Intel, Andy Grove, "Only the paranoid survive", ma, talora, il costo può essere significativo.
 




 
 

lunedì 18 maggio 2015

Il mondo visto dal Salone Internazionale del libro di Torino: "Leggere non è solo ricchezza privata, è una ricchezza per la società, è antidoto all'appiattimento" (Mattarella, cit.)

Venerdì scorso sono andato col mio amico Leo al Salone del Libro di Torino. Un'esperienza da fare. Visto che i libri per me sono un oggetto erotico, è stata una gita di estremo piacere. Quando si prende in mano un libro ci si puo’ anche divertire molto, si ride, si piange e si é portati ad immaginare altri mondi, unici per ciascuno di noi.
Il libro non va messo in una teca, va vissuto, sottolineato, si possono scrivere note a margine, si devono poter ritrovare i passaggi che ci sono piaciuti di più a distanza di tempo.

Nel viaggio di andata sul FrecciaRossa ho trovato il tempo per leggere l'intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell'inaugurazione del Salone del Libro. Un passaggio in particolare mi ha colpito: "Leggere non è solo una ricchezza privata, destinata al singolo individuo. Leggere è una ricchezza per la società per il bene comune. E' un antidoto all'appiattimento, è ossigeno per le coscienze. La lettura non può essere ridotta a consolazione o semplice svago. E' semmai una porta sul mondo, che ci apre alla conoscenza di esperienze lontane, che ci mostra cose vicine che non avevamo notato, o capito, che ci fa comprendere le grandi potenzialità dell'umanità che ci circonda. Leggere ha a che fare con la libertà. E con la speranza".
Quando Mattarella ha detto che "Chi scrive un libro, lo fa perchè avverte valori da trasmettere", la mia mente è volata a tutte le idee, ai valori liberali e di integrità morale raccolti nel carteggio Baffi-Jemolo in cui mi sono cimentato con successo in "Anni del disincanto" (Aragno, 2014).

Il Presidente Mattarella ha colto l'occasione anche per dire che l'idea stessa di Europa va oltre il territorio, e implica una "visione dell'uomo de del mondo". Meno male che c'è qualcuno per cui l'Europa non è solo il rapporto deficit/pil e il Trattato di Stabilità: "Potremmo dire che l'Europa non esisterebbe senza i libri: senza il lavoro dei monaci non avremmo recuperato tanti testi dell'antichità, senza Gutenberg, non ci sarebbe stata la Riforma, senza le grandi biblioteche non ci sarebbe stata l'evoluzione del diritto, non ci sarebbe stato il pensiero moderno".

Hans Tuzzi, bibliofilo e scrittore di talento, inventore del commissario Norberto Melis, nell'attacco al "Mondo visto dai libri" (Skira, 2014) coglie il punto, il libro come risposta all'orrore e all'ignavia: "Quando, il 5 settembre 2013, a Mantova, Paola Italia disse che Gadda pubblicò L'Adalgisa anche come atto etico, esile gesto di civiltà contro la criminale barbarie della Guerra voluta da Hitler, qualcosa scatto nel mio cervello: vidi, nello scoscendere dei secoli, morti disastri e ferocie scatenati dal sonno della ragione, e, fra stragi e guerre, prepotenze e ingiustizie, fra incerti progressi e mai facili conquiste, l'Uomo, nudo, piccolo, spaurito, molteplice, confuso e talvolta inconsapevole debitore a quanti, appunto, mai tra ignavia e orrore ammainarono il vessillo dell'intelligenza, del raziocinio, della scienza, dell'arte".

I giovani leggono sempre meno. Speriamo nelle donne che leggono molto di più. Nel corso delle mie lezioni universitarie, a furia di citare libri da leggere, uno studente mi ha detto: "Prof., ma lei li ha letti tutti questi libri che cita? Sa, io leggo solo d'estate, perchè gli altri mesi non ho tempo". Io gli ho risposto che leggere è un antidoto all'atrofizzazione della mente e al conformismo imperante. I libri vanno letti anche in autunno, inverno e primavera, altrimenti finiamo - con le parole di Pif -  a credere che La mafia uccide solo d'estate.

venerdì 8 maggio 2015

La battaglia di Roger Abravanel per soft skills, migliore didattica, mobilità sociale #education #scuola

Roger Abravanel, dopo una lunga carriera in McKinsey, ha deciso di combattere una vera e propria battaglia a favore della meritocrazia, su cui abbiamo scritto spesso in passato.

In anni recenti Roger si è innamorato e ha avuto un altro figlio, che gli ha allungato la vita e lo ha invogliato a pensare e riflettere sui giovani e in particolare sull'education.

E' appena uscito in libreria La ricreazione e' finita. Scegliere la scuola, trovare il lavoro (Rizzoli, 2015), scritto da Abravanel insieme a Luca D'Agnese, manager dell'Enel. Il titolo rieccheggia l'infelice frase riferita da Alain Minc all'Ing. Carlo De Benedetti in occasione della fallita scalata ostile alla Societè Generale de Belgique nel 1988.

