Il lunedì mattina il calcio domina i discorsi davanti alla macchinetta del caffè. L'Inter torna in testa alla classifica con la Fiorentina, che ha strapazzato il Frosinone. Il Napoli non riesce a vincere a Genova e viene scavalcato.
A Napoli sappiamo che il calcio impregna tutta la città. Ma molti di voi non sanno cosa sta succedendo in consiglio comunale. Due consiglieri, Simona Molisso e Carlo Ianniello, hanno osato mettere in discussione un privilegio atavico concesso al Comune, proprietario dello stadio San Paolo.
Lo stadio avrebbe bisogno di forte manutenzione straordinaria, ma la trattativa tra il club Napoli guidato da Aurelio De Laurentiis e il Comune si è arenata davanti alla possibilità di limitare l'erogazione gratuita di due biglietti per ogni consigliere. Con un italiano da analfabeti, il consigliere Luigi Zambaldi, è intervenuto a difesa dei suoi due biglietti. Sentiamolo: "Oltre i consiglieri, che credo che se lo merita dopo una settimana di lavoro avendo a che fare con i cittadini, ci possiamo premiare di andare a vedere la partita".
Traduzione: siccome il cittadino rompe le palle, il consigliere comunale ha diritto (ah, la cultura dei diritti, cara all'onnipresente Stefano Rodotà) a due biglietti per la partita.
Come ha scritto Claudio Sabelli Fioretti, vale il sillogismo aristotelico: i politici devono essere vicini al popolo; il popolo ama il calcio; i politici devno andare a vedere le partite di calcio. E siccome è un dovere, e non un piacere, devono avere i biglietti gratis. E siccome i doveri vanno assolti in dolce compagnia, debbono avere due biglietti ciascuno.
Inutile sarebbe ricordare al consigliere Zambaldi, che non esistono soldi pubblici, esistono i denari dei contribuenti (Margaret Thatcher, cit.).
Naturalmente la mozione di Molisso e Ianniello è stata respinta con 22 no, 6 astenuti e 5 sì. Degno di nota l'invito del sindaco di Napoli De Magistris, che ha esortato i consiglieri a non fare mercato sottobanco con i biglietti omaggio. I bagarini impazzano, as usual.
Lo stadio San Paolo è datato 1959, ha subito una prima parziale ristrutturazione tra il 1988 e il 1990. Nei successivi 25 anni, salvo interventi di manutenzione per emergenze di vario genere, nulla è stato fatto dalle diverse amministrazioni comunali in tema di manutenzione ordinaria o straordinaria per garantire alla struttura condizioni minimali di decenza in tema di servizi, accessibilità, sicurezza e miglioramento del comfort.
Solo una prossima tragedia porterà a mettersi d'accordo per l'esecuzione dei lavori. Ci saranno lacrime, rimpianti e proteste. Ma non toccate i biglietti ai consiglieri comunali, perchè altrimenti neanche ci si siede al tavolo delle trattative.
lunedì 2 novembre 2015
lunedì 26 ottobre 2015
Women in gold, Adele Bloch-Bauer, Klimt, il falco Volcker e la bagarre sui beni sottratti agli ebrei
Helen Mirren, che già abbiamo avuto modo di apprezzare nell'interpretazione di Queen Elisabeth II, è la bravissima protagonista di Women in gold (nome che i tedeschi attribuirono al dipinto per nasconderne la vera provenienza), film che vi consigliamo di andare a vedere.
Come scrive Wikipedia, il film è basato sulla storia vera della defunta Maria Altmann, una sopravvissuta all'Olocausto, che, insieme al giovane avvocato E. Randol Schönberg, ha combattuto il governo austriaco per quasi un decennio per recuperare l'iconico quadro di Gustav Klimt Ritratto di Adele Bloch-Bauer I (dipinto nel 1907) appartenuto a sua zia, che era stato confiscato dai nazisti a Vienna poco prima della seconda guerra mondiale.
Dopo essere stato realizzato a Vienna e commissionato da Adele, la moglie dell'industriale Ferdinand Bloch-Bauer, essa chiese al marito di donarlo, assieme ad altre opere di Klimt in suo possesso, alla Österreichische Galerie Belvedere dopo la sua morte. Quando i nazisti invasero l'Austria, il marito, rimasto vedovo, dovette fuggire dall'Austria per rifugiarsi in Svizzera. La sua proprietà, così come i suoi dipinti realizzati da Klimt, vennero quindi confiscati. Nel suo testamento del 1945, Bloch-Bauer designò il suo patrimonio ai propri nipoti, includenti Maria Altmann.
Mentre i dipinti di Bloch-Bauer rimasero in Austria, il governo austriaco sottolineò che, secondo il testamento, dovevano rimanere in quella nazione. Dopo una lunga battaglia legale avvenuta in Austria e negli Stati Uniti (nota come Republic of Austria v. Altmann), una corte di giudici stabilì, nel 2006, che il ritratto di Adele, assieme ad altre opere di Klimt, doveva rimanere in possesso di Maria Altmann.
Per gli appassionati di battaglie giudiziarie, sulla rete trovate interessanti dettagli sulla decisione della Corte Suprema Americana, sotto la voce Republic of Austria vs. Maria Altmann
Durante il mese di giugno del 2006, le opere di Klimt vennero vendute in un asta da Christie's e se li aggiudicò Ronald Lauder, erede dell'impero Estee Lauder, per 300 milioni di dollari (il Ritratto di Adele Bloch-Bauer fu valutato 135 milioni di dollari, oggi vale molto di più). Un mese più tardi, il ritratto venne quindi esposto in mostra permanente nella Neue Galerie di New York di Lauder, come richiesto da Maria Altmann (da notare che i magnati negli Stati Uniti creano collezioni uniche al mondo, aperte al pubblico, in Italia comprano calciatori e squadre di calcio).
Ciò che il film non racconta è un fatto molto rilevante. Dopo aver combattuto e vinto negli anni Ottanta la battaglia contro l'inflazione, Paul Volcker, autorevolissimo banchiere centrale americano, di origine ebraica (qui trovate il suo profilo sul sito della Federal Reserve ), venne nominato nel 1996 presidente del comitato per la restituzione dei beni sottratti agli ebrei durante il dominio di Hitler. Le banche svizzere nicchiarono per un bel po', poi cedettero. Così si racconta sul sito swiss.info:
"Nel maggio 1996, l'Associazione svizzera dei banchieri e diverse organizzazioni ebraiche creano una commissione paritetica composta di persone eminenti e guidata dall'ex presidente della Federal Reserve, Paul Volcker. Essa era incaricata di effettuare verifiche indipendenti, al fine di identificare i conti bancari svizzeri in giacenza".
Senza la pressione della lobby ebraica negli States, senza la credibilità di Volcker, senza un movimento d'opinione a favore della restituzione, Maria Altmann non avrebbe potuto vincere la sua sacrosanta battaglia.
Dopo la svolta del 1996, in cui per la prima volta le banche svizzere sono state costrette a collaborare nella restituzione dei beni, il giornalista investigativo austriaco Hubertus Czernin si mise a lavorare sul caso, convinto di poter trovare dei documenti cruciali. Così successe nel 1998, li mise a disposizione di Maria Altmann, che iniziò la sua avventura giudiziaria.
Le persone sono in grado di cambiare gli eventi. La forza delle idee genera credibilità e autorevolezza. Quando parla Paul Volcker, ancora oggi, eh, - di cui si ricorda sempre la battuta per cui l'ultima innovazione interessante nel mondo della finanza è il bancomat - tutto il mondo si pone in ascolto. Anche lo Stato austriaco (i cui funzionari nel film sembrano degli emeriti scemi) ha ben pensato, nel corso dell'arbitrato di Vienna, che fosse meglio per l'immagine dell'Austria restituire il quadro di Adele Bloch-Bauer a Maria Altmann.
Non vedo l'ora di andare a New York sulla Quinta per apprezzare il quadro di Klimt!
Come scrive Wikipedia, il film è basato sulla storia vera della defunta Maria Altmann, una sopravvissuta all'Olocausto, che, insieme al giovane avvocato E. Randol Schönberg, ha combattuto il governo austriaco per quasi un decennio per recuperare l'iconico quadro di Gustav Klimt Ritratto di Adele Bloch-Bauer I (dipinto nel 1907) appartenuto a sua zia, che era stato confiscato dai nazisti a Vienna poco prima della seconda guerra mondiale.
![]() |
Helen Mirren |
Mentre i dipinti di Bloch-Bauer rimasero in Austria, il governo austriaco sottolineò che, secondo il testamento, dovevano rimanere in quella nazione. Dopo una lunga battaglia legale avvenuta in Austria e negli Stati Uniti (nota come Republic of Austria v. Altmann), una corte di giudici stabilì, nel 2006, che il ritratto di Adele, assieme ad altre opere di Klimt, doveva rimanere in possesso di Maria Altmann.
Per gli appassionati di battaglie giudiziarie, sulla rete trovate interessanti dettagli sulla decisione della Corte Suprema Americana, sotto la voce Republic of Austria vs. Maria Altmann
![]() |
Maria Altmann con il ritratto di Adele |
Ciò che il film non racconta è un fatto molto rilevante. Dopo aver combattuto e vinto negli anni Ottanta la battaglia contro l'inflazione, Paul Volcker, autorevolissimo banchiere centrale americano, di origine ebraica (qui trovate il suo profilo sul sito della Federal Reserve ), venne nominato nel 1996 presidente del comitato per la restituzione dei beni sottratti agli ebrei durante il dominio di Hitler. Le banche svizzere nicchiarono per un bel po', poi cedettero. Così si racconta sul sito swiss.info:
"Nel maggio 1996, l'Associazione svizzera dei banchieri e diverse organizzazioni ebraiche creano una commissione paritetica composta di persone eminenti e guidata dall'ex presidente della Federal Reserve, Paul Volcker. Essa era incaricata di effettuare verifiche indipendenti, al fine di identificare i conti bancari svizzeri in giacenza".
