lunedì 31 marzo 2014

Ai dirigenti pubblici premiati tutti con il massimo dei voti, dico: imparate da Luigi Einaudi che condivise una pera a cena al Quirinale


Mi ha colpito profondamente leggere lunedì scorso sul Corriere che "la quasi totalità dei dirigenti - di prima e seconda fascia - dello Stato italiano ha conseguito una valutazione non inferiore al 90% del livello massimo atteso". La conseguenza è evidente: il premio che costituisce la parte variabile della retribuzione, circa il 30% è spettato a tutti, indistintamente. Alla faccia della meritocrazia.
I manager pubblici italiani sono i più pagati dei Paesi Ocse, come descrive graficamente Thomas Manfredi su Linkiesta.  Inoltre, è importante sottolineare che - mentre in Francia i dirigenti sono 1 ogni 33 dipendenti, in Italia abbiamo un dirigente ogni 11.
Come ben argumenta il giuslavorista Pietro Ichino "il dirigente che raggiunge davvero gli obiettivi (che devono essere misurabili e paragonati a un benchmark) può anche guadagnare di più; ma quello che non li raggiunge deve essere rimosso".

Quando leggiamo queste assurdità dei premi a tutti frutto di logiche sindacali aberranti, vale la pena ritornare ai padri della Patria. Visto che il 24 marzo scorso era l'anniversario della nascita di Luigi Einaudi - Governatore della Banca d'Italia (1945-48) e Presidente della Repubblica (1948-1955) - lo ricordiamo volentieri.

Ennio Flaiano - La solitudine del satiro (1973, poi postumo Rizzoli, 1989) - ha raccontato in modo magistrale una serata al Quirinale. La riporto integralmente:

Molti anni fa, nel terzo o quarto anno del suo mandato presidenziale, fui invitato a cena al palazzo del Quirinale, da Luigi Einaudi. Non invitato ad personam – il Presidente non mi conosceva affatto – ma come redattore di una rivista politica e letteraria diretta da Mario Pannunzio. A tavola eravamo in otto, compresi il Presidente e sua moglie. Otto convitati è il massimo per una cena non ufficiale, e la serata si svolse dunque molto piacevolmente, la conversazione toccò vari argomenti, con una vivacità e una disinvoltura che davano fastidio all’enorme e unico maggiordomo in polpe che ci serviva. Questo maggiordomo, una specie di Hitchcock di più vaste proporzioni ma completamente destituito di ironia, aveva sulle prime tentato di intimidirci posandoci il prezioso vasellame davanti come se temesse che l’avremmo rotto; e fulminandoci con occhiate di sconforto se non riuscivamo a individuare tra le tante (alcune nascoste persino tra i merletti della tovaglia) le posate giuste...Da un argomento all’altro, tra aneddoti che, per il gran ridere, scuotevano il Presidente come un uccellino bagnato; tra riflessioni che seguivano gli aneddoti, pensieri economici e altri sul futuro, la cena si stava prolungando oltre il lecito.

Il Presidente sembrava un nonno felice di rivedere nipoti lontani. Ma eccoci alla frutta. Il maggiordomo recò un enorme vassoio del tipo che i manieristi olandesi e poi napoletani dipingevano due secoli fa: c’era di tutto, eccetto il melone spaccato. E tra quei frutti, delle pere molto grandi. Luigi Einaudi guardò un po’ sorpreso tanta botanica, poi sospirò: “Io” disse “prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c’è nessuno che vuole dividerne una con me?”. Tutti avemmo un attimo di sgomento e guardammo istintivamente il maggiordomo: era diventato rosso fiamma e forse stava per avere un colpo apoplettico. Durante la sua lunga carriera mai aveva sentito una proposta simile, a una cena servita da lui, in quelle sale. Tuttavia, lo battei di volata: “Io, Presidente” dissi alzando una mano per farmi vedere, come a scuola. Il Presidente tagliò la pera, il maggiordomo ne mise la metà su un piatto, e me lo posò davanti come se contenesse la metà della testa di Giovanni il Battista. Un tumulto di disprezzo doveva agitare il suo animo non troppo grande, in quel corpo immenso. “Stai a vedere” pensai “che adesso me la sbuccia, come ai bambini”. Non fece nulla, seguitò il suo giro. Ma il salto del trapezio era riuscito e la conversazione riprese più vivace di prima; mentre il maggiordomo, snob come sanno esserlo soltanto certi camerieri e i cani da guardia, spariva dietro un paravento. Qui finiscono i miei ricordi sul Presidente Einaudi. Non ebbi più occasione di vederlo, qualche anno dopo saliva alla presidenza un altro e il resto è noto. Cominciava per l’Italia la Repubblica delle pere indivise”.
Che tempi!

lunedì 24 marzo 2014

Formidabile Papa Francesco a un anno dalla sua elezione. Ha seguito Bonomelli nel dialogo con i non credenti

E' passato un anno da quando Jorge Bergoglio, è stato chiamato al timone della Chiesa.
Era la carta della disperazione di una Chiesa spenta. Un anno dopo, Francesco è il Papa della speranza, una guida spirituale che parla a tutti, oltre il recinto dei fedeli.

L'anno scorso ha destato molta sorpresa il dialogo intercorso su Repubblica tra il fondatore del quotidiano Eugenio Scalfari e Papa Francesco. I lettori, un bel giorno, invece di leggere il consueto racconto dei disastri italici, si sono trovati come titolo di apertura: "Così cambierò la Chiesa. Ripartire dal Concilio, aprire alla cultura moderna".

Nell'ambito del colloquio mi ha colpito un passaggio di Francesco: "Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un incontro ho voglia di farne un altro perchè nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogni. Questo è importante: conoscersi, ascoltarsi, ampliare la cerchia dei pensieri. Il mondo è percorso da strade che riavvicinano e allontanano, ma l'importante è che portino verso il Bene".

Papa Francesco è un nobile esempio di dialogo con chi non crede. Tra i suoi precursori - oltre al Cardinal Martini - è opportuno citare Mons. Geremia Bonomelli, di cui nel 2014 ricorre il centenario della nascita (3 agosto 1914 a Nigoline di Corte Franca).

Il Centenario offre un'opportunità di approfondimento della figura del Vescovo (1831-1914) e della storia del suo tempo, ricca di questioni che, sia pur in una prospettiva e in un contesto diversi, sono ancora oggi all'ordine del giorno:


la "Questione romana" e la separazione tra Stato e Chiesa, vista da Bonomelli nella massima libertà di entrambi i soggetti, senza il divieto di elettorato attivo e passivo che era stato imposto ai cattolici con il "non-expedit";

la "Questione sociale" o del lavoro, per la quale Bonomelli auspicava un "socialismo cristiano", nel quale è fondamentale la dignità del lavoro: associazionismo, casse rurali, mutuo soccorso;
 
la "Questione dell'emigrazione" per la quale Bonomelli promuoveva, nel 1900, la fondazione dell'Opera di assistenza degli operai italiani emigrati all'estero, che aveva lo scopo di assistere le famiglie rimaste in Italia e di tutelare gli operai che lavoravano all'estero attraverso le missioni religiose, creando al tempo stesso una rete di presidi sociali: segretariati, ospizi, scuole, asili, nelle principali città europee e ai valichi di confine.
 

L'Opera Pia Bonomelli, eretta in Ente Morale nel 1914, venne sciolta dal Fascismo, con decreto di Mussolini, nel 1928;
la "Questione dello sfruttamento della manodopera infantile" sollevata da un'inchiesta dell'Opera Bonomelli, favorì la promulgazione di una "legge per l'emigrazione" nel 1901, sotto la Presidenza del Consiglio Giuseppe Zanardelli, che nonostante fosse massone, dialogò in modo costruttivo con Mons. Bonomelli.

