mercoledì 23 marzo 2011

24 marzo 1979, attacco punitivo alla Banca d’Italia (prima parte)

Paolo Baffi, Governatore Banca d'Italia
Quando l’estate scorsa i miei studenti mi convinsero a partire con un blog, non ebbi esitazioni a scegliere la foto iniziale di presentazione. Presi dal web la foto di Paolo Baffi, Governatore della Banca d’Italia dal 1975 al 1979, da lui definito “Il mio quinquennio di fuoco”.

Sulle pagine di Facebook sono presente come Faust e il Governatore e la foto è sempre la stessa: Baffi, il Governatore della Vigilanza.

In un precedente post del settembre 2010 ho ricordato la sua figura, vedi post Paolo Baffi, Governatore integerrimo
Oggi rievochiamo l’attacco alla Banca d’Italia del 24 marzo 1979, giusto 32 anni fa. Nelle sue Cronache brevi Paolo Baffi definì il mandante del premeditato attacco punitivo con l’espressione “coacervo politico-affaristico-giudiziario”.

Carlo Azeglio Ciampi (Da Livorno al Quirinale, Il Mulino, 2010, p. 125): “Ricordo bene quel sabato, un sabato drammatico. Era il 24 marzo 1979. Quella mattina ricordo ancora che ero in macchina a via Nazionale, e in senso opposto transitò un’autoambulanza a sirene spiegate: non sapevo ancora che dentro c’era Ugo la Malfa, ormai morente.
Andai in Banca, lavorai tranquillamente. A un certo punto entrò nella mia stanza Sarcinelli (Vice Direttore generale della Banca d'Italia con delega sulla vigilanza degli istituti di credito, ndr) che mi disse: “Carlo, sono venuti ad arrestarmi” (per dovere di cronaca i carabinieri guidati dal Colonnello Campo, ndr) . Mi precipitai da Baffi e lo trovai distrutto. Aveva in mano il documento (il “duo inafferrabile” viene accusato di interessi privati in atti d’ufficio e di favoreggiamento personale, ndr) che gli avevano consegnato, con l’incriminazione per lo stesso reato contestato a Sarcinelli; il documento era stato scritto con la carta carbone. Non si concludeva con l’arresto solo per l’età. Mi precipitai a informare il Quirinale”.
Mario Sarcinelli
Massimo Riva sul Corriere della Sera nel 1979 scrisse: “Michele Sindona ha regalato al Paese una bancarotta per qualche centinaio di miliardi e se ne sta indisturbato in un grande albergo di New York. Ma Mario Sarcinelli, che si è impegnato per smascherare i trucchi dei banchieri d’assalto, è finito dentro un carcere”.

E’ opportuno chiarire che le pressioni alla Banca d’Italia di Baffi e Sarcinelli iniziano ben prima del 1979, e precisamente nel 1978. Nel febbraio 1978 il Ministro del Tesoro Stammati e Evangelisti – sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – convocano due volte Baffi e Sarcinelli sollecitando la sistemazione dei debiti Caltagirone nei confronti dell’Italcasse, feudo democristiano.

Marco Vitale scrive: “Quando nel 1975 Carli lascia la Banca d’Italia, ed alla sua guida subentra Baffi, la linea della Banca d’Italia cambia. Recupera la sua volontà di guida del potere bancario, sia sul fronte della gestione della moneta, che sul fronte della Vigilanza sulle aziende di credito e sulla corretta amministrazione delle stesse. In un certo senso, ritornando a fare severamente il proprio mestiere, la Banca d’Italia di Baffi e Sarcinelli accetta il rischio di essere considerata, per usare la terminologia di Carli, “sovversiva” ed è per questo che va punita....Il nuovo corso della Banca d’Italia dava fastidio”.

Mentre la politica prepara l’attacco alla Banca d’Italia, Baffi è impegnato, ai massimi livelli, nelle difficilissime trattative per l’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo – dove Baffi riuscì a convincere Helmut Schmidt e Giscard D’Estaing a concedere all’Italia la banda di oscillazione “larga” al 6%. Riva scrive: “Il potere politico era del tutto assente da questo passaggio fondamentale per la storia del Paese, mentre era presente – presentissimo – in quegli stessi mesi, per quanto riguardava vicende di affari privati e personali. Quelli dei fratelli Caltagirone, per esempio. Quelli di Sindona, successivamente”.