![]() |
Paul Volcker |
Dopo la svolta del 1996, in cui per la prima volta le banche svizzere sono state costrette a collaborare nella restituzione dei beni, il giornalista investigativo austriaco Hubertus Czernin si mise a lavorare sul caso, convinto di poter trovare dei documenti cruciali. Così successe nel 1998, li mise a disposizione di Maria Altmann, che iniziò la sua avventura giudiziaria.
Le persone sono in grado di cambiare gli eventi. La forza delle idee genera credibilità e autorevolezza. Quando parla Paul Volcker, ancora oggi, eh, - di cui si ricorda sempre la battuta per cui l'ultima innovazione interessante nel mondo della finanza è il bancomat - tutto il mondo si pone in ascolto. Anche lo Stato austriaco (i cui funzionari nel film sembrano degli emeriti scemi) ha ben pensato, nel corso dell'arbitrato di Vienna, che fosse meglio per l'immagine dell'Austria restituire il quadro di Adele Bloch-Bauer a Maria Altmann.
Non vedo l'ora di andare a New York sulla Quinta per apprezzare il quadro di Klimt!
lunedì 19 ottobre 2015
Inside out - la vittoria delle emozioni sul libero arbitrio
La teoria dell'efficienza dei mercati finanziari prevede che gli investitori siano totalmente razionali, e quindi compiano le scelte basandosi solamente sulle informazioni attualmente disponibili. Ma soprattutto che l'homo economicus fondi le proprie decisioni solo attraverso la logica e la razionalità. Non è così, evidentemente.
Quando l'efficienza è massima, si sostiene la non prevedibilità dei mercati in virtù del fatto che le informazioni sono immediatamente assorbite dai prezzi.
Nella mia tesi di laurea nel lontano 1994 riportai Eugene Fama e i suoi studi, corroborandoli con l'evidenza che il prezzo del succo d'arancia fosse immediatamente correlato con le previsioni del tempo in Florida (che abbonda di aranceti).
Tutti ricordano il film "Una poltrona per due", il cui titolo originale era "Trading places", il luogo dove avvengono le contrattazioni. In quel caso proprio - come avviene a Chicago - del succo d'arancia.
Nel film Inside Out che ho visto con i miei figli questo week end, il regista prende la posizione opposta ai teorici dei mercati efficienti, descrive mirabilmente quanto le emozioni impattino sulle nostre scelte.
Il difetto del film è l'assenza di un qualsivoglia ruolo delle facoltà razionali. Sembra che le persone reagiscano solo su base emozionale.
Un tantino esagerato. Come nella finanza, sappiamo bene che i mercati non siano sempre efficienti. Hanno scommesso sui cdo (collateral debt obbligation) americani di pessima qualità - con mutuatari ninja (no income, no income, no asset, no job). Hanno pagato spread risibili negli anni scorsi sull’Italia, la Spagna e la Grecia, sottovalutando pesantemente il rischio di credito.
Ciò non toglie che i mercati finanziari nel medio termine svolgano correttamente il loro lavoro di allocatori della ricchezza.
Una scena significativa del film evidenzia come l'uomo a cena sia completamente avulso dai discorsi familiari, e invece concentrato su una partita di calcio.
Sarà anche così, ogni tanto, ma non sempre. Il calcio conta eccome (sono tornato scornato ieri sera dopo un'Inter mediocre). Ma nella mia testa, c'è anche dell'altro (oltre a Paolo Baffi, beninteso).
Insomma un film divertente, ma non esageriamo.
Quando l'efficienza è massima, si sostiene la non prevedibilità dei mercati in virtù del fatto che le informazioni sono immediatamente assorbite dai prezzi.
Nella mia tesi di laurea nel lontano 1994 riportai Eugene Fama e i suoi studi, corroborandoli con l'evidenza che il prezzo del succo d'arancia fosse immediatamente correlato con le previsioni del tempo in Florida (che abbonda di aranceti).
Tutti ricordano il film "Una poltrona per due", il cui titolo originale era "Trading places", il luogo dove avvengono le contrattazioni. In quel caso proprio - come avviene a Chicago - del succo d'arancia.
Nel film Inside Out che ho visto con i miei figli questo week end, il regista prende la posizione opposta ai teorici dei mercati efficienti, descrive mirabilmente quanto le emozioni impattino sulle nostre scelte.
Il difetto del film è l'assenza di un qualsivoglia ruolo delle facoltà razionali. Sembra che le persone reagiscano solo su base emozionale.
Un tantino esagerato. Come nella finanza, sappiamo bene che i mercati non siano sempre efficienti. Hanno scommesso sui cdo (collateral debt obbligation) americani di pessima qualità - con mutuatari ninja (no income, no income, no asset, no job). Hanno pagato spread risibili negli anni scorsi sull’Italia, la Spagna e la Grecia, sottovalutando pesantemente il rischio di credito.
Ciò non toglie che i mercati finanziari nel medio termine svolgano correttamente il loro lavoro di allocatori della ricchezza.
Una scena significativa del film evidenzia come l'uomo a cena sia completamente avulso dai discorsi familiari, e invece concentrato su una partita di calcio.
Sarà anche così, ogni tanto, ma non sempre. Il calcio conta eccome (sono tornato scornato ieri sera dopo un'Inter mediocre). Ma nella mia testa, c'è anche dell'altro (oltre a Paolo Baffi, beninteso).
Insomma un film divertente, ma non esageriamo.
mercoledì 14 ottobre 2015
L'esempio di Virginio Rognoni, il caso Mantovani e la trappola del populismo
Settimana scorsa ho avuto il privilegio di essere invitato a Pavia al Collegio Ghislieri - uno dei più antichi del mondo, fondato nel 1567 da Papa Pio V - dove è avvenuta la premiazione di due alunni: il prof. Riccardo Puglisi, vincitore del Premio Ghislieri 2015, e il prof. Virginio Rognoni, a cui è stato conferito il Premio Ghislieri alla carriera.
Nella sala gremita in ogni ordine di posti, i due premiati hanno preso la parola e illuminato la platea con le loro lectiones magistrales.
Virginio Rognoni (uno migliori politici democristiani)- più volte ministro (dell'Interno, nei durissimi anni del terrorismo, e della Giustizia), vicepresidente del Csm - ha intitolato il suo intervento "L'esperienza nelle istituzioni come servizio civile".
Rognoni è partito da lontano, dall'8 settembre 1943, data dell'armistizio con gli americani, per lui il giorno di iscrizione al Collegio Ghislieri, mentre frequentava la facoltà di giurisprudenza all'università statale di Pavia. Verranno poi tempi felici appena finita la Guerra. Rognoni, appassionato crede nella politica al servizio delle istituzioni, non nel potere arrogante della politica, contro la quale bisogna usare l'ironia e lo sberletto (parole sue).
Sul potere arrogante, abbiamo un esempio fresco fresco: Mario Mantovani, arrestato ieri dalla procura di Milano per corruzione aggravata, concussione e turbativa d'asta, plenipotenziario di Forza Italia in Lombardia, imprenditore nella sanità (tramite la moglie), dove voleva fare il bello e il cattivo tempo. Marco Vitale (che ha vinto l'anno scorso il Ghislieri alla carriera) ha spiegato stamane su Repubblica-Milano che "il moltiplicarsi degli episodi di corruzione è la conseguenza di una concezione proprietaria dello Stato (...). Sulla sanità lombarda è stato praticato il saccheggio perchè chi governava si riteneva padrone assoluto".
Siamo proprio agli antipodi della concezione della politica di Virgilio Rognoni., E' per questo che persone come Rognoni vanno ricordate e poste all'attenzione perchè i politici non sono tutti uguali.
Un altro passaggio interessante dell'intervento di Rognoni riferisce della lotta di potere all'interno delle istituzioni durante il terrorismo nero e rosso degli anni Settanta/Ottanta: "Felice è stata la scelta in quei frangenti, di affidarsi alle forze di polizia e carabinieri e non a consulenti esterni". Un velato riferimento alla volontà del ministro dell'Interno Francesco Cossiga di affidarsi ai consulenti del dipartimento di stato americano (vedasi il ruolo di Steve Pieczenik) durante il sequestro di Aldo Moro?
Intensi furono i rapporti tra Rognoni e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, con il quale condivise lo strumento della confisca dei beni per combattere il fenomeno mafioso. Virginio Rognoni con Pio La Torre, poi barbaramente assassinato nel 1982, scrisse materialmente la legge n. 646 del 6 settembre 1982, con la quale si definì il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Rognoni è pacato ma le sue parole sono sferzanti e dense di significato. Cita Aldo Moro: "La politica è fatta di forza ma ci deve essere un fondamento ideale", per poi spiegare come la buona politica deve avere il requisite della verità.
Rognoni, 91 anni portati splendidamente, chiude la sua lectio con un riferimento commovente: "Ancora soffro per le vite spezzate, le vittime di mafia e terrorismo, che fanno parte della memoria del Paese". Applausi sentiti per un galantuono del Novecento, per un politico che ha vissuto pienamente i suoi tempi.
E' la volta di Riccardo Puglisi, professore associato di economia politica all'Università di Pavia, collaboratore del Corriere della Sera e dell'Linkiesta, nonchè redattore della voce.info. Vivace, arguto, con un forte senso critico, Riccardo è un abile conversatore. Riesce quindi, a braccio, a farsi ascoltare dalla platea, consapevole che parlare dopo Rognoni è una bella sfida.
Puglisi sceglie di trattare il tema "Euro ed Europa: una terza via tra idealismo e demagogia", un argomento quanto mai attuale con i demagoghi Matteo Salvini e Beppe Grillo che imperversano nel Paese alla ricerca di consenso. Un consenso malato perchè basato sulla fuffa.
Dopo la drammatica estate greca i fautori dell'uscita dell'Italia dall'euro si sono fatti più cauti. Le file dei greci piangenti davanti agli sportelli chiusi delle banche deve far riflettere.
Puglisi sottolinea come ci sia una forte divergenza di opinioni tra la generazione dei padri/nonni e la nostra generazione, che guarda con "occhi più disincantati" al progetto europeo: "In maniera colposa o dolosa, questo disincanto può velocemente trasformarsi nella demagogica ricerca di un capro espiatorio".