- la "Questione dell'educazione femminile".
 
In particolare sulla questione Romana e sull'Associazione per i migranti, il Vescovo venne contrastato dalla Curia Romana, all'epoca di Papa Leone XIII, ma difeso e appoggiato da molti vescovi, dalla Regina Margherita e da intellettuali come Fogazzaro (con il quale aveva un rapporto di amicizia, fondato su reciproca stima).
 
L'Associazione culturale Cortefranca, che ha sede a Palazzo Torri a Nigoline di Corte Franca, ha organizzato la mostra "Memorie Bonomelliane a Palazzo Torri", che occupa parte della dimora storica e in particolare la "Stanza del vescovo", dove una lapide ricorda la sua morte, avvenuta nel 1914.

Geremia Bonomelli fu legato alla famiglia Torri e Peroni fin dall'infanzia, essendo nato e cresciuto in una cascina in prossimità del palazzo. Divenuto Vescovo nel 1871, accrebbe la sua amicizia con Alessandro e Paolina Torri. A partire dal 1880 fu ospite del "Salotto Culturale" a Palazzo Torri e dal 1898 vi trascorse anche le sue vacanze annuali. Dal 1898 ebbe quindi occasione d'incontro con illustri ospiti, sia laici che religiosi, dello Stato e della Chiesa, tra i quali i Senatori Schiapparelli e Zanardelli, i letterati Fogazzaro e Carducci, Padre Semeria, Tommaso Gallarati Scotti e altri esponenti dell'aristocrazia, oltre a intellettuali, musicisti, pittori e scultori (in particolare Trentacoste).
 
La mostra, allestita in collaborazione del Comitato parrocchiale per l'Anno Bonomelliano, è visitabile per tutto il 2014: per gruppi e scuole tutti i giorni su prenotazione, per singoli visitatori e famiglie la domenica pomeriggio con preavviso telefonico. Ingresso a pagamento con visita guidata (Per informazioni: www.palazzotorri.it - palazzotorri@libero.it – 335.5467191 – Pagina Facebook Palazzo Torri).

 La posizione progressista di Bonomelli all'interno della Chiesa dell'epoca rimanda a una linea di pensiero innovativo che, tentando di superare le pretestuose barriere ideologiche tra laici e cattolici, unisce tutte le componenti nella costruzione del bene comune. Una linea che ha trovato i suoi eredi in Primo Mazzolari (allievo diretto di Bonomelli, 1890-1959) e in Don Lorenzo Milani (1923-1967, erede spirituale nel campo dell'educazione) e che ricompare anche in alcuni Papi come Roncalli e Bergoglio.

 

Nell'ultimo suo bellissimo libro - La stanza dei fantasmi. Una vita del Novecento (Garzanti, 2013) -, Corrado Stajano scrive: "Anche la Chiesa fa da argine alla prepotenza degli agrari. Il vescovo è Geremia Bonomelli, protettore degli operai emigrant che "divinando in amore segnò le vie dell'armonia feconda tra la Chiesa e l'Italia", come verrà inciso decennia dopo su una lapide del Palazzo Comunale".

A completamento della documentazione storica su Palazzo Torri e i protagonisti del "Salotto Culturale", nel quale fu attivo Bonomelli:
- Profili di donne lombarde. Quattro protagoniste dell'aristocrazia nel XIX e XX secolo, a cura di Franca Pizzini, Editore Mazzotta, Milano, 2009;
- Franca Pizzini, Un'eredità Lombarda. Da Milano alla Franciacorta, Ed.Mazzotta, 2010.

lunedì 17 marzo 2014

"La finanza è il male", dicono tutti indistintamente. Ma senza un sistema finanziario efficiente, l'economia reale vacilla. Tesoro, parliamone.

Sono stato invitato qualche settimana fa un gruppo di studenti della Facoltà di Economia di Torino (Assemblea di Economia, il nome esatto del gruppo di rappresentanza) che da qualche anno organizzano una serie di incontri dal titolo "Tesoro, parliamone".

Nel corso del dibattito mi sono state poste diverse domande, che hanno animato la discussione. All'incontro hanno partecipato, oltre al sottoscritto, Umberto Cherubini, coordinatore del corso di laurea magistrale in Quantitative finance a Bologna, Vladimiro Giacchè, responsabile Affari Generali del gruppo Sator e Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale Responsabilità Etica.  Vediamole insieme.

1. E' vero che l'economia finanziaria è scollegata dall'economia reale?

Credo che attaccare sempre e comunque la finanza sia profondamente sbagliato. Se la finanza viene messa sotto accusa, l'economia reale non potrà mai beneficiare dei flussi finanziari che solo la deprecate finanza internazionale è in grado di convogliare nel Belpaese. Come hanno scritto Forestieri e Mottura nell'introduzione al classico Il sistema finanziario, "la competitività dell'economia reale di un Paese dipende anche dall'efficienza del funzionamento del suo sistema finanziario, struttura fondamentale dell'economia reale poichè ne migliora sostanzialmente il funzionamento, l'efficienza e in definitiva la capacità di produrre ricchezza".

E' pur vero che l'eccesso di finanza porta dei danni, ma in Italia siamo ben lungi dall'essere eccessivamente finanziarizzati. Siamo invece deficitari soprattutto nel mondo del venture capital e del private equity, come abbiamo scritto in passato in relazione a Facebook e WhatsApp, nate e cresciute grazie al capitale di rischio.
Il direttore generale della Banca d'Italia Salvatore Rossi, in una lectio magistralis in occasione della Giornata Menichella, ha fatto notare che la relazione tra la dimensione del sistema finanziario e la crescita dell'economia non è lineare:
 "positiva e significativa a bassi livelli di sviluppo dimensionale del settore finanziario, tende a diventare negativa a livelli alti. In altre parole, un settore finanziario ipertrofico può rendere un’economia inefficiente, oltre che a esporla a rischi di crisi sistemiche: perché assorbe capitale (umano, fisico, finanziario) che sarebbe più produttivo se impiegato altrove.

Le mancanza degli attori pubblici nel fissare regole e nel farle rispettare possono essere, e storicamente sono state, causa o concausa delle più violente e dannose crisi finanziarie dell’era moderna, tali da distruggere ricchezza reale e inceppare per anni i meccanismi dello sviluppo.
D’altro canto – e occorre restarne consapevoli anche in questa fase di riregolazione della finanza – anche l’eccesso di regolazione può frenare lo sviluppo della finanza, con effetti depressivi sulla crescita economica".


2. Come mai le politiche accomodanti delle banche centrali non sono state sufficienti per uscire dalla crisi finanziaria?

In via preliminare è opportuno dire che le banche centrali e le autorità di vigilanza in generale sono da considerare tra le concause della crisi, avendo sottovalutato l'impatto sistemico della crisi bancaria e non avendo capito per tempo la sua gravità. Come sostiene peraltro Marco Onado ne I nodi al pettine (Laterza, 2009), mancava il pettine, ossia i regolatori non hanno usato gli strumenti a loro disposizione per fermare la deregulation finanziaria.
Negli Stati Uniti per anni ha imperversato la cultura della ownership society, per cui tutti si arrogavano il diritto di poter diventare proprietari di casa, anche i famigerati NINJA, che non hanno nè un lavoro, nè degli asset, nè altre forme di reddito. E' chiaro che tali individui prima o poi vanno in default.
Memorabile con gli occhi di oggi è la dichiarazione del Presidente George W. Bush: "America is a stronger country every single time a family moves into a home of their own" (October 2004).