Nel consigliare una studentessa che sta realizzando una tesi su Paolo Baffi, mi è tornato all’occhio un passaggio impressionante delle Cronache brevi di Baffi.
A Baffi fu ritirato il passaporto e gli venne impedito di andare a Basilea (quando oggi sentiamo parlare del Comitato di Basilea, nato nel 1974, dobbiamo ringraziare Baffi) ai consueti consessi mensili dei banchieri centrali europei presso la Banca dei Regolamenti Internazionali, dove rappresentava l’Italia con notevole prestigio.
Baffi: “9 marzo 1980 - La Repubblica pubblica un articolo, con titolo a caratteri cubitali: “A Baffi, Cappon, Ossola ritirato il passaporto”. Fors'anche come risultato di questo articolo, quando, nel viaggio in treno per Basilea, arrivo alla frontiera di Como, il funzionario di polizia in borghese, dopo aver guardato lungamente e sfogliato il nuovo passaporto, e avermelo restituito, torna indietro e lo richiede la seconda volta: strofina il pollice sull'impronta dei timbri a umido, forse per vedere se sbavano, cioè se mi sono fabbricato il passaporto la notte prima. Subisco in silenzio questa nuova umiliazione, anch'essa inflitta dalle istituzioni che ho servito in un'intera vita di lavoro”.

Avete letto bene. Il Governatore della Banca d’Italia viene sospettato di aver falsificato il passaporto. Tutto ciò ha dell’incredibile.

Michele Sindona
La verità - si saprà anni dopo - è che la P2 - su pressione della Democrazia Cristiana e dei soggetti economici vicini agli esponenti democristiani (Sindona, Caltagirone, Calvi, Italcasse) organizzò una manovra d’attacco alla Banca d’Italia servendosi di due suoi iscritti: gli inqualificabili giudice istruttore Infelisi e il pm Alibrandi, che si permise di trattare in modo violento e ostile Baffi durante l‘interrogatorio.

Il 21 aprile 1979 un giornalista del Messaggero Fabrizio Menghini raccoglie questa incredibile e sconcertante testimonianza di Alibrandi: “Ho trovato dirigenti di istituti bancari piuttosto risentiti per le inchieste a senso unico dell’Istituto di emissione”. Nel Trentino, in Veneto, come in Sicilia, cioè in quelle località note come feudi democristiani, la Banca d’Italia, in persona di Sarcinelli, si sarebbe particolarmente accanita. Prosegue Menghini: Sorpresi da tanta franchezza i giornalisti hanno chiesto ad Alibrandi (il quale non fa mistero del suo orientamento politico: è un missino sfegatato) come mai si sia fatto paladino della Dc nei confronti della presunta persecuzione della Banca d’Italia. “Qui non si tratta di ideologie politiche ma di amministrare giustizia ed io come giudice non posso non rilevare questa mancanza di obiettività da parte della Banca d’Italia. C’è da augurarsi che Sarcinelli impari la lezione, se un giorno o l’altro riprenderà il suo posto in Banca d’Italia”.
Alibrandi, ci fai schifo. Due stimatissini banchieri devono imparare la lezione? Ma vergogna! Con un figlio brigatista nero (Alessandro Alibrandi, terrorista di destra, membro dei NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari, ammazzato poi in uno scontro a fuoco con la polizia nel 1981). Non c’è limite al peggio.

Vi aspetto domani per la seconda parte.

2 commenti:

  1. Ricevo e volentieri pubblico: "Uno dei tanti ricordi neri dei cittadini italiani per bene. Povera Italia, quanto fatica a liberarsi delle sue ataviche pestilenze". Enrico

    RispondiElimina
  2. Speriamo che la lezione l'abbia imparata Alibrandi padre.....Purtroppo questo paese fatica a liberarsi dalla corruzione. Io continuo a pensare che ce la si possa fare ma certo che se la politica è intesa come possibilità di lobbying e non come ricerca di un metodo per raggiungere il benessere comune, non si riuscirà ad andare lontano-. In questo vorrei veder cambiare la costituzione: la mission deve spostarsi dal "riuscire a stare insieme" al "ricercare il commonwealth"
    Saluto
    Marco Miglia

    RispondiElimina