"Uno spettro si aggira per l'Europa", dice Puglisi, si vuole addossare all'Europa la colpa di tutti i mali del mondo. Ma cosa sarebbe successo senza Euro e UE? Puglisi si cimenta in quella disciplina tra storia e immaginazione: l'ucronìa, ovvero lo studio del "non tempo", un esercizio controfattuale. Il fine è costituire una sorta di antidote contro il veleno populistico che considera l'Europa e l'Euro un mostro da combattere.
Con colossi come la Cina, l'India, gli Stati Uniti, come si può pensare che la piccola Italia possa giocare un ruolo economico e politico se fosse da sola, nei mari in gran tempesta? Solo i gonzi possono pensarlo: "Vi sono buone ragioni perchè un'Italia e una Grecia che non siano membri dell'Unione Europea - semplicemente perchè essa non esiste - vengano risparmiate da questi flussi migratori? Sotto quale forma di alleanza internazionale alternative Italia e Grecia troverebbero qualche aiuto esterno?". Sono domande alle quali i populisti nostrani non sanno rispondere.
La verità è che l'Italia ha basato la propria politica economica sul deficit spending (che ha fatto esplodere il debito pubblico) e le svalutazioni competitive. Terminate queste due opzioni, grazie al Trattato di Maastricht e all'euro, l'Italia deve pensare a come migliorare la propria produttività totale dei fattori tramite l'innovazione e il progresso tecnologico. Lo saprà fare? Ai posteri l'ardua sentenza.
Puglisi chiude tra gli applausi il suo intervento invitando l'Unione Europea a raccontare che cosa sarebbe successo ai suoi cittadini se non fosse mai nata, una sorta di "uchronic telling". Chissà se da Pavia il messaggio è giunto a Bruxelles e Strasburgo.
Ciò che conta è l'esperienza personale. Mentre tornavo verso Milano, dopo la cena nel porticato del Collegio Ghislieri, ho pensato a quanto queste due lezioni di Rognoni e Puglisi siano fonte di pensiero e azione. L'Italia è piena di persone serie e preparate. Mettiamole in condizioni di lavorare per il bene comune.
Nella sala gremita in ogni ordine di posti, i due premiati hanno preso la parola e illuminato la platea con le loro lectiones magistrales.
Virginio Rognoni (uno migliori politici democristiani)- più volte ministro (dell'Interno, nei durissimi anni del terrorismo, e della Giustizia), vicepresidente del Csm - ha intitolato il suo intervento "L'esperienza nelle istituzioni come servizio civile".
![]() |
Virginio Rognoni |
Sul potere arrogante, abbiamo un esempio fresco fresco: Mario Mantovani, arrestato ieri dalla procura di Milano per corruzione aggravata, concussione e turbativa d'asta, plenipotenziario di Forza Italia in Lombardia, imprenditore nella sanità (tramite la moglie), dove voleva fare il bello e il cattivo tempo. Marco Vitale (che ha vinto l'anno scorso il Ghislieri alla carriera) ha spiegato stamane su Repubblica-Milano che "il moltiplicarsi degli episodi di corruzione è la conseguenza di una concezione proprietaria dello Stato (...). Sulla sanità lombarda è stato praticato il saccheggio perchè chi governava si riteneva padrone assoluto".
Siamo proprio agli antipodi della concezione della politica di Virgilio Rognoni., E' per questo che persone come Rognoni vanno ricordate e poste all'attenzione perchè i politici non sono tutti uguali.
Un altro passaggio interessante dell'intervento di Rognoni riferisce della lotta di potere all'interno delle istituzioni durante il terrorismo nero e rosso degli anni Settanta/Ottanta: "Felice è stata la scelta in quei frangenti, di affidarsi alle forze di polizia e carabinieri e non a consulenti esterni". Un velato riferimento alla volontà del ministro dell'Interno Francesco Cossiga di affidarsi ai consulenti del dipartimento di stato americano (vedasi il ruolo di Steve Pieczenik) durante il sequestro di Aldo Moro?
Intensi furono i rapporti tra Rognoni e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, con il quale condivise lo strumento della confisca dei beni per combattere il fenomeno mafioso. Virginio Rognoni con Pio La Torre, poi barbaramente assassinato nel 1982, scrisse materialmente la legge n. 646 del 6 settembre 1982, con la quale si definì il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Rognoni è pacato ma le sue parole sono sferzanti e dense di significato. Cita Aldo Moro: "La politica è fatta di forza ma ci deve essere un fondamento ideale", per poi spiegare come la buona politica deve avere il requisite della verità.
Rognoni, 91 anni portati splendidamente, chiude la sua lectio con un riferimento commovente: "Ancora soffro per le vite spezzate, le vittime di mafia e terrorismo, che fanno parte della memoria del Paese". Applausi sentiti per un galantuono del Novecento, per un politico che ha vissuto pienamente i suoi tempi.
![]() |
Riccardo Puglisi |
Puglisi sceglie di trattare il tema "Euro ed Europa: una terza via tra idealismo e demagogia", un argomento quanto mai attuale con i demagoghi Matteo Salvini e Beppe Grillo che imperversano nel Paese alla ricerca di consenso. Un consenso malato perchè basato sulla fuffa.
Dopo la drammatica estate greca i fautori dell'uscita dell'Italia dall'euro si sono fatti più cauti. Le file dei greci piangenti davanti agli sportelli chiusi delle banche deve far riflettere.
Puglisi sottolinea come ci sia una forte divergenza di opinioni tra la generazione dei padri/nonni e la nostra generazione, che guarda con "occhi più disincantati" al progetto europeo: "In maniera colposa o dolosa, questo disincanto può velocemente trasformarsi nella demagogica ricerca di un capro espiatorio".
"Uno spettro si aggira per l'Europa", dice Puglisi, si vuole addossare all'Europa la colpa di tutti i mali del mondo. Ma cosa sarebbe successo senza Euro e UE? Puglisi si cimenta in quella disciplina tra storia e immaginazione: l'ucronìa, ovvero lo studio del "non tempo", un esercizio controfattuale. Il fine è costituire una sorta di antidote contro il veleno populistico che considera l'Europa e l'Euro un mostro da combattere.
Con colossi come la Cina, l'India, gli Stati Uniti, come si può pensare che la piccola Italia possa giocare un ruolo economico e politico se fosse da sola, nei mari in gran tempesta? Solo i gonzi possono pensarlo: "Vi sono buone ragioni perchè un'Italia e una Grecia che non siano membri dell'Unione Europea - semplicemente perchè essa non esiste - vengano risparmiate da questi flussi migratori? Sotto quale forma di alleanza internazionale alternative Italia e Grecia troverebbero qualche aiuto esterno?". Sono domande alle quali i populisti nostrani non sanno rispondere.
![]() |
Collegio Ghislieri |
La verità è che l'Italia ha basato la propria politica economica sul deficit spending (che ha fatto esplodere il debito pubblico) e le svalutazioni competitive. Terminate queste due opzioni, grazie al Trattato di Maastricht e all'euro, l'Italia deve pensare a come migliorare la propria produttività totale dei fattori tramite l'innovazione e il progresso tecnologico. Lo saprà fare? Ai posteri l'ardua sentenza.
Puglisi chiude tra gli applausi il suo intervento invitando l'Unione Europea a raccontare che cosa sarebbe successo ai suoi cittadini se non fosse mai nata, una sorta di "uchronic telling". Chissà se da Pavia il messaggio è giunto a Bruxelles e Strasburgo.
Ciò che conta è l'esperienza personale. Mentre tornavo verso Milano, dopo la cena nel porticato del Collegio Ghislieri, ho pensato a quanto queste due lezioni di Rognoni e Puglisi siano fonte di pensiero e azione. L'Italia è piena di persone serie e preparate. Mettiamole in condizioni di lavorare per il bene comune.
martedì 6 ottobre 2015
In Francia il comunismo non è morto e lo Stato sociale non basta più
![]() |
Xavier Broseta., direttore personale di Air France |
Mentre i giovani hanno capito da tempo che la flessibilità dei rapporti di lavoro (il precariato detto più volgarmente) è strutturale, gli altri, i più avanti con l'età, pretendono che il welfare state li accompagni in pensione a 45 anni (modello Termini Imerese, per intendersi, cassa integrazione a vita per tutti, tanto paga Pantalone).
Abbiamo quindi un sistema duale: i giovani, senza alcuna tutela, e i meno giovani stretti, ancorati al posto di lavoro, inamovibili, con stipendi nettamente maggiori, anche se la produttività è nettamente più bassa (vedasi gli studi di Andrea Ichino).
Il sistema non regge più. L'Europa ha il 7% della popolazione, il 25% del Prodotto lordo, il 50% delle spese per il Welfare State. Quest'ultimo, andando contro il dettato di William Beveridge, autore del Rapporto omonimo (Report of the Inter-Departmental Committee on Social Insurance and Allied Services) del 1942, è stato costruito come se l'economia fosse in uno stato perenne di "miracolo economico", come se un lavoratore avesse nella sua vita un singolo datore di lavoro. Se si perde il lavoro perchè l'azienda chiude, l'unica alternativa è rapire o sequestrare i manager o legarsi con le catene sopra un silos.
![]() |
Bettino Craxi |
Dove erano i giuristi dei diritti per tutti, come il prof. Ro-do-tà sempre in tv, quando la natalità si invertiva rendendo insostenibile il sistema pensionistico retributivo?
La Francia è messa addirittura peggio di noi, la sinistra ortodossa e corporativa è potente. Il corollario è che l'incidenza della spesa pubblica sul Pil supera il 56%, mentre noi italiani siamo "solo" al 51,1%.
Cosa aspettiamo a modificare il nostro welfare State? Cosa fa la politica per favorire politiche di flexsecurity?
giovedì 1 ottobre 2015
Il caso Volkswagen è la dimostrazione di una profonda differenza culturale tra Stati Uniti ed Europa
La truffa Volkswagen è l'argomento del giorno. Mai e poi mai un italiano avrebbe potuto pensare che la seconda casa automobilistica del mondo (la prima è Toyota) agisse così smaccatamente con l'obiettivo di prendere in giro i consumatori e le autorità di controllo dell'inquinamento dei motori diesel, notoriamente più inquinanti dei motori a benzina.