E' anche importante ricordare gli errori compiuti dalla Banca centrale europea nel periodo in cui presidente era il francese Jean-Claude Trichet. Nel luglio 2008, a due mesi dal crack di Lehman Brothers, la BCE alzò i tassi di interesse dal 4 al 4,25% per calmierare l'inflazione. Nonostante il rialzo del prezzo del petrolio, la crisi incipiente era nei numeri.

Ma non basta. Trichet nel luglio 2010, in un articolo sul Financial Times, scrisse che era tempo di rendere meno accomodanti le politiche fiscali e monetarie: "Stimulate no more. It's time for all to tighten". Invitò quindi anche le altre (for all, ndr) banche centrali ad alzare i tassi di interesse ufficiali, nonostante fossimo ben lontani dalla fine della crisi. Infatti appena prese il comando della BCE (1° novembre 2011), Draghi non esitò ad abbassare per due volte consecutive i tassi. Per poi abbassarli ancora fino ad arrivare all'attuale 0,25% (minimo storico).

La situazione congiunturale sta migliorando negli Stati Uniti e in Europa. Quest'ultima beneficia anche dell'arrivo dei flussi di capitale in fuga dai paesi emergenti, che per lungo tempo sono stati attraenti per gli investitori istituzionali a caccia di rendimenti.
Con il calo degli spread sui titoli di stato dei paesi periferici della UE, piano piano anche in Europa la ripresa si consoliderà. Anche in Italia, nonostante le banche nostrane continuino nella loro politica di restringimenti dei criteri di accesso al credito (credit crunch), a causa dell'ammontare enorme di crediti deteriorati e di sofferenze.

Dobbiamo lavorare affinchè il mercato finanziario non sia esclusivamente costituito dal mercato creditizio, altrimenti il sistema industriale italiano pagherà del conseguenze del bancocentrismo. Nelle parole di Salvatore Rossi:
"Occorre che in Italia i termini "sistema finanziario" e "sistema bancario" non siano più sinonimi...una coesistenza equilibrata di mercati e intermediari rende più stabile il flusso di credito per l’economia reale. Nei paesi con mercati obbligazionari sviluppati, come gli Stati Uniti, il deleveraging bancario generato dalla crisi del 2008-9 è stato in parte compensato da un maggior ricorso delle imprese al mercato. In Italia questa compensazione non è avvenuta se non in forma molto più tenue, rallentando l’uscita dalla recessione e ora frenando la ripresa".

lunedì 10 marzo 2014

Paolo Sorrentino è un genio e "La grande Bellezza" è una splendida fotografia del declino italiano

Con grande lungimiranza il primo post di Faust e il Governatore è dedicato a Paolo Sorrentino. Infatti 4 anni fa, il 30 luglio 2010, inaugurai il blog segnalando "Hanno tutti ragione", il primo libro di Paolo Sorrentino, genio creativo assoluto, che narrava le gesta del mitico Tony Pagoda, personaggio che in qualche modo ha ispirato anche Jep Gambardella, protagonista de La grande bellezza, film che gli è valso l'Oscar come miglior film straniero.

La grande bellezza non è affatto surreale, è realista. Le feste del film con gli ospiti travestiti da centurioni li abbiamo visti anche nelle cronache dei giornali. D'Agostino e Dagospia ci hanno campato per anni con la rubrica Cafonal.
Il protagonista, Jep Gambardella, è un giornalista di costume e critico teatrale navigato, dal fascino innegabile, impegnato a districarsi tra gli eventi mondani di una Roma così immersa nella bellezza del passato, che tanto più risalta rispetto allo squallore del presente.

I dialoghi del film sono studiati. Sono ironici, sarcastici ed esprimono il cinismo della società contemporanea. Uno su tutti:


Jep: Ma tu che lavoro fai?
Orietta (Isabella Ferrari): Io sono ricca.
Jep: Ah, bel lavoro.

In un altro passaggio, Gambardella esclama: «Mi chiedono perché non ho più scritto un libro. Ma guarda qua attorno. Queste facce. Questa città, questa gente. Questa è la mia vita: il nulla. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul nulla e non ci è riuscito: dovrei riuscirci io?».

Sorrentino, persona timida e grande ascoltatore, racconta a Maltese di Repubblica: "Quando all'ultimo anno di liceo ho detto a casa che volevo fare lettere all'università, i miei genitori mi hanno guardato come se avessi appena confessato di farmi d'eroina. Non ho retto e ho subito che scherzavo, avrei fatto economia e commercio, come poi fu".

Subito dopo la vita gli è cambiata - scrive Maltese - per sempre. A 17 anni, tornando un giorno da scuola, ha trovato la casa esplosa e mamma e papa uccisi dallo scoppio di una bombola. Pensarci sempre, parlarne mai. Ed è questa la storia che sta dietro l'ultima frase detta dal palco dell'Academy, sollevando l'Oscar: "Sasà e Tina, this is for you".

Gli americani ci hanno premiato perchè vedono l'Italia sempre come un Paese decadente e decaduto, pieno di rovine del passato e del presente.
Jep dice: "È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura… Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile.
Le vedi queste persone? Questa fauna? Questa è la mia vita. E non è niente". Speriamo la prossima volta di essere premiati per il riscatto positivo di un Paese al momento dormiente, concentrato sul passato.

P.S.: Sorrentino ha dedicato il film a due persone, un suo amico d'infanzia Maurizio Ricci e Peppe D'Avanzo, giornalista d'inchiesta eccezionale di Repubblica, scomparso qualche anno fa.

lunedì 3 marzo 2014

Siamo un Paese provvisorio, critichiamo il "liberismo feroce" ma non l'abbiamo mai vissuto

Il compianto Edmondo Berselli, giornalista e saggista emiliano, ci ha lasciato un bellissimo volume Post italiani. Cronache di un Paese provvisorio (Mondadori, 2004). Come tutti i grandi, non muoiono mai, per cui il suo pensiero è sempre attuale.
Sono infatti profondamente convinto, con Berselli, che in Italia siamo sempre oltre, siamo post, ma senza aver vissuto il fenomeno primario.

Si fa un gran parlare delle colpe del liberismo nella crisi economica. Ma in Italia il liberismo non c'è mai stato, neanche da lontano! Si contano sulle dita di una mano le persone che hanno letto La rivoluzione liberale di Gobetti (Einaudi, 1964).
Si invoca il ritorno dell'economia mista, ma non abbiamo mai visto altro, lo Stato è sempre intervenuto a sostegno dagli imprenditori "padroni del vapore" - definizione coniata da Ernesto Rossi - che amano  "privatizzare gli utili e socializzare le perdite".

Non abbiamo mai avuto un primo ministro come Margaret Thatcher. Solo dopo aver avuto una politica dura di destra, severa e intransigente, si può pensare di tornare a una politica fiscale espansiva. In Italia, invece, vogliamo aumentare la spesa pubblica senza mai aver vissuto veramente un periodo di austerità della pubblica amministrazione.

Si parla continuamente di austerity, ma nel pubblico si continua a spendere che è una meraviglia. Il prof. Baldassarri, prendendo i dati ufficiali del Ministero, ha evidenziato i seguenti dati. Nel 2000 la spesa pubblica complessiva era pari a 536 miliardi di euro – di cui 485 miliardi di spesa corrente – e le entrate totali (imposte e tasse) erano pari a 536 miliardi. Nel 2012 la spesa pubblica complessiva è salita a 805 miliardi di euro – di cui 759 miliardi di spesa corrente - contro 764 miliardi di entrate totali. Se ne deduce che tra il 2000 e il 2012 le entrate sono salite di 228 miliardi di euro (sic!) ma non è bastato per stare dietro alla crescita della spesa, che è salita di 269 miliardi. 

