L’ultima polemica
– sollevata con merito da Repubblica,
che ha titolato in prima pagina l’8 gennaio “L’Italia degli imboscati” – vede protagonisti i dipendenti pubblici che abusano
della Legge 104 (approvata nel lontano 1992), che offre una serie di benefici
ai disabili gravi e ai loro parenti (i veri danneggiati da questo andazzo).
In un Paese
levantino come l’Italia dove non esiste il senso dello Stato, dove esiste il
familismo amorale - disegnato lustri fa in modo formidabile da Edward Banfield (“Le basi morali di una società arretrata”, 1961), dopo un soggiorno in
Basilicata – consentire a un lavoratore di prendere lo stipendio, senza che
venga fornita una controprestazione, ha dell’incredibile. Se un soggetto ha un
figlio disabile, occorre pagare l’assistenza. Non va fatta una compensazione,
tramite un danno alla Pubblica Amministrazione, e quindi al cittadino che paga
le tasse per avere in cambio un servizio decente. Gli abusi erano facilmente
prevedibili. E infatti eccoci qua nel 2017 a partecipare all’ennesimo scandalo
che dura lo spazio di un mattino.
A Milano – non a
Caltanissetta – ben 482 vigili urbani su 3.080, uno su sei, hanno presentato al
Comando della Polizia Locale un certificato medico che garantisce il “servizio condizionato”.
Traduzione: si sta in ufficio al caldo, senza uscire a dirigere il traffico
nelle giornate fredde di gennaio. Ha senso un rapporto tra agenti inabili e
agenti sani di questa portata? E l’Ordine dei medici ha qualcosa da dire?
Marco Ruffolo suRepubblica scrive: “A Palermo sono tuttora circa 400 gli “inidonei temporanei”
tra autisti che non possono guidare, netturbini che non possono spazzare le
strade, giordinieri che diventano improvvisamente portieri”. Ha ragione Pietro
Ichino: Gli abusi sono tutta colpag dei dirigenti che non vigilano”. Che
dirigente sei se non dirigi e controlli, se non motivi adeguatamente i tuoi
subordinati?
A Roma nel
settore sanitario si vive che è una bellezza. E’ qui che si concentra la
percentuale più alta degli esonerati da guardie, turni e contatti con i malati.
Uno su sette, secondo la Ragioneria Generale dello Stato, è svincolato. Senza
contare patologie, permessi e congedi parentali. Chi rimane a lavorare? I
gonzi.
Al San Camillo di
Roma, su 2.800 infermieri, sono ben 500 gli esonerati dal lavoro per il quale
sono stati assunti. Poi i sindacati hanno il coraggio di parlare di “carenze di
organico”. Facciamo lavorare chi c’è! Si invocano controlli, ma è come abbaiare
alla luna. Attendiamo con ansia di sapere che anche gli “imboscati” prenderanno
il premio al 100% per aver adempiuto con onore alle prestazioni previste dal
contratto di lavoro. Il sottosegretario nel precedente governo Davide Faraone –
con una figlia disabile – inveisce contro i “furbetti della 104”, ma sbaglia.
Non si tratta di una “legge di grande civiltà, immaginata per garantire le
tante persone che hanno bisogno”. Si tratta di un assist bello e buono per
tutti coloro che gridano contro l’evasione e poi stanno a casa con la scusa di
curare la “suocera non convivente”.
Aveva purtroppo
ragione l’insigne giurista Arturo Carlo Jemolo, che alla fine della guerra
capisce come il fascismo abbia lasciato nell’aria una “miseria morale” che
“residua nell’acidità meschina”, di quelli che “vogliono vedere la tara, il
sudicio, che avranno rancore ed avversione per le più alte figure”, senza
guardare al loro comportamento. “Non è il Paese che sognavo”, scrisse
mestamente Carlo Azeglio Ciampi, prima di andarsene all’altro mondo.
Sul blog www.pietroichino.it, Ichino racconta una storia vera, interessante:
RispondiEliminaIl signor Lino, dipendente di una catena di ristorazione autostradale, ha la fortuna di avere due figli che gestiscono, più modestamente, un bar sotto casa, e di avere una madre novantenne. Poiché ritiene che la catena datrice di lavoro possa sopravvivere benissimo anche senza di lui, mentre per il bar sotto casa la sua prestazione è preziosa, chiede e ottiene tre giorni al mese di permesso retribuito, a norma della legge n. 104/1992, allegando la necessità di accudire la genitrice bisognosa di aiuto, salvo poi dirottare l’aiuto in favore dell’esercizio gestito dai figli. Senonché il datore di lavoro lo scopre al bancone sbagliato per tutti e tre i giorni di permesso; e lo licenzia per abuso fraudolento del permesso e assenza ingiustificata. Il signor Lino non si dà per vinto: fa ricorso al giudice del lavoro, e… vince la causa. “Tre soli giorni di assenza ingiustificata – dice il giudice – non bastano per giustificare il licenziamento” (Tribunale di Massa, ordinanza n. 978/2016). La frode, l’abuso che finisce coll’essere un attentato al diritto di chi veramente è nella necessità di assistere un parente gravemente disabile, non vengono in considerazione.
Qui però, per fortuna, l’articolo 18 non si applica nella sua versione originaria, bensì in quella modificata dalla legge Fornero del 2012: pertanto, essendo accertato che una mancanza, sia pur ritenuta dal giudice veniale, è stata commessa, il datore di lavoro viene condannato soltanto a pagare dodici mensilità di indennizzo. Sempre troppe, intendiamoci; ma almeno al datore stesso viene risparmiata la beffa di dover anche reintegrare il signor Lino nel posto di lavoro con tutti gli onori e di dover lanciare agli altri dipendenti il messaggio secondo cui dei permessi della legge 104 si può abusare impunemente. Il caso del signor Lino spiega, meglio di un ponderoso saggio, quanto – nell’Italia pervasa dalla cultura della job property – sia preziosa la riforma dei licenziamenti incominciata nel 2012 e portata a compimento nel 2015.