Se fosse stata la Fiat a organizzare questo colossale inganno, tutto il mondo ci avrebbe dato addosso confermando nella percezione che l'italiano è un soggetto poco affidabile.
Adesso per la Volkswagen nulla sara più come prima. Dopo le dimissioni dell'amministratore delegato Martin Winterkorn, sarà tutta la governance del colosso tedesco da cambiare. Questo non è infatti il primo episodio anomalo. Pochi ricordano che qualche anno fa la Volkswagen fu protagonista in borsa di un rialzo assurdo poco dopo la crisi Lehman. Porsche rastrellò segretamente il 43% delle azioni Volkswagen e un altro 31% tramite derivati. In due giorni il titolo Volkswagen guadagno il 500% poichè gli operatori ribassisti - short - sul titolo furono costretti a ricoprirsi ma il flottante scarseggiava, tirando su il titolo all'impazzata.
Credo che una riflessione vada fatta sulla diversità culturale tra Stati Uniti ed Europa. Quando entriamo negli Stati Uniti, nel compilare il form in aereo, noi europei sorridiamo quando ci viene chiesto se siamo mai stati condannati per reati penali, se siamo in possesso di armi o altre domande apparentemente assurde, ma che sono tenute in considerazione dalle autorità americane, che non tollerano bugie e malafede. In America contano due cose: l'accountability e l'enforcement. Bisogna rendere conto dei propri comportamenti, in modo trasparente e chiaro, senza opacità e se si infrangono le regole, la punizione è immediata, la sanzione è pesantissima, non a babbo morto, come da noi in Italia.
Non è stato sottolineato abbastanza che la Volkswagen ha ammesso di aver truffato il software di misurazione dell'emissioni inquinanti solo dopo che il direttore dell'International Council on Clean Transportation (ente privato, finanziato da privati) ha indotto l'Epa, United States Environmental Protection Agency, a minacciare il blocco delle vendite negli Stati Uniti delle vetture Volkswagen. Se non fossero stati messi alle strette, i tedeschi non avrebbero ammesso alcunchè.
In Europa, invece, vale il detto "carta canta". Se le carte sono a posto, puoi continuare a ingannare il prossimo per decenni (vedi caso Parmalat, dove con uno scanner erano in grado di riprodurre depositi bancari per miliardi di euro).
Come ha documentato il Financial Times il 28 settembre - EU was warned two years ago over VW-type emission cheat devices - i funzionari dell'Unione Europea hanno chiuso tutti e due gli occhi in presenza di anomalie nella misurazione delle emissioni inquinanti. La potente Germania si oppose ad andare a fondo. Le carte erano ok.
Negli Stati Uniti colui che ha investito causandone la morte la giovane sposa italiana Alice Gruppioni è stato condannato a 42 anni. Non ci saranno sconti di pena, indulti, condoni, leggi Gozzini. Uscirà tra 42 anni, se sarà ancora in vita (l'omicida ne ha 39). In Italia, per incidente colposo non si va neanche in galera .
Se fosse stata la Fiat a organizzare questo colossale inganno, tutto il mondo ci avrebbe dato addosso confermando nella percezione che l'italiano è un soggetto poco affidabile.
Adesso per la Volkswagen nulla sara più come prima. Dopo le dimissioni dell'amministratore delegato Martin Winterkorn, sarà tutta la governance del colosso tedesco da cambiare. Questo non è infatti il primo episodio anomalo. Pochi ricordano che qualche anno fa la Volkswagen fu protagonista in borsa di un rialzo assurdo poco dopo la crisi Lehman. Porsche rastrellò segretamente il 43% delle azioni Volkswagen e un altro 31% tramite derivati. In due giorni il titolo Volkswagen guadagno il 500% poichè gli operatori ribassisti - short - sul titolo furono costretti a ricoprirsi ma il flottante scarseggiava, tirando su il titolo all'impazzata.
Credo che una riflessione vada fatta sulla diversità culturale tra Stati Uniti ed Europa. Quando entriamo negli Stati Uniti, nel compilare il form in aereo, noi europei sorridiamo quando ci viene chiesto se siamo mai stati condannati per reati penali, se siamo in possesso di armi o altre domande apparentemente assurde, ma che sono tenute in considerazione dalle autorità americane, che non tollerano bugie e malafede. In America contano due cose: l'accountability e l'enforcement. Bisogna rendere conto dei propri comportamenti, in modo trasparente e chiaro, senza opacità e se si infrangono le regole, la punizione è immediata, la sanzione è pesantissima, non a babbo morto, come da noi in Italia.
Non è stato sottolineato abbastanza che la Volkswagen ha ammesso di aver truffato il software di misurazione dell'emissioni inquinanti solo dopo che il direttore dell'International Council on Clean Transportation (ente privato, finanziato da privati) ha indotto l'Epa, United States Environmental Protection Agency, a minacciare il blocco delle vendite negli Stati Uniti delle vetture Volkswagen. Se non fossero stati messi alle strette, i tedeschi non avrebbero ammesso alcunchè.
In Europa, invece, vale il detto "carta canta". Se le carte sono a posto, puoi continuare a ingannare il prossimo per decenni (vedi caso Parmalat, dove con uno scanner erano in grado di riprodurre depositi bancari per miliardi di euro).
Come ha documentato il Financial Times il 28 settembre - EU was warned two years ago over VW-type emission cheat devices - i funzionari dell'Unione Europea hanno chiuso tutti e due gli occhi in presenza di anomalie nella misurazione delle emissioni inquinanti. La potente Germania si oppose ad andare a fondo. Le carte erano ok.
Negli Stati Uniti colui che ha investito causandone la morte la giovane sposa italiana Alice Gruppioni è stato condannato a 42 anni. Non ci saranno sconti di pena, indulti, condoni, leggi Gozzini. Uscirà tra 42 anni, se sarà ancora in vita (l'omicida ne ha 39). In Italia, per incidente colposo non si va neanche in galera .
lunedì 21 settembre 2015
Il Califfato islamico aiuta l'integrazione in Occidente, tramite l'emigrazione
Come ha evidenziato tempo fa Bernard-Henry Lévy sul Corriere della Sera il Califfato islamico o Isis - nato essenzialmente per bloccare la globalizzazione - sta causando il più grande flusso migratorio intercontinentale che la storia ricordi.
La sconfitta culturale di queste persone ossessionate sta tutta nella fuga dei loro vicini di casa. Nato per difendere il mondo musulmano dalla contaminazione con l’Occidente, il Califfato conquista terreno con le armi scatenando una vera e propria guerra civile. La conseguenza è la migrazione di migliaia di musulmani verso l’Europa. La risultante complessiva è una formidabile accelerazione dell’osmosi tra popoli di continenti, culture e religioni diverse.
In relazione a un possibile intervento militare in Siria, a fianco del terribile Bashar Assad, mettendo insieme Russia e Stati Uniti, l'ex presidente del Consiglio Giuliano Amato pensa che si sia superata la misura e che sia necessario fare qualcosa contro l'Isis, definito un pericolo paragonabile al nazismo. In una intervista a Claudio Cerasa, direttore del Foglio, il dottor Sottile dice:
”Bisogna mettersi in testa che la minaccia costituita dallo Stato islamico è una minaccia non inferiore a quella rappresentata dal nazismo nello scorso secolo. E se ci fosse un Kissinger - è appena uscito il volume di Niall Ferguson, Kissinger; 1923-1968 (Penguin Press), per chi si volesse cimentare sono oltre 1.000 pagine - in Europa non avrebbe dubbi su che fare. Non possiamo fronteggiare l’onda lunga della fuga dei siriani senza affrontare in modo efficace il problema siriano. E a questo fine non bastano i droni”. Giuliano Amato si schiera per un’azione militare proporzionata al livello della minaccia, quindi superiore rispetto agli attuali bombardamenti, iniziati un anno fa e finora incapaci di far arretrare l’ISIS”.
”Se dovessi immaginare una soluzione ideale come modello per portare avanti un intervento militare immagino quel che abbiamo fatto nei Balcani: robusto intervento militare e promozione di poteri locali misti”. Il giudice costituzionale esclude che la nostra Carta impedisca una simile azione. ” L’Italia ripudia la guerra solo come mezzo di aggressione degli altri, ma non la esclude affatto per difendersi. E per difenderci dall’ISIS non dobbiamo aspettare che arrivi in Pianura padana”.
Nella realpolitik internazionale vale il concetto che il nemico del mio nemico è mio amico, per cui dobbiamo sperare che Obama si metta d'accordo con Putin per aiutare il pessimo Assad a sconfiggere militarmente il Califfato Islamico, prima che la sua espansione in Kurdistan, in Iraq e in Siria diventi letale".
L'Occidente rischia di sbagliare in qualsiasi caso. Se non interviene, l'Isis si allarga. Se interviene, viene accusato di infrangere la sovranità altrui. Un bell'impasse.
La sconfitta culturale di queste persone ossessionate sta tutta nella fuga dei loro vicini di casa. Nato per difendere il mondo musulmano dalla contaminazione con l’Occidente, il Califfato conquista terreno con le armi scatenando una vera e propria guerra civile. La conseguenza è la migrazione di migliaia di musulmani verso l’Europa. La risultante complessiva è una formidabile accelerazione dell’osmosi tra popoli di continenti, culture e religioni diverse.