Chi riuscirà a ridurre la spesa corrente in Italia merita il Nobel, altro che Krugman, Stiglitz e compagnia.

mercoledì 26 febbraio 2014

Dottor Sorriso, una storia vincente

Ci sono persone che danno tutto nel privato, altre che si impegnano come civil servant nel settore pubblico - un nome su tutti, Paolo Baffi, integerrimo Governatore della Banca d'Italia dal 1975 al 1979 - e chi si dedica al non-profit.

Cristina Bianchi è l'anima di Dottor Sorriso Onlus, una Fondazione che aiuta i bambini a non sentirsi in ospedale.

Qualche anno fa l'economista francese Esther Duflo ha analizzato come la finanza abbia sottratto talenti all'economia reale. Con gli stipendi "irrazionali" concessi dale banche d'affari, molti giovani dotati e qualificati si sono buttati nel mondo del quantitative finance: "La massiccia deregulation del settore finanziario, iniziata negli anni Ottanta, nonché l’opportunità di guadagnare moltissimo , sono state accompagnate da una crescita nel numero e nelle competenze di chi lavora in questo settore. E, sempre secondo Philippon e Reshef, bisogna risalire al 1929 per constatare un divario simile tra la preparazione media degli operatori della finanza e coloro che lavorano negli altri settori. La crescente complessità dei prodotti finanziari degli ultimi trenta anni ha reso interessante il settore finanziario per qualsiasi laureato, preparato e intelligente".

Nella stragrande maggioranza dei casi vale la definizione coniata da Edward Chancellor di breakingviews.com per i quants: "Nome dato a matematici e fisici di second'ordine che hanno superato i dubbi e gli scrupoli che la scienza impone, in cambio di una Porsche".

Fortunatamente per noi, c'è qualcuno che ha fatto il percorso inverso, auspicato dalla Duflo. Infatti Cristina è uscita dal mondo della finanza e si è buttata completamente nell'avventura di Dottor Sorriso.

Aiutare i piccoli pazienti ad evadere dalla tristezza e dalla paura, per tornare a sorridere, semplicemente, come bambini, è un’impresa tutt’altro che semplice.

Il ricovero in ospedale rappresenta un trauma per il bambino, che si trova improvvisamente in un ambiente sconosciuto, lontano dal mondo di giochi che gli è familiare e di fronte a strumenti e procedure sgradevoli.

L’esperienza del ricovero genera nel bambino disagio fisico e psicologico, a cui si accompagna l’ansia dei genitori verso la situazione del proprio figlio. Sentimenti come paura, rabbia, noia e tristezza possono diventare un ostacolo alla terapia medica, in quanto diminuiscono la capacità del bambino di reagire e affrontare i traumi.

E’ qui che l’intervento del clown si può rivelare determinante, e arrivare là dove i medici tradizionale non riescono ad arrivare: influire positivamente su tutte le persone coinvolte nel processo terapeutico. I clown distraggono e divertono i bambini, aiutandoli ad affrontare con maggiore leggerezza il contesto ospedaliero, anche nelle situazioni più difficili, come nei reparti di lunga degenza; alleviano la preoccupazione ed il senso di impotenza dei genitori, consentono allo staff medico di operare con maggiore serenità.

Nella maggior parte dei casi i clown dottori non sono medici: sono figure professionali che posseggono due grandi ambiti di competenze. Da una parte la preparazione artistica legata alla figura del clown (mimo, teatro, giocoleria, musica, etc.). Dall’altra le competenze pedagogiche e l’empatia, la capacità di mettersi velocemente e credibilmente nei panni dei pazienti, per trovare la modalità di interazione migliore, in funzione della loro età e condizione psico-fisica.

Per questo la clownterapia non può essere un’attività improvvisata. In Italia, la prima organizzazione ad avere portato questo servizio di assistenza nei reparti pediatrici è stata, nel 1995, Dottor Sorriso Onlus.

I clown di Dottor Sorriso Onlus oggi operano in 23 reparti di 14 strutture sanitarie in 8 province italiane, portando il sorriso a più di 350 bambini ogni settimana. La Fondazione è stata inoltre la prima ad introdurre la clownterapia negli istituti di riabilitazione, per portare il sorriso ai bambini affetti da disabilità disabilità intellettive e motorie.


Ma gli effetti benefici della clownterapia sui pazienti sono stati verificati anche a livello scientifico. Ridere attiva tutte le parti del corpo umano: il cuore e la respirazione accelerano i loro ritmi, la pressione arteriosa diminuisce e i muscoli si rilassano. Anche la chimica del sangue si modifica, in quanto, tanto più la risata è esplosiva e spontanea, tanto più diminuisce la tensione e si manifesta una sensazione di liberazione che coinvolge tutti gli organi e le funzioni corporee.

 
Il prossimo 1° marzo è in programma a Champoluc - gli aficionados tra cui i sempiterni Leopedrazzi e Siepolone preferiscono chiamarla Shampolook - la Coppa Sorriso,  una gara di sci per grandi e piccini. Iscivetevi, cari lettori, così aiutiamo chi si trova in ospedale ad uscirne felice e guarito.

lunedì 24 febbraio 2014

Il successo di Facebook e WhatsApp, l'assenza del venture capital nostrano e l'Economico di Senofonte

Il 4 febbraio di 10 anni fa, Mark Zuckerberg insieme a due co-fondatori, lancia Facebook ad Harvard University.

In Italia nel febbraio 2004 vengono arrestati Sergio Cragnotti e i figli per il crack della Cirio.

In queste due parabole di crescita c'è la differenza tra Italia e Stati Uniti. Noi guardiamo al passato, dando fiducia a persone di dubbia qualità, negli Stati Uniti ferve il mondo del private equity, dei fondi di investimento focalizzati sulle start-up innovative e sul seed financing, sul finanziamento alle imprese promettenti, affinchè crescano a tassi vertiginosi. Come nel caso di Facebook.

Facebook nel dicembre 2004 raggiunge 1 milione di iscritti. Nell'aprile 2006 Facebook è accessibile dal telefonino. E nel 2008 arriva la chat Facebook. Nel Maggio 2012 Facebook goes public, diventa public, ossia una parte delle azioni viene ceduta dagli azionisti della prima ora, per cui attraverso la quotazione le azioni di Facebook diventano negoziabili ogni giorno sul Nasdaq, acronimo di National Association of Securities Dealers Automated Quotation, il mercato delle società high tech più importante del mondo.

Ma Zuckerberg non si ferma mai. Chi lo fa, nel mondo supersonico di oggi, è perduto. Per cui, dopo aver acquistato Instagram per 715 milioni di dollari, ora ha chiuso il deal con WhatsApp - sistema di messaggistica nato 4 anni fa che connette 450 milioni di clienti nel mondo (7.000 miliardi di messaggi inviti solo nel 2013) - con un'operazione record di 19 miliardi di dollari (fatturato è ridicolo, solo 50 milioni). Nota di colore: WhatsApp ha solo 55 dipendenti, il che significa 345 milioni $ a dipendente.

Mentre in Italia le imprese tendono a rimanere piccole, negli States c'è voglia di crescere e di quotarsi. Nel più breve tempo possibile. La velocità della crescita è legata a numerosi fattori, non ultimo la disponibilità di finanziamenti da parte dei private equity.