Il volume di focalizza sulle competenze, sul "saper fare" (non basta il "sapere" nel 2015) di cui i giovani sono sprovvisti, poichè la scuola è impostata male, su canoni ottocenteschi, non adeguati a un mondo del lavoro molto cambiato.
Abravanel insiste ogni piè sospinto sulle nuove competenze necessarie nella società post-industriale: saper lavorare in autonomia (anche il dipendente deve agire come un imprenditore), risolvere problemi, avere spirito critico, saper comunicare e lavorare in team. Se interrogate gli imprenditori, vi diranno che i nostri ragazzi queste "competenze di vita" non le hanno.

Beppe Severgnini, che ha recensito il volume sul Corriere della Sera, ha sostenuto in modo convinto che "l'università è un investimento in se stessi e resta l'ultimo grande frullatore sociale, capace di mescolare redditi, censo e geografia. Se si ferma, siamo spacciati". Ma l'università italiana è tutto tranne che un ascensore sociale.

L'universita' italiana non funziona, non prepara in modo adeguato i giovani. A parte eccezioni come la Bocconi, i politecnici di Milano e Torino, l'università di Trento, il resto del panorama universitario lascia a desiderare. Perchè? La colpa, secondo gli autori, è delle tante lauree inutili sfornate da mediocri atenei che da anni creano schiere di giovani disoccupati. Quando i giovani protestano invocando il "diritto allo studio", dovrebbero invece chiedere "diritto al lavoro", grazie a una scuola migliore.
Come i maestri - secondo un proverbio ebraico - bisogna andarseli a cercare, così bisogna fare con le scuole e l'università. Non bisogna essere pigri e scegliere quella sotto casa. E' opportuno invece darsi da fare per scoprire le ottime scuole e università che sono presenti anche in Italia. Come valutare le scuole? Per esempio su www.eduscopio.it, ottimo sito web con analisi e valutazioni sulle scuole fornite dalla Fondazione Agnelli, guidata dall'ottimo Andrea Gavosto.
  
Quando gli autori tifano per una maggiore mobilità sociale basata sull'eguaglianza delle condizioni di partenza non fanno che riproporre in altri termini le teorie di Luigi Einaudi, ministro del Bilancio del dopoguerra, governatore della Banca d'Italia dal 1945 al 1948 e poi Presidente della Repubblica.

Luigi Einaudi
Einaudi nelle "Lezioni di politica sociale (Einaudi, 1949) discutendo della possibilità di un reddito minimo nazionale per i più' svantaggiati o i più colpiti dalle contingenze della vita o del lavoro, mette subito le mani avanti avvertendo come "bisogna cercare di stare lontani dell'estremo pericolosissimo dell'incoraggiamento all'ozio". Conta garantire l'eguaglianza delle condizioni di partenza, non di arrivo: "Una assicurazione data a tutti gli uomini perchè possano sviluppare le loro attitudini", affinchè emergano "studiosi e inventori che oggi ne hanno la possibilita'". L'uomo deve faticare, fin dai tempi di Adamo ed Eva, ammonisce Einaudi: "In perpetuo durerà la legge per cui gli uomini sono costretti a strappare col lavoro alla terra avara i beni di cui essa è feconda".
Chiudo invitando alla lettura completa del volume di Abravanel e D'Agnese. Purtroppo siccome l'italiano non legge, si perpetuerà il sistema ben delineato dagli autori per cui le famiglie acculturate, cittadine del mondo, consapevoli del valore dell'impegno, dello studio, della necessità di conoscenze orizzontali e verticali (ne riparleremo), di soft skills, manderanno i loro figli nelle università migliori. E i ceti popolari, che si nutrono di panem et circences (Berlusconi aveva capito tutto!), staranno attaccati alla tv così da privare i loro figli di un futuro migliore.
 
Giorgio Ambrosoli
P.S.: una critica: nel volume si cita una battuta di Giulio Andreotti sulla numerosità eccessiva degli student "fuori corso" nelle università italiane. Ecco, evitiamo di citare figure da cui i giovani hanno ben poco da imparare. Un politico che ha basato la sua carriera su accordi con la mafia, sull'appoggio della corrente siciliana guidata dal mafioso Salvo Lima - che sostenne a piè sospinto il "sacco di Palermo" guidato dal sindaco democristiano corrotto Vito Ciancimino - colui che definì il bancarottiere Michele Sindona "salvatore della lira", colui che delineò l'avvocato Giorgio Ambrosoli come uno "che se l'andava cercando", non merita di essere citato neanche una volta.

lunedì 4 maggio 2015

Diamo un taglio all'assenteismo nel pubblico impiego

Tre settimane fa, dopo aver corso domenica 10 km di maratona lunedì mattina, nonostante l'acido lattico nelle gambe, puntuale, alle 8 del mattino mi sono presentato in piscina al Leone XIII dove compio la mia ora di nuoto seguito dal mitico Mario Botto, sempiterno coach di grandi e piccini picciò.