In relazione a un possibile intervento militare in Siria, a fianco del terribile Bashar Assad, mettendo insieme Russia e Stati Uniti, l'ex presidente del Consiglio Giuliano Amato pensa che si sia superata la misura e che sia necessario fare qualcosa contro l'Isis, definito un pericolo paragonabile al nazismo. In una intervista a Claudio Cerasa, direttore del Foglio, il dottor Sottile dice:
”Bisogna mettersi in testa che la minaccia costituita dallo Stato islamico è una minaccia non inferiore a quella rappresentata dal nazismo nello scorso secolo. E se ci fosse un Kissinger - è appena uscito il volume di Niall Ferguson, Kissinger; 1923-1968 (Penguin Press), per chi si volesse cimentare sono oltre 1.000 pagine - in Europa non avrebbe dubbi su che fare. Non possiamo fronteggiare l’onda lunga della fuga dei siriani senza affrontare in modo efficace il problema siriano. E a questo fine non bastano i droni”. Giuliano Amato si schiera per un’azione militare proporzionata al livello della minaccia, quindi superiore rispetto agli attuali bombardamenti, iniziati un anno fa e finora incapaci di far arretrare l’ISIS”.
”Se dovessi immaginare una soluzione ideale come modello per portare avanti un intervento militare immagino quel che abbiamo fatto nei Balcani: robusto intervento militare e promozione di poteri locali misti”. Il giudice costituzionale esclude che la nostra Carta impedisca una simile azione. ” L’Italia ripudia la guerra solo come mezzo di aggressione degli altri, ma non la esclude affatto per difendersi. E per difenderci dall’ISIS non dobbiamo aspettare che arrivi in Pianura padana”.
![]() |
Henry Kissinger |
L'Occidente rischia di sbagliare in qualsiasi caso. Se non interviene, l'Isis si allarga. Se interviene, viene accusato di infrangere la sovranità altrui. Un bell'impasse.
mercoledì 16 settembre 2015
Quando dall'estero si critica l'austerity, è opportuno conoscere la realtà italiana. Altro che austerity, esiste da sempre il Partito della spesa
In questi 7 anni di crisi economica abbiamo spesso visto diversi economisti stranieri criticare l'austerità, che in Italia non c'è mai stata poichè la spesa corrente primaria - ossia al netto degli interessi sul debito pubblico esistente - è sempre salita dal 1955.
Martedì 15 settembre l'economista americano James Galbraith intervistato su Repubblica ha evidenziato che "l'ossessione per il debito e la finanza pubblica ha portato l'Europa a sprofondare nella recessione". Galbraith dall'alto della sua conoscenza, lontanissimo negli Stai Uniti ci viene a fare la lezioncina di politica economica, ma l'Italia la conosce ben poco.
Lo aiutiamo noi. Il 13 settembre su Repubblica-Palermo Antonio Fraschilla ci informa che in Sicilia sono ci sono 76 dirigenti del dipartimento dei Beni culturali senza incarico, ossia pagati per non fare nulla. Abbiamo già parlato su questo blog dell'assurda situazione dell'Assemblea Regionale Siciliana, dove esistono degli impiegati la cui mansion è portare le carte fisicamente da un ufficio all'altro. Federico II si sta rivoltando nella tomba.
I 76 manager senza incarico sono solo il 4,2% dei 1.818 dirigenti della Regione siciliana censiti a fine 2013 (nel 2015 saranno sicuramente di più). In diversi casi, i dirigenti dirigono se stessi, nel senso che non hanno sottoposti. Hanno un ufficio tutto loro come il direttore del parco archeologico di Morgantina, famosissimo nel mondo, eh. In tutte le regioni italiane a statuto ordinario i dirigenti complessivi sono 2.152. E' noto, peraltro, che il dirigente pubblico, al contrario di quello privato, è di fatto illicenziabile.
Aspettiamo con ansia il prossimo decreto per salvare la Regione Sicilia che ha un buco nei conti colossale. Per miliardi di euro. Nell'attivo ha ancora dei crediti per le aree sottoutilizzate (fondi FAS) che non esistono più. Nel frattempo sotto Palazzo dei Normanni stazionano a fumare una sigaretta decine di autisti nei pressi delle numerosissime auto blu, rigorosamente straniere, Audi A6 in primis.
Se Sergio Marchionne avesse, per ipotesi, pieni poteri e potesse cambiare le regole e gli incentivi nella pubblica amministrazione, licenziando anche i nullafacenti, il risparmio di spesa corrente sarebbe nell'intorno dei 100 miliardi di euro l'anno. Se la spesa corrente non viene ridotta, non ci saranno mai le risorse per gli investimenti.
Caro Galbraith, in Italia l'austerity non c'è mai stata. Ciò che è sempre esistito è il "partito della spesa" (copyright Guido Carli).
Martedì 15 settembre l'economista americano James Galbraith intervistato su Repubblica ha evidenziato che "l'ossessione per il debito e la finanza pubblica ha portato l'Europa a sprofondare nella recessione". Galbraith dall'alto della sua conoscenza, lontanissimo negli Stai Uniti ci viene a fare la lezioncina di politica economica, ma l'Italia la conosce ben poco.
Lo aiutiamo noi. Il 13 settembre su Repubblica-Palermo Antonio Fraschilla ci informa che in Sicilia sono ci sono 76 dirigenti del dipartimento dei Beni culturali senza incarico, ossia pagati per non fare nulla. Abbiamo già parlato su questo blog dell'assurda situazione dell'Assemblea Regionale Siciliana, dove esistono degli impiegati la cui mansion è portare le carte fisicamente da un ufficio all'altro. Federico II si sta rivoltando nella tomba.
I 76 manager senza incarico sono solo il 4,2% dei 1.818 dirigenti della Regione siciliana censiti a fine 2013 (nel 2015 saranno sicuramente di più). In diversi casi, i dirigenti dirigono se stessi, nel senso che non hanno sottoposti. Hanno un ufficio tutto loro come il direttore del parco archeologico di Morgantina, famosissimo nel mondo, eh. In tutte le regioni italiane a statuto ordinario i dirigenti complessivi sono 2.152. E' noto, peraltro, che il dirigente pubblico, al contrario di quello privato, è di fatto illicenziabile.
Aspettiamo con ansia il prossimo decreto per salvare la Regione Sicilia che ha un buco nei conti colossale. Per miliardi di euro. Nell'attivo ha ancora dei crediti per le aree sottoutilizzate (fondi FAS) che non esistono più. Nel frattempo sotto Palazzo dei Normanni stazionano a fumare una sigaretta decine di autisti nei pressi delle numerosissime auto blu, rigorosamente straniere, Audi A6 in primis.
Se Sergio Marchionne avesse, per ipotesi, pieni poteri e potesse cambiare le regole e gli incentivi nella pubblica amministrazione, licenziando anche i nullafacenti, il risparmio di spesa corrente sarebbe nell'intorno dei 100 miliardi di euro l'anno. Se la spesa corrente non viene ridotta, non ci saranno mai le risorse per gli investimenti.
Caro Galbraith, in Italia l'austerity non c'è mai stata. Ciò che è sempre esistito è il "partito della spesa" (copyright Guido Carli).
giovedì 10 settembre 2015
11 settembre 2001, una data da non dimenticare
Sono toccanti le parole del Memorial September 11, che ogni anno invita a commemorare e non dimenticare tutti coloro che sono deceduti nelle Torri Gemelle quella tragica mattina del 2001: "As the anniversary of September 11 approaches, our thoughts are once again with all those who lost loved ones on that tragic morning. We remember the names, faces, and lives of the men, women, and children who were killed, and look for ways to ensure that each and every one of them is not forgotten. As we commemorate here at the Memorial, we invite you to join us in remembering September 11 and all that this day means".
Non dimentichiamo. Lo scrittore Christian Salmon l'altro giorno su Repubblica ha spiegato come l'11 settembre abbia dato via alla guerra delle narrazioni (alias storytelling): "La posta in gioco non sono più dei territori o delle risorse naturali, ma il controllo della narrazione dominanti, l'attenzione e il credito che riceve. Questa guerra ha come teatro delle operazioni non più i campi di battaglia tradizionali, ma gli schermi dei nostri computer e cellulari, e come armi non più aerei e carri armati, ma storie, immagini, metafore che circolano sui social network. E' una guerra che mobilita immagini e parole ai fini di persuasione o seduzione".
Salmon vuole dirci che, nell'era della civiltà delle immagini, l'attentato dell'11 Settembre 2001 non era solamente mediatico, ma media-attivo, nel senso che l'effetto di stupore prodotto dale immagini prosegue la sua azione corrosive molto tempo dopo l'evento. Si ha una "trasfusione di terrore" attraverso le immagini della tv e sui nostri smartphone.
Come parlarne con i nostri figli? Nell'era della trasparenza, una riflessione è dovuta. Io sono stato al September 11 Memorial. E' una visita che va fatta. Perchè la memoria è la risorsa che ci consente di elaborare il lutto e trovare le forze per andare Avanti e guardare con fiducia al futuro.
Non dimentichiamo. Lo scrittore Christian Salmon l'altro giorno su Repubblica ha spiegato come l'11 settembre abbia dato via alla guerra delle narrazioni (alias storytelling): "La posta in gioco non sono più dei territori o delle risorse naturali, ma il controllo della narrazione dominanti, l'attenzione e il credito che riceve. Questa guerra ha come teatro delle operazioni non più i campi di battaglia tradizionali, ma gli schermi dei nostri computer e cellulari, e come armi non più aerei e carri armati, ma storie, immagini, metafore che circolano sui social network. E' una guerra che mobilita immagini e parole ai fini di persuasione o seduzione".
![]() |
September 11 Memorial |
Come parlarne con i nostri figli? Nell'era della trasparenza, una riflessione è dovuta. Io sono stato al September 11 Memorial. E' una visita che va fatta. Perchè la memoria è la risorsa che ci consente di elaborare il lutto e trovare le forze per andare Avanti e guardare con fiducia al futuro.
mercoledì 2 settembre 2015
Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa vive ancora in tutti noi
Verso la fine del colloquio di maturità, la mia mente improvvisamente si ricordò di Ugo Foscolo e recitò al volo il celebre passo dei Sepolcri
Passati decenni dal lontano 1989, ho la consapevolezza di dire che il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa rappresenti l'urne de' forti, un forte stimolo a compiere egregie cose. Nonostante sia stato barbaramente assassinato, Dalla Chiesa vive in tutti noi. Personalmente mi recherò domani in Piazza Diaz alle 18.30 per la commemorazione.