Come ha scritto l'economista d'impresa Marco Vitale le basi del capitale di rischio e del private equity si trovano nell'Economico di Senofonte, dove il giovane titolare di un’impresa agricola di successo, Iscomaco, spiega a Socrate che, accanto alla buona gestione, uno dei segreti è di acquisire il controllo dei cespiti non valorizzati, di valorizzarli e poi di cederli con un buon guadagno di capitale. Per coloro che sono capaci di darsi da fare e coltivano la terra con ogni sforzo, vi è un modo di far denaro con l’agricoltura, che mio padre praticò personalmente e mi insegnò. Non permise mai che si comprasse della terra già coltivata, ma, quella che, per trascuratezza o l’incapacità dei proprietari, era improduttiva e non aveva piante. Diceva che le terre coltivate costano molto denaro e non possono essere migliorate; riteneva che le terre che non possono essere migliorate non danno altrettanta soddisfazione, e pensava che ogni oggetto di proprietà quando migliora, è una cosa capace di rallegrare moltissimo. Ma nulla presenta un miglioramento maggiore di una terra che da improduttiva diventa fertile. Tu sai bene, Socrate, disse, che noi abbiamo già moltiplicato varie volte il valore originario di molte terre. Udito ciò gli domandai: Iscomaco, le terre che tuo padre aveva dissodato, le teneva per sé o le vendeva, se trovava modo di guadagnarci molto denaro? Le vendeva, disse Iscomaco. Ma subito ne comprava delle altre, improduttive, per il suo amore per il lavoro".
Vale la pena citare il passaggio: "

Quando Facebook si è quotata nel maggio del 2012, si è parlato in Italia per mesi della discesa del prezzo post quotazione. Siamo proprio dei provinciali, guardiamo il dito e perdiamo di vista la luna. Il 21 Maggio 2012 il Sole 24 Ore titolò: Facebook crolla dell'11% sotto il prezzo dell'Ipo (Initial public offering, ndr).
Non si è capito o non si è voluto capire che l'enorme quantità di risorse finanziarie derivanti dalla cessione ha consentito e consente di finanziare altre migliaia di iniziative imprenditoriali che in Italia non si riescono a finanziare per carenza di VC e di finanziamenti di capitale di rischio.
Come ha scritto Leonardo Maugeri sul Sole 24 Ore del 7 febbraio scorso, secondo i dati di Start Up Italia, esistono solo 1.127 start up innovative, di cui solo 113 finanziate, per un misero totale di poco più di 110 milioni di euro investiti nel 2013. Bazzeccole, peanuts rispetto agli oltre 10 miliardi di dollari investiti dai VC statunitensi nel solo 2013.

Facebook ha fissato il presso di Ipo a 38 dollari. Gli investitori hanno cercato di capire se il modello di business avrebbe retto. Lo scetticismo ha avuto la meglio - nel breve termine - e il prezzo è sceso fino a 22,67$. Oggi, che vale nell'intorno di 64$, tutti i soloni che hanno accusato il capitalismo anglosassone di "fregare" gli investitori, si trovano a vedere il prezzo di FB in crescita del 68% dalla quotazione.
Un miliardo e 230 milioni di utenti, ogni secondo 41mila persone aggiornano il loro status, raccontano come stanno. Ogni minuto ci sono 1,8 milioni di "Mi piace". Solo in Italia sono 17 milioni coloro che visitano Facebook almeno una volta al giorno.

La capitalizzazione di FB ha raggiunto livelli incredibili, 176 miliardi di dollari, considerando che è nata 10 anni fa. Zuckerberg non ha ancora 30 anni ed è uno degli uomini più ricchi (e più giovani) del mondo.
Il matematico Odifreddi sarcasticamente ha parlato di Facebook come di "una nuova religione, che in dieci anni ha conquistato un miliardo di fedeli: più o meno quanti il cattolicesimo ne abbia conquistati in due indaffarati millenni".
Chiudiamo con la riflessione che condividiamo del sociologo Magatti sull'Espresso: "C'è la tendenza, tra gli adolescenti, di vivere il momento presente in senso assoluto, senza ieri e senza domani. E' saltata dai nuovi strumenti, dove gli scambi sono effimeri e temporanei. Una delle conseguenze è che le relazioni diventano superficiali e puntiformi. A spingere i giovani a vivere solo nella superficialità del presente, in realtà sono le attuali condizioni socio-economiche. Che impediscono loro di immaginarsi un futuro".
E siamo da capo. Il futuro non è più quello di una volta.

lunedì 17 febbraio 2014

Parte il Governo Renzi ma permane l'inconcludenza dei grillini, capaci solo di dire no

A un anno dalle elezioni politiche, abbiamo un nuovo presidente del Consiglio, Matteo Renzi - gli facciamo i migliori auguri perchè ne ha tanto bisogno, il lavoro da fare è immenso - ma c'è sempre una parte dell'elettorato che ha votato per la palingenesi di Grillo e abbiamo visto quindi i voti andare in frigidaire poichè Grillo si oppone a tutto e tutti, non concludendo nulla. Il vuoto assoluto. A distruggere sono buoni tutti. Essere propositivi e costruire è molto più difficile.

Non ne poteva seguire  che il rifiuto di partecipare alle consultazioni, considerate un rito assurdo della vecchia Repubblica. Il solito atteggiamento oppositivo che non porta da nessuna parte.

Voglio portare alla vostra attenzione un caso, che la dice lunga sulla memoria degli italiani, sul fatto che si può dire tutto e il contrario di tutto, tanto la gente si dimentica. Io no.

Siamo nell'estate 2011, con la Banca centrale europea che scrive (lettera fermata da Trichet e Draghi) a Berlusconi, con lo spread in volo e la delegittimazione del governo italiano ai massimi livelli.
Grillo afferma:
Estate 2011. Il Governo Berlusconi traballa, crisi tra Lega e Pdl, impossibilità di varare una manovra credibile. Inizia la speculazione finanziaria, lo spread sale. Grillo scrive al Presidente Napolitano:
«Lei non può restare inerte. Lei ha il diritto-dovere di nominare un nuovo presidente del Consiglio al posto di quello attuale. Una figura di profilo istituzionale, non legata ai partiti, con un l’unico mandato di evitare la catastrofe economica e di incidere sulla carne viva degli sprechi». (Beppe Grillo, 30 luglio 2011).

Siamo nel 2014 e Grillo ha cambiato idea:
"Berlusconi era allora un presidente del Consiglio regolarmente eletto, non era ancora stato condannato e fatto decadere. Fu sostituito con un tecnocrate scelto da Napolitano senza che il Parlamento sfiduciasse il governo in carica. Oggi, dopo due anni e mezzo, sappiamo che lo spread non ha (né aveva) nulla a che fare con l’economia reale. Infatti lo spread è sceso mentre l’Italia è in profonda recessione, stiamo molto peggio del 2011. Sappiamo anche che un Presidente della Repubblica ha svolto funzioni che non gli sono attribuite dal suo incarico senza che gli italiani ne fossero informati".
Siamo alla commedia dell'assurdo. Il governo Berlusconi era andato sotto in occasione della votazione del rendiconto dello Stato e in una Repubblica Parlamentare il Presidente deve verificare se esiste una maggioranza diposta a votare la fiducia a un nuovo governo. Cose ribadite pochi giorni fa al Corriere della Sera da Napolitano stesso dopo le presunte rivelazioni - fumo vero - nell'ultimo libro di Alan Friedman.
Il filosofo Remo Bodei ha compiuto un analisi condivisibile: questi giovani volenterosi sono telecomandati da due opache figure (Beppe e Gianrobbè), le quali "non riescono a mettere nulla in pratica perchè si punta a distruggere gli avversari e prendere il potere sulle macerie".

Io la penso come Umberto Eco che nella sua rubrica La bustina di Minerva sull'Espresso del 13 febbraio scrive: "Ecco un movimento che non si vuole extraparlamentare, che si presenta alle elezioni, che vanta un consenso elettorale, ma poi delegittima quell parlamento, in cui è entrato con tutti gli onori, trasformandolo in un bivacco di manipoli. Evidentemente c'è una contraddizione, perchè un parlamento ridotto a un bivacco di manipoli delegittima anche i bivaccatori che hanno ambito a diventarne membri. Un poco la storia del signore che si evira per far dispetto alla moglie".

lunedì 3 febbraio 2014

Dietro l'ultimo film di Virzì "Il capitale umano" ci sono le sparate di Bossi e della Lega sul boicottaggio dei BOT

Nel pregevole "Il desiderio di essere come TUTTI" (Einaudi, 2013), Francesco Piccolo - sceneggiatore del "Caimano" di Nanni Moretti, racconta la totale immersione storica per poter scrivere la sceneggiatura del film, che evoca chiaramente Silvio Berlusconi.

