lunedì 17 marzo 2014

"La finanza è il male", dicono tutti indistintamente. Ma senza un sistema finanziario efficiente, l'economia reale vacilla. Tesoro, parliamone.

Sono stato invitato qualche settimana fa un gruppo di studenti della Facoltà di Economia di Torino (Assemblea di Economia, il nome esatto del gruppo di rappresentanza) che da qualche anno organizzano una serie di incontri dal titolo "Tesoro, parliamone".

Nel corso del dibattito mi sono state poste diverse domande, che hanno animato la discussione. All'incontro hanno partecipato, oltre al sottoscritto, Umberto Cherubini, coordinatore del corso di laurea magistrale in Quantitative finance a Bologna, Vladimiro Giacchè, responsabile Affari Generali del gruppo Sator e Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale Responsabilità Etica.  Vediamole insieme.

1. E' vero che l'economia finanziaria è scollegata dall'economia reale?

Credo che attaccare sempre e comunque la finanza sia profondamente sbagliato. Se la finanza viene messa sotto accusa, l'economia reale non potrà mai beneficiare dei flussi finanziari che solo la deprecate finanza internazionale è in grado di convogliare nel Belpaese. Come hanno scritto Forestieri e Mottura nell'introduzione al classico Il sistema finanziario, "la competitività dell'economia reale di un Paese dipende anche dall'efficienza del funzionamento del suo sistema finanziario, struttura fondamentale dell'economia reale poichè ne migliora sostanzialmente il funzionamento, l'efficienza e in definitiva la capacità di produrre ricchezza".

E' pur vero che l'eccesso di finanza porta dei danni, ma in Italia siamo ben lungi dall'essere eccessivamente finanziarizzati. Siamo invece deficitari soprattutto nel mondo del venture capital e del private equity, come abbiamo scritto in passato in relazione a Facebook e WhatsApp, nate e cresciute grazie al capitale di rischio.
Il direttore generale della Banca d'Italia Salvatore Rossi, in una lectio magistralis in occasione della Giornata Menichella, ha fatto notare che la relazione tra la dimensione del sistema finanziario e la crescita dell'economia non è lineare:
 "positiva e significativa a bassi livelli di sviluppo dimensionale del settore finanziario, tende a diventare negativa a livelli alti. In altre parole, un settore finanziario ipertrofico può rendere un’economia inefficiente, oltre che a esporla a rischi di crisi sistemiche: perché assorbe capitale (umano, fisico, finanziario) che sarebbe più produttivo se impiegato altrove.

Le mancanza degli attori pubblici nel fissare regole e nel farle rispettare possono essere, e storicamente sono state, causa o concausa delle più violente e dannose crisi finanziarie dell’era moderna, tali da distruggere ricchezza reale e inceppare per anni i meccanismi dello sviluppo.
D’altro canto – e occorre restarne consapevoli anche in questa fase di riregolazione della finanza – anche l’eccesso di regolazione può frenare lo sviluppo della finanza, con effetti depressivi sulla crescita economica".


2. Come mai le politiche accomodanti delle banche centrali non sono state sufficienti per uscire dalla crisi finanziaria?

In via preliminare è opportuno dire che le banche centrali e le autorità di vigilanza in generale sono da considerare tra le concause della crisi, avendo sottovalutato l'impatto sistemico della crisi bancaria e non avendo capito per tempo la sua gravità. Come sostiene peraltro Marco Onado ne I nodi al pettine (Laterza, 2009), mancava il pettine, ossia i regolatori non hanno usato gli strumenti a loro disposizione per fermare la deregulation finanziaria.
Negli Stati Uniti per anni ha imperversato la cultura della ownership society, per cui tutti si arrogavano il diritto di poter diventare proprietari di casa, anche i famigerati NINJA, che non hanno nè un lavoro, nè degli asset, nè altre forme di reddito. E' chiaro che tali individui prima o poi vanno in default.
Memorabile con gli occhi di oggi è la dichiarazione del Presidente George W. Bush: "America is a stronger country every single time a family moves into a home of their own" (October 2004).

E' anche importante ricordare gli errori compiuti dalla Banca centrale europea nel periodo in cui presidente era il francese Jean-Claude Trichet. Nel luglio 2008, a due mesi dal crack di Lehman Brothers, la BCE alzò i tassi di interesse dal 4 al 4,25% per calmierare l'inflazione. Nonostante il rialzo del prezzo del petrolio, la crisi incipiente era nei numeri.

Ma non basta. Trichet nel luglio 2010, in un articolo sul Financial Times, scrisse che era tempo di rendere meno accomodanti le politiche fiscali e monetarie: "Stimulate no more. It's time for all to tighten". Invitò quindi anche le altre (for all, ndr) banche centrali ad alzare i tassi di interesse ufficiali, nonostante fossimo ben lontani dalla fine della crisi. Infatti appena prese il comando della BCE (1° novembre 2011), Draghi non esitò ad abbassare per due volte consecutive i tassi. Per poi abbassarli ancora fino ad arrivare all'attuale 0,25% (minimo storico).

La situazione congiunturale sta migliorando negli Stati Uniti e in Europa. Quest'ultima beneficia anche dell'arrivo dei flussi di capitale in fuga dai paesi emergenti, che per lungo tempo sono stati attraenti per gli investitori istituzionali a caccia di rendimenti.
Con il calo degli spread sui titoli di stato dei paesi periferici della UE, piano piano anche in Europa la ripresa si consoliderà. Anche in Italia, nonostante le banche nostrane continuino nella loro politica di restringimenti dei criteri di accesso al credito (credit crunch), a causa dell'ammontare enorme di crediti deteriorati e di sofferenze.

Dobbiamo lavorare affinchè il mercato finanziario non sia esclusivamente costituito dal mercato creditizio, altrimenti il sistema industriale italiano pagherà del conseguenze del bancocentrismo. Nelle parole di Salvatore Rossi:
"Occorre che in Italia i termini "sistema finanziario" e "sistema bancario" non siano più sinonimi...una coesistenza equilibrata di mercati e intermediari rende più stabile il flusso di credito per l’economia reale. Nei paesi con mercati obbligazionari sviluppati, come gli Stati Uniti, il deleveraging bancario generato dalla crisi del 2008-9 è stato in parte compensato da un maggior ricorso delle imprese al mercato. In Italia questa compensazione non è avvenuta se non in forma molto più tenue, rallentando l’uscita dalla recessione e ora frenando la ripresa".

1 commento:

  1. Ricevo e pubblico:

    c'e' molto da dire su sta finanza.

    l'unico settore che riceve sussidi da stato e banche centrali

    ECB coi vari LTRO's e ' whatever it takes' e' una pacchia...

    ti finanzi a 0% con 30x di leverage...comoperi il btp al 6% e lo rivendi alla ecb al 3%????

    la JPM che perde 20 bln usd in quarto di fines e dice che non e' material

    significa che e' ancora massively too big to fail.

    Grazie ancora
    Luca

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