Il 3 settembre cade l'anniversario del barbaro assassinio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emmanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta Domenico Russo.
Dalla Chiesa, sceso a Palermo nella primavera del 1982 come Prefetto, cercò di combattere il fenomeno mafioso - che lui conosceva bene avendo comandato dal 1966 al 1973 la legione dei carabinieri di Palermo - non solo a livello repressivo, ma lavorando sui diritti dei cittadini, ridotti a sudditi da parte della criminalità organizzata.
Il giudice Gian Carlo Caselli, collaborator di Dalla Chiesa sul fronte del terrorismo - ha ricordato: “Dalla Chiesa ha occupato gran parte dei suoi 100 giorni come Prefetto di Palermo a parlare ai ragazzi delle scuole, agli operai dei cantieri navali, alla cittadinanza. Perchè sapeva che l’antimafia “delle manette” deve intrecciarsi con l’antimafia “dei diritti”. Altrimenti non si risolve nulla”. Caselli ha definito in passato il Generale Dalla Chiesa "un servitore dello Stato fino all'estremo sacrificio".
Nell’intervista – testamento spiritual, tutta da leggere - a Giorgio Bocca 23 giorni prima di essere ucciso, il Generale Dalla Chiesa disse: “Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.
Dalla Chiesa impersonava il potere, che in Italia viene considerato un qualcosa di negativo. Occorre distinguere, tra potere responsabile e potere irresponsabile. Ci viene in soccorso Marco Vitale, economista d'impresa, che ha scritto in proposito una pagina notevole:
"Io insegno ai miei studenti che il potere è connaturato all’uomo; che non esiste attività umana senza potere, e che non esiste potere senza responsabilità; che la scelta è, piuttosto, tra i fini per i quali esercitare il piccolo o grande potere che ci viene assegnato, tra potere responsabile e potere irresponsabile; che non dobbiamo fuggire dal potere, ma anzi addestrarci a gestirlo, nelle grandi e nelle piccole cose, con responsabilità e per finalità positive. Paolo Baffi, il generale Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli: questi uomini, semplicemente facendo fino in fondo il loro dovere professionale, esercitavano un potere. Ed è una grande fortuna che, anche nei momenti più neri, vi siano uomini che non fuggono davanti alla necessità di esercitare, con responsabilità e con l’accettazione consapevole dei rischi connessi, il loro potere. La nostra società non è ammalata di troppo potere, ma, caso mai, di troppo poco potere, di potere troppo concentrato, di potere irresponsabile, che non viene chiamato a corrette rese di conto, di potere oscuro. Essa è piuttosto malata di ingiustizia".
Segnalo il commovente ricordo cinematografico della nipote del Generale, Dora Dalla Chiesa.
Ti sia lieve la terra, caro Generale Dalla Chiesa.
A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta.
Passati decenni dal lontano 1989, ho la consapevolezza di dire che il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa rappresenti l'urne de' forti, un forte stimolo a compiere egregie cose. Nonostante sia stato barbaramente assassinato, Dalla Chiesa vive in tutti noi. Personalmente mi recherò domani in Piazza Diaz alle 18.30 per la commemorazione.
Il 3 settembre cade l'anniversario del barbaro assassinio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emmanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta Domenico Russo.
Dalla Chiesa, sceso a Palermo nella primavera del 1982 come Prefetto, cercò di combattere il fenomeno mafioso - che lui conosceva bene avendo comandato dal 1966 al 1973 la legione dei carabinieri di Palermo - non solo a livello repressivo, ma lavorando sui diritti dei cittadini, ridotti a sudditi da parte della criminalità organizzata.
![]() |
La A112 del Generale Dalla Chiesa crivellata di colpi |
Nell’intervista – testamento spiritual, tutta da leggere - a Giorgio Bocca 23 giorni prima di essere ucciso, il Generale Dalla Chiesa disse: “Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.
Dalla Chiesa impersonava il potere, che in Italia viene considerato un qualcosa di negativo. Occorre distinguere, tra potere responsabile e potere irresponsabile. Ci viene in soccorso Marco Vitale, economista d'impresa, che ha scritto in proposito una pagina notevole:
"Io insegno ai miei studenti che il potere è connaturato all’uomo; che non esiste attività umana senza potere, e che non esiste potere senza responsabilità; che la scelta è, piuttosto, tra i fini per i quali esercitare il piccolo o grande potere che ci viene assegnato, tra potere responsabile e potere irresponsabile; che non dobbiamo fuggire dal potere, ma anzi addestrarci a gestirlo, nelle grandi e nelle piccole cose, con responsabilità e per finalità positive. Paolo Baffi, il generale Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli: questi uomini, semplicemente facendo fino in fondo il loro dovere professionale, esercitavano un potere. Ed è una grande fortuna che, anche nei momenti più neri, vi siano uomini che non fuggono davanti alla necessità di esercitare, con responsabilità e con l’accettazione consapevole dei rischi connessi, il loro potere. La nostra società non è ammalata di troppo potere, ma, caso mai, di troppo poco potere, di potere troppo concentrato, di potere irresponsabile, che non viene chiamato a corrette rese di conto, di potere oscuro. Essa è piuttosto malata di ingiustizia".
Segnalo il commovente ricordo cinematografico della nipote del Generale, Dora Dalla Chiesa.
Ti sia lieve la terra, caro Generale Dalla Chiesa.
venerdì 31 luglio 2015
Ti sia lieve la terra, caro Paolo Baffi
![]() |
Paolo Baffi |
Oggi tutti elogiano Mario Draghi, governatore della Bce. Addirittura qualcuno invoca la presenza di Draghi in Cina, dove i mercati sono particolarmente turbolenti (e ci credo, i prezzi delle azioni sono raddoppiati nel corso di un anno!). E allora mi permetto di ricordare che prima di partire per Francoforte rese un tributo all'uomo che lo ha segnato di più: "La cultura di Paolo Baffi conteneva più fermenti di modernità di quanti ve ne fossero nella cultura politica del momento".
Nel marzo 2015 ho avuto l'occasione di presentare il volume - che ho curato - di P. Baffi e AC Jemolo Anni del disincanto (Aragno editore, 2014) nel bellissimo Salone delle Assemblee della Banca d'Italia di Milano. In tale occasione sono stato intervistato. Un breve intervento, ma credo efficace.
Buone vacanze a tutti i miei lettori. Ci rivediamo, puntuali, a settembre.
martedì 28 luglio 2015
Sono 5 anni che esiste Faust e il Governatore. Buon compleanno!
A fine luglio di 5 anni fa, stimolato dai miei studenti, ruppi gli indugi e creai questo blog, di cui vado particolamente fiero. Qualche numero: oltre 4mila pagine al mese lette, 233mila dalla nascita, 422 post elaborati.
Un successo, soprattutto per la qualità di voi lettori, che continuate a leggermi, a postare commenti pubblici e privati.
Stanno per iniziare le vacanze agostane. Colgo l'occasione, come al solito, per segnalarvi qualche titolo. Come ha scritto Donatella Di Cesare sulla Lettura di domenica scorsa ha saggiamente scritto che il riposo non significa dormire e basta: "Il riposo non va confuso con il sopore né con l'inerzia. Il respiro del riposo segna l'interruzione che imprime un nuovo ritmo, che inaugura un viaggio verso un'altra esperienza del tempo. Soprattutto, al contrario di quello che si crede, il riposo è agire, dove l'importante diventa il come si agisce. Riposare vuol dire spezzare quell nesso tra mezzo e fine che pervade la consueta produttività dei nostri giorni. Significa, dunque, affrancare il nostro agire dall'economia dei fini. Riposare è un agire più elevato, quasi festosamente celebrato".
Cosa c'è di più elevato che leggere?
Nella mia (piccola) valigia cercherò di portarmi:
- G. Nardozzi, Il modo alla rovescia. Come la finanza dirige l'economia, il Mulino;
- Sebastiano Vassalli (scomparso ieri, gli sia lieve la terra, io l'ho citato più volte, mirabili i suoi "Marco e Mattio" e "Il Cigno", la storia di Emanuele Notarbartolo, direttore del Banco di Sicilia), La Chimera, Einaudi;
- Antonio Manzini, Non è stagione, Sellerio; ho la letto Pista nera, ambientato a Champoluc e il vice questore Rocco Schiavone mi ha stregato;
- Carlo Bellavite Pellegrini, Pirelli. Innovazione e passione 1872-2015, il Mulino;
- (a cura di) Nicola Rossi, Sudditi. Un programma per i prossimi 50 anni, Policy;
- (a cura di) Alfredo Gigliobianco, Luigi Einaudi: libertà economica e coesione sociale, Laterza.
Mi raccomando, assicuratevi che anche i vostri figli abbiano libri su cui meditare e sognare (perchè no).
Ah, scordavo, se non l'avete ancora letto, P. Baffi e A.C. Jemolo, Anni del disincanto, a cura del sottoscritto, Aragno editore, un carteggio tanto antico quanto attuale tra due galantuomini.
Un successo, soprattutto per la qualità di voi lettori, che continuate a leggermi, a postare commenti pubblici e privati.
Stanno per iniziare le vacanze agostane. Colgo l'occasione, come al solito, per segnalarvi qualche titolo. Come ha scritto Donatella Di Cesare sulla Lettura di domenica scorsa ha saggiamente scritto che il riposo non significa dormire e basta: "Il riposo non va confuso con il sopore né con l'inerzia. Il respiro del riposo segna l'interruzione che imprime un nuovo ritmo, che inaugura un viaggio verso un'altra esperienza del tempo. Soprattutto, al contrario di quello che si crede, il riposo è agire, dove l'importante diventa il come si agisce. Riposare vuol dire spezzare quell nesso tra mezzo e fine che pervade la consueta produttività dei nostri giorni. Significa, dunque, affrancare il nostro agire dall'economia dei fini. Riposare è un agire più elevato, quasi festosamente celebrato".
Cosa c'è di più elevato che leggere?