Quando Moretti ha ingaggiato Piccolo, quest'ultimo è entrato in un vortice dove l'unico obiettivo era capire veramente Berlusconi attraverso le sue dichiarazioni (soprattutto agenize di stampa, di modo da studiare il virgolettato esatto), gli scritti, i comportamenti.

Credo sia avvenuto lo stesso nel caso del Capitale umano, che vede Virzì alla regia, Francesco Piccolo e Francesco Bruni come sceneggiatori.

A me il film ha ricordato un libro di successo negli Stati Uniti post crisi finanziaria: "The big short" di Michael Lewis, che narra la più grande operazione ribassista della storia. Ossia la vendita allo scoperto dei titoli strutturati legati alla bolla immobiliare Americana. I titoli sono definiti Collateralised Mortgage Obligation (CMS) o Collateralised Debt Obligation: sono titoli strutturati il cui rendimento è legato alla bontà dell'insieme dei mutui che costituiscono il sottostante.
Qualche saggio finanziere ha capito per tempo che la bolla sarebbe scoppiata e ha venduto allo scoperto. Il caso ha avuto un ruolo rilevante. Stiamo attenti a scambiare la fortuna con la bravura (Nassim Taleb, Giocati dal caso, cit.). Uno di questi hedge fund manager, John Paulson, ha guadagnato di sole performance fee qualcosa come 4 miliardi (miliardi, avete letto bene) di dollari. Poi negli anni successive è andato "lungo" di oro e materie prime e ha fatto perdere ai clienti molto di più di quello che aveva fatto loro guadagnare.

Andare short (corto), in finanza, significa prendere una posizione ribassista, vendere un titolo - azione, obbligazione, indice, prodotto derivato - senza detenerlo. Per andare short bisogna farsi prestare I titoli da un intermediario chiamato stock lender. I titoli che lo stock lender ci presta li consegnamo a colui che ha comprato da noi.
L'operazione di short selling, il rischio è elevato: si guadagna se il titolo scende. Se sale si può perdere l'intero capitale.

Nel film in questione - Il capitale umano - il finanziere brianzolo Giovanni Bernaschi, interpretato dal bravo Fabrizio Gifuni, decide di andare short sull'Italia, convincendo i suoi clienti investitori a seguirlo in questa operazione ribassista.
Quando sembra che le cose si mettono male - ossia l'Italia si riprenda e lo spread scende - e tutta l'operazione fallisca (compromettendo anche il capitale conferito dall'ingenuo Dino Ossola, alias Bentivoglio, ambizioso immobiliarista), l'Italia crolla, lo spread vola e Bernaschi organizza una grande festa nella sua villa per coronare una vittoria storica.
Nelle battute finali, la moglie di Bernaschi, Carla - l'attrice Valeria Bruni Tedeschi, per me la migliore - dice al marito: "Avete scommesso sulla rovina del nostro Paese e avete vinto".
E lui, Bernaschi: "Abbiamo vinto, amore. Abbiamo vinto. Ci sei anche tu".

La mia idea è che Virzì, con gli sceneggiatori, nell'ambito della ricerca storica, si siano imbattuti nelle dichiarazioni del leader della Lega Bossi, il quale per anni ha continuato a blaterare contro i titoli di Stato italiani (BOT e BTP), invitando i risparmiatori italiani al boicottaggio.

Cercando velocemente su google, ho trovato un articolo del 4 ottobre 1992, quando il Corriere della Sera titola: Guerra ai BOT, sassate a Bossi: "Duro e dettagliato attacco del presidente del Consiglio alla Lega Nord e a "un insieme di comportamenti che possono essere eversivi". Ma anche un monito a quelle forze che operano per destabilizzare la maggioranza e per condizionare "il timoniere", cioe' lo stesso capo del governo, alle prese con la drammatica crisi finanziaria. In un' intervista a Giuliano Ferrara, nell' "Istruttoria" di ieri sera, Giuliano Amato ha espresso un giudizio fortemente negativo sugli inviti leghisti a non comprare Bot, a non pagare le tasse, a portare i capitali all' estero. "Magari uno a uno sono solo comportamenti sgradevoli o non commendevoli. Quando si comincia a invitare la gente a non pagare le tasse, a non comprare i titoli di Stato, a pretendere di battere moneta, non si capisce se questo e' uno scherzo o una cosa fatta sul serio. Fatto sta che anche nei bar di Roma questi signori si presentano con monete coniate da loro. Insomma, c' e' un insieme di fatti che mettono in discussione l'unita' nazionale".

L'Italia ce l'ha fatta, Bossi ha avuto torto, chi ha tenuto duro e comprato titoli di Stato italiani ha guadagnato nel corso degli anni. Settimana scorsa l'asta dei CTZ ha segnato il minimo storico di ogni tempo.

Alla luce del bashing contro l'euro e i BOT non devono tanto stupire le scelte di gestione del patrimonio della Lega - costituito dai rimborsi elettorali - investiti in diamanti e in conti a Cipro e in Tanzania. Chapeau, Mr Belsito!

lunedì 27 gennaio 2014

Omaggio a Roberto Franceschi, studente bocconiano ucciso dalla polizia il 23 gennaio 1973

L'altra sera nell'Aula Magna dell'Università Bocconi, come ogni anno, si è meritoriamente ricordata la figura di Roberto Franceschi, studente della Bocconi, appassionato, studioso, diligente, con forte senso del dovere e della giustizia sociale.
Purtroppo per Roberto, la campana - come dice Hemingway - è suonata troppo presto.

Appena ho iniziato a frequentare l'Università Bocconi, ho notato che l'aula al secondo piano era dedicata alla memoria di Roberto Franceschi. Non c'era google al tempo, allora ho chiesto a mia madre, una vera e propria Garzantina o wikipedia vivente. E mi ha raccontato con emozione cosa successe quella disgraziata sera del 23 gennaio 1973.

41 anni fa, lo studente bocconiano Roberto Franceschi si accasciava al suolo colpito a morte da un colpo di arma da fuoco sparato da un proiettile di pistola Beretta calibro 7,65 in dotazione alla Polizia che presidiava l’Università.

La sera del 23 gennaio 1973 era in programma un'assemblea del Movimento Studentesco presso l'Università Bocconi. Assemblee di questo tipo erano state fino ad allora autorizzate normalmente e non avevano mai dato adito a nessun incidente e, nel caso specifico, si trattava dell'aggiornamento di una assemblea già iniziata alcuni giorni prima; ma l'allora Rettore dell'Università quella sera ordinò che potessero accedere solo studenti della Bocconi con il libretto universitario di riconoscimento, escludendo lavoratori o studenti di altre scuole o università. Ciò significava vietare l'assemblea e il Rettore informò la polizia, che intervenne, con un reparto della celere, intenzionata a far rispettare il divieto con la forza.

Ne nacque un breve scontro con gli studenti e i lavoratori e, mentre questi si allontanavano, poliziotti e funzionari spararono vari colpi d'arma da fuoco ad altezza d'uomo. Lo studente Roberto Franceschi fu raggiunto al capo, l'operaio Roberto Piacentini alla schiena. Entrambi caddero colpiti alle spalle” (dal sito web http://www.fondfranceschi.it ).