Appena entrato nella hall per chiedere la chiave dell'armadietto, scambio una battuta con Alberto, e gli dico: "Sono venuto lo stesso anche se ieri ho fatto un pezzo di maratona. Non sono mica un dipendente pubblico!", e ho sorriso. Non l'avessi mai fatto! Una signora dietro di me mi ha subito redarguito, dicendomi che lei lavora nel pubblico impiego e subito dopo nuoto sarebbe andata regolarmente in ufficio. Io non ce l'avevo certo con tutti i dipendenti pubblici, ma con coloro che approfittano di uno Stato Mamma per fare quello che vogliono. Con una madre insegnante non posso essere contro coloro che lavorano nella PA (peraltro i racconti di mia mamma sulle assenze dei suoi colleghi corroborano la mia opinione).

Dopo questo scambio di battute, mi sono ripromesso  di scrivere un post documentato sull'assenteismo nel settore pubblico. Partiamo dai numeri. Secondo i dati forniti di recente dal Centro Studi di Confindustria nel pubblico le assenze dei dipendenti sono doppie rispetto al settore privato. Se si riportasse l'assenteismo sulle medie del privato, il risparmio sarebbe di 3,7 miliardi l'anno: "Dai dati del Conto annuale della Ragioneria dello Stato si evince che nel settore pubblico nel 2013 ai 10 giorni di assenza pro capite per malattia se ne sono aggiunti 9 di assenze retribuite. Un assenteismo del 46,3% più alto dei 13 giorni di assenze retribuite rilevate dall’indagine di Confindustria per gli impiegati nelle aziende con oltre 100 addetti (il gruppo più comparabile al pubblico impiego)".


Aggiungo due notizie tratte dai giornali delle ultime settimane:
1) Roma, i primatisti dell'assenteismo licenziati dopo 900 giorni di malattia. Quattro autisti Atac hanno accumulato negli ultimi tre anni in totale 900 giorni di assenza. Uno in particolare dal 2013 al 2015 ha dato forfeit in 403 occasioni. C'è stato bisogno di ricorrere al Regio Decreto 148/31 per procedere al licenziamento. Che sicuramente sarà appellato e con buona probabilità i 4 dell'apocalisse saranno reintegrati. Alla faccia di chi aspetta l'autobus a Roma.

2) Il sindaco di Locri invoca Gesù per limitare le assenze dei dipendenti comunali: Giovanni Calabrese ha scritto una lettera, con tanto di intestazione ufficiale, niente meno che a Gesù Cristo. Il primo cittadino «manifesta la sua disapprovazione e lo sconforto per le continue e ripetute condotte di alcuni dipendenti comunali che immobilizzano l’apparato burocratico e si comportano in maniera poco corretta e anomala sul posto di lavoro, tralasciando il senso del dovere e lo stesso rispetto del lavoro e dei colleghi, nonché della parte politica che governa la Città».

Nella lettera, il sindaco Calabrese racconta ad esempio dell’elettricista comunale che «non poteva sostituire le lampadine perché non c’erano soldi per comprarle e dovevano provvedere i cittadini. Grazie a qualche buon amico sono riuscito ad avere quindicimila lampadine gratuitamente, ma non mi sembra che niente sia cambiato. Le lampadine sono tutte stipate in un deposito, molte zone della città continuano a rimanere al buio e l’elettricista continua ad essere uccel di bosco». Altro rilievo alla polizia municipale: «In circa otto mesi sono state elevate meno di 400 sanzioni stradali in una città in cui regna l’anarchia stradale e l’altro giorno sono stati bravissimi nell’ostacolare il percorso della Madonna Immacolata nostra reverendissima patrona».

Giuseppe Di Vittorio, sindacalista e politico
Un tempo il sindacato difendeva i lavoratori. Consiglio di leggere il profilo di Giuseppe di Vittorio, leader della CGIL dal 1945 al 1957 scritto dallo storico Piero Craveri sul Dizionario Biografico degli italiani della Enciclopedia Treccani. Nella biografia emerge la battaglia compiuta da Di Vittorio per concedere ai lavoratori senza diritti, ai braccianti, delle condizioni di lavoro degne, quando i soprusi e gli orari sovrumani erano la normalità.
Oggi i sindacati spesso tutelano i fannulloni, i nullafacenti, chi non va a lavorare, chi è irresponsabile o miope. Ha perfettamente ragione il giurista Pietro Ichino quando sostiene: "Da una parte c'è l'interesse dei nullafacenti a continuare a godere della rendita che finora è stata loro assicurata; dall'altra c'è l'interesse della maggioranza dei lavoratori pubblici—quelli veri—a una retribuzione adeguata, l'interesse dei precari a uscire dall'apartheid cui sono stati finora condannati, l'interesse della collettività a non veder tagliare gli investimenti necessari per lo sviluppo economico del Paese. In questo conflitto di interessi i sindacalisti del settore pubblico da che parte stanno?"