Nella mia (piccola) valigia cercherò di portarmi:
- G. Nardozzi, Il modo alla rovescia. Come la finanza dirige l'economia, il Mulino;
- Sebastiano Vassalli (scomparso ieri, gli sia lieve la terra, io l'ho citato più volte, mirabili i suoi "Marco e Mattio" e "Il Cigno", la storia di Emanuele Notarbartolo, direttore del Banco di Sicilia), La Chimera, Einaudi;
- Antonio Manzini, Non è stagione, Sellerio; ho la letto Pista nera, ambientato a Champoluc e il vice questore Rocco Schiavone mi ha stregato;
- Carlo Bellavite Pellegrini, Pirelli. Innovazione e passione 1872-2015, il Mulino;
- (a cura di) Nicola Rossi, Sudditi. Un programma per i prossimi 50 anni, Policy;
- (a cura di) Alfredo Gigliobianco, Luigi Einaudi: libertà economica e coesione sociale, Laterza.
Mi raccomando, assicuratevi che anche i vostri figli abbiano libri su cui meditare e sognare (perchè no).
Ah, scordavo, se non l'avete ancora letto, P. Baffi e A.C. Jemolo, Anni del disincanto, a cura del sottoscritto, Aragno editore, un carteggio tanto antico quanto attuale tra due galantuomini.
lunedì 20 luglio 2015
La forza dei simboli: Papa Francesco e Santa Marta, Sergio Mattarella e le Fosse Ardeatine, Mario Draghi e il volo low-cost, Carlo De Benedetti e il mancato elicottero
![]() |
Graffito romano su Papa Francesco |
Non banale il fatto che Casa Santa Marta abbia ospitato nel 2011 i commissari di Moneyval, l'organismo del Consiglio d'Europa che si prefigge di valutare i sistemi antiriciclaggio del denaro sporco.
Il Committee of experts on the evaluation on the anti-money laundering measures and the financing of terrorism negli anni scorsi ha messo in mora la banca del Vaticano, lo Ior - Istituto per le Opere di Religione - che non rispettava le normative antiriciclaggio.
Un altro istruttivo atto simbolico è stata la visita del neo presidente della Repubblica, appena eletto, Sergio Mattarella alle Fosse Ardeatine. Con una semplicissima Panda, peraltro. L'Agenzia Ansa scrive che "Dopo essersi fermato in raccoglimento nel luogo dell'eccidio compiuto dainazisti ha dichiarato: "L'alleanza tra nazioni e popolo seppe battere l'odio nazista, razzista,
antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso. La stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore". Una partenza veramente all'insegna della sobrietà - quanto ne abbiamo bisogno! - e della Resistenza come fondamento della Nazione.
![]() |
Mario Draghi |
Nel lontano 1979, con il terrorismo al culmine, come raccontò il compianto Marco Borsa in Capitani di sventura (Mondadori, 1992), Carlo De Benedetti ricevette una telefonata del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa avvisandolo che era nel mirino delle Brigate Rosse, suggerendogli di comprare un elicottero per andare ogni mattina ad Ivrea senza correre rischi. Ma De Benedetti rispose: "Caro generale, mi rendo conto del pericolo e le sono grato per avermi avvertito. Ma temo proprio di non poter venire in elicottero in un momento in cui sto chiedendo ai miei dipendenti il massimo sforzo per ridurre le spese generali".
lunedì 13 luglio 2015
La rivoluzione digitale può salvare il mondo. Il caso del Plan Ceibal introdotto da Mujica in Uruguay
![]() |
Daniel Cabrera, filippino, 9 anni, studia sotto un lampione |
Mujica, 80 anni, ne ha passati 14 in carcere, in quanto membro del Movimento di liberazione nazionale Tupamaros. Entrato in prigione a 37 anni, ne è uscito a 50 dopo due evasioni e segni indelebili sul suo corpo in seguito alle torture subite.
Come Nelson Mandela, nonostante quello che ha passato, Mujica non prova rancore. Quando uscì nel 1985, pochi giorni pronunciò un discorso dove non c'era traccia di alcun risentimento. E' questa la sua forza.

Tra le diverse cose - oltre l'esempio - che Mujica lascia al suo Paese ce n'è una di grande valore. E' il Plan Ceibal - nome che deriva dal ceibo, albero tipico del Paese - che si concretizza nel garantire un computer per ogni scolaro uruguagio (come li definiva il grande Gianni Brera) e connessione wi-fi in tutte le scuole del Paese.
L'iniziativa deriva da un'idea di Nicholas Negroponte del Mit denominate "one laptop for a child". Non mi è sfuggita la foto di Daniel Cabrera, bimbo filippino di 9 anni, che cerca di studiare nella notte sotto la luce di un lampione. Magari un giorno anche nelle Filippine potrà arrivare questo progetto così valido.
Oggi in Uruguay, tutti gli scolari delle 2.400 scuole elementari hanno un pc portatile che si chiama XO, bianco e verde, piccolissimo e con tutte le funzioni che servono a un bambino. Altro che digital divide!
Lode a Mujica, a Negroponte e a tutti coloro che sono in grado di cambiare il futuro delle persone, soprattutto se meno fortunate.
martedì 7 luglio 2015
La mancanza di senso storico è un grave fattore di debolezza dei millenials
Nella mia esperienza di professore (a contratto) in università ho tratto sempre più elementi che dimostrano la grava mancanza di senso storico delle nuove generazioni. Gli studenti ai miei occhi sono spaesati, ciechi e bendati in un mondo incerto, mai tanto complesso, liquido (Bauman, cit.). Come fare a orientarsi? Studiare la storia. Nessuno lo fa e anche le università riducono i programmi di storia, rendendo l'allievo sempre meno pronto ad affrontare il mondo con la saggezza derivante dalla memoria storica.
In un bell'articolo Massimiliano Panarari sulla Stampa - L'illusione di essere eruditi 2.0 - ha evidenziato che i giovani - facendo leva su google - tendono a sottovalutare l'importanza del sapere. E' caduto il "confine tra quanto si conosce effettivamente e ciò che si ritiene di sapere semplicemente perché lo vediamo sul Web e lo leggiamo in presa diretta sullo schermo di qualcuna delle nostre piattaforme digitali. Una confusione bella e buona (anzi, cattiva e pericolosa), per cui finiremmo sistematicamente per illuderci di saperne tantissimo e di essere, a conti fatti, più intelligenti di quanto siamo davvero".
Come disse il padre della psicanalisi italiana Cesare Musatti "Sarete quello che avrete dimenticato, ma prima lo dovete sapere". E la fatica di imparare? E il bello della conquista del sapere? Perdute.
Panarari è così limpido che lo citiamo integralmente: "Questo nozionismo internettiano a costo zero cancella di botto la fatica e la pazienza certosina che occorrevano nel passato per accumulare cultura, scienza e dottrina. Tutto il sapere e subito, ennesima manifestazione della forza ma, appunto, anche dei rischi del digital now, la condizione di eterno presente (senza profondità storica) in cui queste formidabili tecnologie hanno immerso le nostre vite. Mentre proprio il tempo costituisce, come hanno insegnato secoli di storia dell’Occidente, l’ingrediente essenziale per fare sedimentare il sapere, sviluppando la «giusta distanza» del filtro e delle facoltà critiche, vero antidoto alla convinzione di conoscere tutto e di essere supercompetenti in ogni campo. «Io so di non sapere», come ci ammoniva Socrate, quando non c’era il Web.
Quante volte ho spiegato a lezione l'importanza della sedimentazione del sapere, che deve macerare, come fossimo dei bovini. Invece spesso lo studente compie dei tour de force prima dell'esame così da passare sì la prova e dopo un mese aver dimenticato tutto. Come Mike Buongiorno che "entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all'apatia e alla pigrizia mentale"
attraversava i meandri del sapere e ne usciva vergine e puro"
(Umberto Eco, Fenomenologia di Mike Buongiorno, cit.).
In un bell'articolo Massimiliano Panarari sulla Stampa - L'illusione di essere eruditi 2.0 - ha evidenziato che i giovani - facendo leva su google - tendono a sottovalutare l'importanza del sapere. E' caduto il "confine tra quanto si conosce effettivamente e ciò che si ritiene di sapere semplicemente perché lo vediamo sul Web e lo leggiamo in presa diretta sullo schermo di qualcuna delle nostre piattaforme digitali. Una confusione bella e buona (anzi, cattiva e pericolosa), per cui finiremmo sistematicamente per illuderci di saperne tantissimo e di essere, a conti fatti, più intelligenti di quanto siamo davvero".
![]() |
Cesare Musatti |
Panarari è così limpido che lo citiamo integralmente: "Questo nozionismo internettiano a costo zero cancella di botto la fatica e la pazienza certosina che occorrevano nel passato per accumulare cultura, scienza e dottrina. Tutto il sapere e subito, ennesima manifestazione della forza ma, appunto, anche dei rischi del digital now, la condizione di eterno presente (senza profondità storica) in cui queste formidabili tecnologie hanno immerso le nostre vite. Mentre proprio il tempo costituisce, come hanno insegnato secoli di storia dell’Occidente, l’ingrediente essenziale per fare sedimentare il sapere, sviluppando la «giusta distanza» del filtro e delle facoltà critiche, vero antidoto alla convinzione di conoscere tutto e di essere supercompetenti in ogni campo. «Io so di non sapere», come ci ammoniva Socrate, quando non c’era il Web.
Quante volte ho spiegato a lezione l'importanza della sedimentazione del sapere, che deve macerare, come fossimo dei bovini. Invece spesso lo studente compie dei tour de force prima dell'esame così da passare sì la prova e dopo un mese aver dimenticato tutto. Come Mike Buongiorno che "entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all'apatia e alla pigrizia mentale"
attraversava i meandri del sapere e ne usciva vergine e puro"
(Umberto Eco, Fenomenologia di Mike Buongiorno, cit.).
lunedì 29 giugno 2015
I fondi sovrani: tendenze future e voglia di contare. Il caso del fondo sovrano dell'Angola
Si è tenuta oggi nella splendida cornice di Palazzo Clerici, sede dell'Istituto di Studi di Politica Internazionale (ISPI), la presentazione del Annual Report 2014 sui fondi sovrani (Sovereign Wealth Found, SWF), organizzata dal Sovereign Investment Lab (Sil) del Centro Paolo Baffi-Carefin dell'Università Bocconi.