Come spesso accade, il processo è stato un calvario scandaloso – oltre venticinque anni di processi penali e civili, l’ultima sentenza è del 20 luglio 1999, più di 26 anni dopo la morte di Francesco - dove la volontà di occultare la verità da parte della Polizia è stata dominante. Dalla sentenza che ha chiuso la fase istruttoria del processo (dicembre 1976) leggiamo: “La verità è che sin dall’inizio si preferì occultare rigorosamente la corcostanza che a sparare erano stati in diversi, e questa decisione comportò poi la necessità che l’intera fase delle indiagini preliminari fosse gestita sotto il controllo o quanto meno con l’accondiscenza dei vertici della polizia, all’insegna della costante preoccupazione di neutralizzare ogni risultanza che con tale versione potesse apparire in contrasto”.

Qualcosa si è ottenuto dai processi. Come scrive Biacchessi “L’accertamento della responsabilità della polizia e la condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento del danno, ma non l’individuazione e la condanna dell’autore materiale e di eventuali corresponsabili”.

Ma torniamo alla figura di Roberto Franceschi, studente brillante e affettuoso.

Scrisse di lui un compagno di studi: "Roberto, la sua ferrea volontà, la sua onestà intellettuale, la sua incrollabile fede nella scienza, la sua costante ricerca della verità, il suo amore per la cultura, la sua illimitata fiducia nelle possibilità dell'uomo, dopo la sua morte, hanno aiutato me e molti altri compagni a superare le difficoltà, a correggere gli errori e ad andar avanti".

La sua insegnante di filosofia del Liceo Vittorio Veneto – Meris Antomelli - ha scritto: “Roberto era politicamente molto impegnato, e in particolare riteneva l’apertura della scuola alla società, e la lotta contro lo sfruttamento e l’oppressione non come esigenze tra le altre, ma fondamentali: le considerava capaci di dare concretezza ai suoi ideali di democrazia e giustizia, e coerenza alla sua vita. Non accettava perciò quelle forme di contestazione della scuola che si traducevano nel rifiuto dello studio a vantaggio di una militanza politica che nella scuola vedeva soltanto uno dei suoi luoghi d’azione”.

Dopo aver riletto le testimonianze sulla figura di Roberto Franceschi, mi è tornato in mente Don Lorenzo Milani, che insisteva in continuazione sull’importanza dello studio affinchè le classi disagiate potessero giocarsela alla pari con i più fortunati. In un bellissimo passo de La ricreazione (Edizioni e/o, 1995) leggiamo: “Quando ripresi la scuola nel 1952-53 avevo ormai superato ogni ulteriore esitazione: la scuola era il bene della classe operaia, la ricreazione era la rovina della classe operaia. Mi perfezionai allora nell’arte di far scoprire ai giovani le gioie intrinseche della cultura e del pensiero e smisi di far la corte ai giovani che non venivano. Non perdevo anzi l’occasione di umiliarli o offenderli...Prova ne sia che, dopo le ricreazioni, la domanda di rito è: "A San Donato oggi una domanda del genere viene considerata poco meno che pornografica”.

Chiudo con una riflessione di decenni fa (1979) ma attualissima di Corrado Stajano – scrittore e giornalista di grandissima levatura, ricordiamo solo gli imprescindibili Un eroe borghese. Il caso dell’avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica (Einaudi, 1991), Il sovversivo. Vita e morte dell’anarchico Serantini (Einaudi, 1975): “La storia del ragazzo Franceschi non conta solo per ieri, vale per oggi e per domani. E non riguarda solo la tarlata giustizia, ma il buongoverno nel suo complesso perchè sono proprio inutili le generiche affermazioni da cui siamo continuamente travolti, se poi, in concreto, si usa solo indifferenza e non ci si scandalizza più di fatti scandalosi”.

Dove sarebbe oggi il brillante studente Roberto Franceschi? A me piace immaginarlo come civil servant in Banca d'Italia, accanto a Ignazio Visco e Salvatore Rossi, tutti impegnati a elaborare le strategie per far ripartire il nostro sgangherato Paese.

Un abbraccio particolare a Cristina e Lydia Franceschi - per anni impegnate caparbiamente per la ricerca della verità - per l'effort con il quale ogni giorno attraverso la Fondazione Franceschi porta avanti progetti, pubblicazioni, convegni, premi di laurea, rende viva e presente la memoria di Roberto.

Il fatto che di fronte al più grande dolore che una persona possa provare - la morte di un figlio - la famiglia Franceschi sia riuscita a trasmettere dei valori positivi è una cosa di un valore inestimabile.

P.S.: si consiglia la lettura di Roberto Franceschi. Processo di polizia, a cura di Daniele Biacchessi (Baldini Castoldi, Dalai editore, 2004)

http://www.fondfranceschi.it/

mercoledì 22 gennaio 2014

Il lavoratore italiano tiene il suo TFR nell'impresa dove lavora. Errore sesquipedale. I fondi pensione, questi sconosciuti.

Purtroppo il mercato dei fondi pensione in Italia è sottosviluppato. La causa principale è da ricercarsi nel bassissimo livello di educazione finanziaria del lavoratore italiano.

Il dipendente italiano - che sia operaio, impiegato o quadro - preferisce detenere il proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR) presso il proprio datore di lavoro piuttosto che investirlo in modo proficuo sui mercati finanziari.

Il datore di lavoro, l'impresa italiana, fa di tutto per mantenere il TFR dei propri dipendenti presso si sè, al fine di avere una fonte di finanziamento a basso costo.
Così il lavoratore - che nella maggior parte dei casi non si avvale dei fondi pensione - si trova in questa spiacevole situazione:
1. sostiene un forte rischio di credito o rischio di controparte, per cui se il datore di lavoro fallisce o omette di pagare i contributi del TFR, la propria liquidazione va in fumo; è pur vero che c'è un fondo speciale presso l'Inps che interviene in caso di fallimento, ma spesso nascono controversie sull'effettività dei contributi versati.
2. perde i contributi obbligatori che il datore di lavoro è tenuto a versare per legge una volta che il lavoratore opta per i contributi per il TFR versati in un fondo pensione negoziale; se non esiste un fondo pensione di categoria/negoziale, si può sottoscrivere un fondo pensione aperto, beneficiando delle deduzioni fiscali (5.165 euro l'anno);
3. con l'inflazione in forte calo - siamo ormai sotto l'1% - il rendimento del TFR - stabilito per legge uguale al 75% del tasso inflazione a cui si aggiunge lo 1,5% è irrisorio. Nel 2014 siamo quindi nell'intorno dell'1,95% ricavato da: 0,6%x0,75%+1,5%.
Qualsiasi prodotto finanziario, anche a basso rischio, è in grado di dare un rendimento superiore (e nel rendimento va aggiunto il contributo "gratuito" del datore di lavoro, quando ci si può avvalere dei fondi negoziali).

Si potrebbe replicare - per migliorare lo stato dell'arte - quanto fatto nel Regno Unito dove da fine 2012 è stato introdotto l'auto-enrollment ai fondi pensione. Il dipendente è automaticamente iscritto al fondo pensione e ha la facoltà (opting-out) di uscirne entro 30 giorni.

In un suo lucido intervento su lavoce.info, gli economisti Luigi Guiso e Boeri hanno stigmatizzato l'operato del Ministro del Welfare Giovannini che tentenna nel mandare a tutti i lavoratori italiani la busta arancione, ossia una busta dove l'INPS informa sul futuro livello della pensione:
"Dare una previsione (sulla futura pensione, ndr) non vuol dire emettere una condanna; anzi insieme alla previsione noi crediamo che i lavoratori debbano ricevere anche informazioni su come mettere riparo a una potenziale scarsità di benefici pensionistici. Illustrare loro l’esistenza dei fondi pensione, come funzionano, i lori vantaggi fiscali e così via, dovrebbe essere parte integrante della busta arancione. In Svezia contiene informazioni anche sull’andamento della previdenza integrativa. L’informativa guidata deve servire per promuovere la previdenza complementare, che non decolla principalmente per ostacoli informativi. Sarebbe un’iniziativa da gestire insieme alla Covip (autorità di vigilanza sui fondi pensione, ndr).

