martedì 23 marzo 2021

Quella macchinazione contro Bankitalia

A 42 anni dagli eventi possiamo ancora sostenere che il 24 marzo 1979 sia un giorno nero per la storia italiana. Paolo Baffi, governatore della Banca d’Italia e Mario Sarcinelli, vicedirettore generale con delega alla vigilanza, in modo pretestuoso e grottesco vengono accusati dalla Procura di Roma di interesse privato in atti d’ufficio e favoreggiamento personale per non aver trasmesso all’autorità giudiziaria le notizie contenute in un rapporto ispettivo sul Credito Industriale Sardo, istituto di credito che aveva largamente finanziato il gruppo chimico SIR del finanziere Nino Rovelli, oggetto di indagine da parte della magistratura. Il dolore per la macchinazione affaristico-politico giudiziaria che lo vede coinvolto insieme con Sarcinelli, e che culminerà nella sua incriminazione e nel mandato di cattura per Sarcinelli medesimo il 24 marzo 1979, Baffi se lo porterà appresso per il resto della sua vita. Quella ferita non sarà più rimarginata. In una lettera a Mario Monti del 13 novembre 1979 Baffi descrive il suo stato d’animo come «una voragine di mortificazione e di amarezza […], che pregiudica la riconquista della serenità» (Archivio Storico della Banca d’Italia, Carte Baffi, Governatore Onorario). I magistrati della Procura di Roma – allora considerato un “porto delle nebbie”, a distanza di tanto tempo possiamo dire che c’era del metodo in quella follia – approfittano della presenza di Paolo Baffi nel consiglio di amministrazione dell’IMI (finanziatore delle numerose società di Rovelli) per costruire un castello di accuse pretestuose. Nelle parole di Mario Draghi, nella veste allora di Governatore della Banca d’Italia, si trattò di un «attacco intimidatorio all’autonomia della Banca d’Italia». In una lettera a Marcello de Cecco, Paolo Baffi nell’ottobre 1981 scrive che «il naufragio di Rovelli ha offerto a talune cerchie il destro per far rimuovere dall’ufficio un governatore sgradito» (ASBI, Carte Baffi, Governatore Onorario). Nel ricordo di Carlo Azeglio Ciampi: «Ricordo bene quel sabato, un sabato drammatico. Era il 24 marzo 1979. Quella mattina ricordo ancora che ero in macchina a via Nazionale, e in senso opposto transitò un’autoambulanza a sirene spiegate: non sapevo ancora che dentro c’era Ugo la Malfa, ormai morente. Andai in Banca, lavorai tranquillamente. A un certo punto entrò nella mia stanza Sarcinelli che mi disse: “Carlo, sono venuti ad arrestarmi” (per dovere di cronaca i carabinieri guidati dal Colonnello Campo, ndr). Mi precipitai da Baffi e lo trovai distrutto. Aveva in mano il documento che gli avevano consegnato, con l’incriminazione per lo stesso reato contestato a Sarcinelli; il documento era stato scritto con la carta carbone. Non si concludeva con l’arresto solo per l’età. Mi precipitai a informare il Quirinale» (Da Livorno al Quirinale, Il Mulino, 2010, p. 125). È opportuno chiarire che le pressioni alla Banca d’Italia di Baffi e Sarcinelli iniziano ben prima del 1979, e precisamente nel febbraio 1978 quando il Ministro del Tesoro Gaetano Stammati (iscritto alla P2, si seppe poi) ed Franco Evangelisti – stretto collaboratore di Giulio Andreotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – convocano due volte Baffi e Sarcinelli sollecitando la sistemazione dei debiti Caltagirone nei confronti dell’Italcasse, feudo democristiano. Tra i tanti commenti di allora, ne riportiamo uno di Massimo Riva che sul Corriere della Sera nel 1979 scrive: «Michele Sindona ha regalato al Paese una bancarotta per qualche centinaio di miliardi e se ne sta indisturbato in un grande albergo di New York. Ma Mario Sarcinelli, che si è impegnato per smascherare i trucchi dei banchieri d’assalto, è finito dentro un carcere». Il 31 maggio 1979, a margine delle Considerazioni finali, nella Relazione per il 1978 Baffi scrive: “Ai detrattori della Banca, auguro che nel morso della coscienza trovino riscatto dal male che hanno compiuto alimentando una campagna di stampa intessuta di argomenti falsi o tendenziosi e mossa da qualche oscuro disegno. Un destino beffardo ha voluto che da questa campagna io fossi investito dopo 42 anni di servizio”. Un vero civil servant che, a dir poco amareggiato a fronte della sua incriminazione, descrive ad Enrico Berlinguer il parallelo col suo collega della Bank of England insignito della nomina di Pari d’Inghilterra. Il 3 marzo 1983, al momento di consegnare i suoi diari a Massimo Riva – con l’impegno di pubblicarli solo dopo la sua morte – Baffi scrive: “Purtroppo, come la classe politica (e i potentati a essa collegati nello scambio di favori) ha dovuto accorgersi di me, così io ho dovuto accorgermi della potenza del complesso politico affaristico giudiziario, che mi ha battuto”. Un galantuomo distrutto. Proprio per questo è giusto ricordare Baffi e Sarcinelli a 42 anni da quel tragico 24 marzo 1979. Quando i tempi sono tristi, bisogna guardare in alto alla ricerca di esempi positivi. Nel cielo degli onesti e dei competenti è presente di diritto Paolo Baffi, nato a Broni (PV) il 5 agosto 1911 e morto a Roma il 4 agosto 1989. P.S.: questo articolo è uscito sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 23 marzo 2021

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