Il direttore del Sil Bernardo Bortolotti ha introdotto i lavori sotto gli affreschi del Tiepolo, contestualizzando lo sviluppo dei fondi sovrani: "La crescita impetuosa dei fondi sovrani è uno dei fatti più interessanti della storia recente della finanza globale. Nell'arco di poco più di dieci anni, hanno aumentato il patrimonio gestito più di ogni altra categoria di investiture istituzionale e vantano attivi per un controvalore di circa 5mila miliardi di dollari".
A seguire un intervento ficcante del prof. Aldo Musacchio dell'Harvard Business School, autore di un volume #mustread Reinventing State capitalism. Subito dopo ha preso la parola Thouraya Tikri, chief country economist at the North Africa Department dell'African Development Bank. Tikri ha spiegato che in Africa, nonostante siano più piccoli rispetto ai competitor mondiali - esistano diversi fondi sovrani.
In particolare, scorrendo l'annual report, ho notato che il fondo sovrano dell'Angola ha una dotazione di 5 miliardi di dollari. La mente è volata a Nicholas Kristof, editorialisti di punta del New York Times che è riuscito a realizzare un servizio dall'Angola - nonostante non sia ben visto dalle autorità - dove descrive la pazzesca polarizzazione di reddito e di ricchezza presente nel Paese africano. A fronte di prezzi da capogiro degli immobili nella capital Luanda, gli ospedali sono privi di medicine, attrezzature basiche per poter curare la popolazione, in gran parte in stato di estrema povertà e denutrizione. Vi invito a guardare il video di Kristof. Parla da solo: The world's deadliest place for kids.
Prima di costituire il fondo sovrano, sarebbe opportuno che il presidente/dittatore Jose Eduardo dos Santos sviluppi una politica sanitaria che riduca la terribile mortalità infantile. In Angola il 69% della popolazione vive sotto la fascia di povertà. Poi, solo poi, investa dove vuole col fondo sovrano. Ma solo dopo.
Il direttore del Sil Bernardo Bortolotti ha introdotto i lavori sotto gli affreschi del Tiepolo, contestualizzando lo sviluppo dei fondi sovrani: "La crescita impetuosa dei fondi sovrani è uno dei fatti più interessanti della storia recente della finanza globale. Nell'arco di poco più di dieci anni, hanno aumentato il patrimonio gestito più di ogni altra categoria di investiture istituzionale e vantano attivi per un controvalore di circa 5mila miliardi di dollari".
A seguire un intervento ficcante del prof. Aldo Musacchio dell'Harvard Business School, autore di un volume #mustread Reinventing State capitalism. Subito dopo ha preso la parola Thouraya Tikri, chief country economist at the North Africa Department dell'African Development Bank. Tikri ha spiegato che in Africa, nonostante siano più piccoli rispetto ai competitor mondiali - esistano diversi fondi sovrani.
Prima di costituire il fondo sovrano, sarebbe opportuno che il presidente/dittatore Jose Eduardo dos Santos sviluppi una politica sanitaria che riduca la terribile mortalità infantile. In Angola il 69% della popolazione vive sotto la fascia di povertà. Poi, solo poi, investa dove vuole col fondo sovrano. Ma solo dopo.
lunedì 22 giugno 2015
I compiti per le vacanze sono utili e fanno la differenza
Finita la scuola - quali sono le altre categorie a parte gli insegnanti con 3 mesi di vacanza? - , montano le polemiche sui compiti. In nome del diritto al gioco molte famiglie esigono l'assenza di compiti per le vacanze. E molti professori sono d'accordo con questa visione perdente per gli allievi.
Su Repubblica, qualche tempo fa a tutta pagina si titolava "Alleanza tra prof e famiglie nel nome del diritto al gioco". L'attacco racconta la volontà di una madre di non acquistare i libri per le vacanze. Il social su Facebook "Basta compiti" ha raggiungo i 4.500 iscritti. Su change.org c'è una petizione che conta 4.300 firme. Alcuni scrivono che i compiti constringono i genitori a sostituire i docenti. Ma dai! So benissimo per esperienza che ci sono genitori che si sostituiscono ai figli, che si mettono al loro fianco mentre fanno i compiti. Sbagliatissimo. Il bambino deve imparare l'autonomia e i compiti deve farli da solo. Se sbagli si corregge in classe.
Questi genitori non sanno quanti danni fanno ai propri figli.
Anni fa mi sono imbattuto in un libro formidabile, Fuoriclasse (Mondadori, 2009) di Malcolm Gladwell, giornalista divulgativo, ma sarebbe meglio definirlo scienziato pop. In questo volume il lettore veniva portato a conoscenza di un esperimento compiuto negli Stati Uniti. In una scuola, con gli stessi professori, a parità di altre condizioni, ad alcune classi vengono assegnati i compiti per le vacanze, ad altre no. Dopo ogni anno gli alunni delle classi senza compiti rientrano a scuola meno preparati di chi li ha fatti. Dopo 5 anni la differenza cognitiva e di preparazione non deriva dagli insegnanti, dai metodi didattici, ma, guarda caso, dall'avere o meno fatto i compiti.
Misurando i punteggi della capacità di lettura DOPO le vacanze estive, si nota come i bambini più ricchi tornano in settembre con un'abilità di lettura molto più forte, mentre i bambini di famiglie povere subiscono un calo. Così mentre i bambini poveri surclassano i ricchi nell'apprendimento durante l'anno scolastico, d'estate si fanno superare di parecchie lunghezze.
Se ne deduce che nel campo della lettura, i bambini poveri NON imparano nulla quando le scuole sono chiuse.
Gladwell conclude con amarezza: "Di fatto, tutti i vantaggi che gli alunni facoltosi hanno dei confronti degli indigenti derivano dalle differenze di apprendimento dei privilegiati nell'ambito extrascolastico. Ma è evidente. I bambini ricchi in vacanza vengono accompagnati nei musei, iscritti a corsi e campi estivi dove seguono le lezioni. Vengono stimolati in ogni modo. I bambini poveri stanno attaccati davanti alla TV (o al tablet).
I compiti mantengono in esercizio la mente, aiutano a consolidare i concetti. La mente è un muscolo, se non si esercita, in modo inerziale assopisce.
Ha ragione Pier Luigi Ipata, professore di biologia molecolare all'Università di Pisa che scrive a Repubblica sostenendo che la via di mezzo è quella corretta: "Vi sono adolescenti, più numerosi di quanto di creda che anche se non hanno compiti per le vacanze rubano non più di una o due ore ai giorni delle vacanze per mantenere il cervello in esercizio, imparando una lingua o risolvendo quesiti di matematica. John Dewey diceva che "l'educazione non serve solo a prepararsi alla vita, ma è la vita stessa". Questi giovani lo sanno, lo intuiscono. Non confondiamo loro le idee, convincendoli che fare i compiti durante le vacanze è addirittura dannoso e procura sofferenze. Vi sono invece giovani per i quali la scuola può diventare fonte di preoccupazioni. Per questi le vacanze sono un toccasana". Ma questi ultimi, aggiungo io, sono un'estrema minoranza.
Spesso sono tentato di pensare che il problema della scuola italiana siano i genitori.
Su Repubblica, qualche tempo fa a tutta pagina si titolava "Alleanza tra prof e famiglie nel nome del diritto al gioco". L'attacco racconta la volontà di una madre di non acquistare i libri per le vacanze. Il social su Facebook "Basta compiti" ha raggiungo i 4.500 iscritti. Su change.org c'è una petizione che conta 4.300 firme. Alcuni scrivono che i compiti constringono i genitori a sostituire i docenti. Ma dai! So benissimo per esperienza che ci sono genitori che si sostituiscono ai figli, che si mettono al loro fianco mentre fanno i compiti. Sbagliatissimo. Il bambino deve imparare l'autonomia e i compiti deve farli da solo. Se sbagli si corregge in classe.
Questi genitori non sanno quanti danni fanno ai propri figli.
Misurando i punteggi della capacità di lettura DOPO le vacanze estive, si nota come i bambini più ricchi tornano in settembre con un'abilità di lettura molto più forte, mentre i bambini di famiglie povere subiscono un calo. Così mentre i bambini poveri surclassano i ricchi nell'apprendimento durante l'anno scolastico, d'estate si fanno superare di parecchie lunghezze.
Se ne deduce che nel campo della lettura, i bambini poveri NON imparano nulla quando le scuole sono chiuse.
Gladwell conclude con amarezza: "Di fatto, tutti i vantaggi che gli alunni facoltosi hanno dei confronti degli indigenti derivano dalle differenze di apprendimento dei privilegiati nell'ambito extrascolastico. Ma è evidente. I bambini ricchi in vacanza vengono accompagnati nei musei, iscritti a corsi e campi estivi dove seguono le lezioni. Vengono stimolati in ogni modo. I bambini poveri stanno attaccati davanti alla TV (o al tablet).

Ha ragione Pier Luigi Ipata, professore di biologia molecolare all'Università di Pisa che scrive a Repubblica sostenendo che la via di mezzo è quella corretta: "Vi sono adolescenti, più numerosi di quanto di creda che anche se non hanno compiti per le vacanze rubano non più di una o due ore ai giorni delle vacanze per mantenere il cervello in esercizio, imparando una lingua o risolvendo quesiti di matematica. John Dewey diceva che "l'educazione non serve solo a prepararsi alla vita, ma è la vita stessa". Questi giovani lo sanno, lo intuiscono. Non confondiamo loro le idee, convincendoli che fare i compiti durante le vacanze è addirittura dannoso e procura sofferenze. Vi sono invece giovani per i quali la scuola può diventare fonte di preoccupazioni. Per questi le vacanze sono un toccasana". Ma questi ultimi, aggiungo io, sono un'estrema minoranza.
Spesso sono tentato di pensare che il problema della scuola italiana siano i genitori.
Iscriviti a:
Post (Atom)