Come altro definire questo atteggiamento se non "ignavia di Stato"? Chi – come i presidenti Inps e i ministri del Lavoro succedutisi finora (eccezion fatta per il ministro Fornero che si è mossa in controtendenza, ma è stata bloccata dal suo presidente del Consiglio proprio mentre stava per mandare le buste arancioni) – rifiuta di prendersi la responsabilità di informare i lavoratori italiani delle prospettive pensionistiche, per paura di essere loro stessi travolti da una crisi di consenso, non assolvono per ignavia al dovere a cui li chiama il loro ruolo".

Fino a che non verranno date informazioni corrette ai cittadini, questi saranno prigionieri dei deficit cognitivi che hanno consentito a Kahneman (psicologo) di vincere il Nobel per l'economia.

giovedì 16 gennaio 2014

A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti


Me lo ricordo come fosse ieri. Prova di maturità, orale. 11 luglio 1989. Il presidente della commissione, attento e scrupoloso, osserva: "Ho letto che suo padre è nato a Grazzano Badoglio nel Monferrato. Mi parli quindi del Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, capo del Governo dal 25 luglio 1943 all’8 giugno del 1944". Vacillo. Tergiverso. Inizio a parlare del Consiglio del fascismo del 25 luglio 1943, di Mussolini portato via in ambulanza. Sulle questioni politiche mi tengo sul vago, per paura di suscitare incomprensioni. Accenno alla Resistenza, poi il Presidente, dice "Molto bene. Adesso, iniziamo con l’esame vero e proprio". Che si concluderà benissimo. Con i complimenti della commissione.
Eh beh, non ho mai studiato in vita mia così tanto come alla maturità. Neanche all’università.

In una recente ricerca su google – che strumento fantastic! - mi sono imbattuto in un saggio dello storico Primo Maioglio, scritto in occasione della commemorazione del Maresciallo Badoglio. In un passaggio significativo si legge: "Concludo questa mia comunicazione ricordando un fatto significativo riguardante Grazzano, paese di Badoglio. Dopo la cattura dei 27 partigiani della banda Lenti  aderente alle formazioni Matteotti - cattura avvenuta nel settembre del ‘44 sull’altura grazzanese della Madonna dei Monti - cinque giovani del paese si presentarono al comando della IX Brigata Matteotti, in Moncalvo, per diventare partigiani. Voglio citare i loro nomi a testimonianza di come essi, compaesani ed estimatori di Badoglio, poterono dignitosamente militare in una formazione collegata ad un partito che si proponeva, a liberazione avvenuta, di operare per la edificazione di uno stato di forma repubblicana: Piero Piccone, Giulio Medesani, Bruno Mosso, Aurelio Redoglia, Sandrino Oliaro. Tre di essi (compreso mio padre, ndr) riposano da anni in quello stesso cimitero che il 2 novembre 1956 ha accolto le spoglie del loro illustre compaesano".

Ecco, mio padre - scomparso il 16 gennaio di 24 anni fa - è stato questo, una persona che nel settembre 1944, a soli 18 anni si arruola nelle Brigate partigiane Matteotti. Sente di dover dare un contributo fattivo per la liberazione dell'Italia.

Mio padre la pensava come Giorgio Bocca, anche lui partigiano, che ad un giovanissimo Walter Tobagi, disse: «La nostra democrazia è gracile, compromissoria, ma non è una democrazia trovatella. E se non è trovatella, se ha il minimo indispensabile di legittimità, lo deve alla Resistenza. La quale dà alla democrazia in cui viviamo quella base democratica, quel suffragio popolare sufficientemente grande per essere considerata legittima».

Caro Papi, ti sia lieve la terra.

lunedì 13 gennaio 2014

Perchè Maroni non dice nulla sul caso truffa di Stamina e Vannoni, sperimentato negli Spedali Civili di Brescia?

Non c’è giorno che Dio manda in terra che il Presidente della Regione Lombardia non accusi l’euro di tutte le malefatte di questo mondo. Nell’intervista data a Repubblica-Milano il 28 dicembre scorso, Maroni ha tuonato così: “L’euro è stata la gabbia che ci ha fatto perdere competitività in un sistema che va profondamente rivisto”.

Premesso che non siamo d’accordo, vorremmo poter ascoltare con la stessa costanza parole contro la truffa di Stamina creata dal prof. Vannoni, demagogo fuori misura, laureato in lettere (come far costruire un ponte a una parrucchiera), che sfrutta la disperazione delle famiglie e di pazienti malati per cui la medicina non ha ancora trovato una cura. L’obiettivo per Vannoni è evidente: vendere a prezzi da capogiro i suoi miscugli, che non hanno nulla di scientifico. Sembrano gli intrugli preparati da Granny della famiglia Addams per zio Fester.

Obbligo dello Stato dovrebbe essere quello di non sprecare soldi pubblici per trattamenti inefficaci e pericolosi. Visto che le Regioni hanno in mano la Sanità e Maroni controlla la sanità lombarda, vorremmo chiedere a lui spiegazioni sul fatto che l’unico ospedale pubblico che ha scelto di applicare il metodo Stamina è una struttura pubblica lombarda, gli Spedali Civili di Brescia.
Dai racconti dei pazienti pubblicati da La Stampa, c'è da preoccuparsi. La vedova Milena Mattavelli ha raccontato di aver sborsato oltre 50mila euro: "Ci hanno messo davanti questo foglio: Prelievo midollo: 2mila€; preparazione cellule: 27mila€; 8mila€ a iniezione, 2.500€ per la crioconservazione".

Negli scorsi giorni, dopo che la rivista Nature ha ribadito la pochezza scientifica del “protocollo Stamina”, abbiamo letto che secondo il Comitato scientifico nominato dal MInistero, la descrizione delle malattie, così come altre parti del protocollo, sono state copiate da due articoli scientifici pubblicati da altri ricercatori, dal sito di un’associazione di pazienti e in quattro casi sono stati sono state prese da Wikipedia.

La verità è che dietro Stamina non c’è alcun “metodo”, nè terapia; non si usano neppure cellule staminali, nè si producono neuroni.
Restano le profonde preoccupazioni sulla sicurezza e l’efficacia della terapia con cellule staminali.  Il rispetto per i malati passa dalla verità. Dalla scienza. Resta la rabbia verso chi si introduce nella disperazione con «metodi» terapeutici non provati.

La magistratura non ne esce bene da tutta questa vicenda. Non è bello vedere alcuni giudici prescrivere d’ufficio un trattamento inutile, se non addirittura pericoloso, autorizzandolo come cura “compassionevole”.  I magistrati dovrebbero perseguire, invece, ciarlatani e truffatori. Ma come nella storia di Pinocchio, vincono il Gatto e la Volpe e Pinocchio viene arrestato.

Prof.ssa Elena Cattaneo
Michele Serra - in modo esilerante - ha scritto: "Dopo Stamina nuove cure salvifiche! Senza alcuna disamina e inutili modifiche agli scienziati (casta!) per promuoverle basta che piacciano alla gente".

Ha perfettamente ragione la prof.ssa Elena Cattaneo: “Anche se ci sono giudici che prescrivono il “trattamento”, si tratta di un inganno ai danni dei malati e un ricatto allo Stato: soldi per somministrare l’inganno vengono sottratti ai trattamenti veri”.