lunedì 23 maggio 2011

Omaggio a Giovanni Falcone, magistrato

Il 23 maggio del 1992 una carica di cinque quintali di tritolo - posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine viene azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina - pose fine alla vita di un valorosissimo magistrato, Giovanni Falcone, giudice istruttore e procuratore della Repubblica aggiunto a Palermo e successivamente direttore generale degli Affari penali del Ministero di Grazie e Giustizia. Nell'attentato persero la vita anche la moglie Francesca Morvillo e diversi uomini della scorta.

Falcone è stato l’unico magistrato che si sia occupato in modo continuo e con impegno assoluto di Cosa Nostra. Ha spiegato ampiamente perchè la mafia italiana costituisca un mondo logico, razionale, funzionale e implacabile: “Cosa Nostra è un’organizzazione, il cui regolamento, per essere rispettato e applicato, necessita di meccanismi effettivi di sanzioni. Dal momento che all’interno dello Stato-mafia non esistono né tribunali né forze dell’ordine, è indispensabile che ciascuno dei suoi “cittadini” sappia che il castigo è inevitabile. Chi viola le regole sa che pagherà con le vita”.

Siccome ho il vizio della memoria, sono andato nella mia libreria e ho ripreso in mano Cose di cosa nostra (Rizzoli, 1991), l’intervista che la giornalista francese Marcelle Padovani fece a Falcone 20 anni fa.
Come avviene per i Maestri, le parole di Falcone non hanno perso nulla a distanza di tempo. Ci parlano come fossero di oggi.

Cerchiamo di trarne un profilo: “Sono semplicemente un servitore dello Stato in terra infidelium...Il mio conto con Cosa Nostra resta aperto. Lo salderò solo con la mia morte, naturale o meno”. Quando parla del padre, Falcone ne sottolinea la grande austerità: “Si vantava di non aver mai messo piede in un bar in tutta la vita”.

A fronte di una mole di processi di mafia azzerati dalla Cassazione, Falcone introdusse un metodo perchè “senza un metodo non si capisce niente”. L'architrave di Falcone era: “Segui il denaro”: “Se hanno venduto droga in America del nord, nelle banche siciliane saranno rimaste tracce delle operazioni realizzate. Così hanno avuto inizio le prime indagini bancarie (processo Spatola, 1979). Accumulare dati, informazioni, fatti fino a quando la testa ti scoppia, permette di valutate razionalmente e serenamente gli elementi necessari a sostenere una accusa. Il resto sono chiacchiere, ipotesi di lavoro, supposizioni, semplici divagazioni”.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Il pubblico ministero milanese Ilda Boccassini – che si trasferì da Milano a Caltanissetta per scoprire gli assassini di Giovanni Falcone – segue lo stesso metodo: follow the money. E i risultati si vedono.
Falcone dava fastidio e creava invidie. Un alto magistrato disse a Rocco Chinnici: “Seppelliscilo sotto una montagna di piccoli processi, almeno ci lascerà in pace”. I meritevoli in Italia hanno vita dura, vedi post.
La stessa Boccassini anni fa così si espresse: "Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento.[...] Non c'è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di "amici" che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito".

Cosa significa mafia e lotta alla mafia? Sentiamo Falcone: “Cosa Nostra non è un anti-Stato, ma piuttosto una organizzazione parallela che vuole approfittare delle storture dello sviluppo economico, agendo nell’illegalità e che, appena di sente veramente contestata e in difficoltà, reagisce come può, abbassando la schiena. La mafia è l’organizzazione più agile, duttile e pragmatica che si possa immaginare, rispetto alle istituzioni e alla società nel suo insieme....Se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una priovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia. La mafia non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, gente intimidita e ricattata che appartiene a tutti gli strati della società.
La mafia non è una società di servizi che opera a favore della collettività, bensì un’associazione di mutuo soccorso che agisce a spese della società civile e a vantaggio solo dei suoi membri.
La mafia si caratterizza per la sua rapidità nell’adeguare valori arcaici alle esigenze del presente, per la sua abilità nel confondersi con la società civile, per l’uso dell’intimidazione e della violenza, per il numero e la statura criminale dei suoi adepti, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale a se stessa”.

Abbiamo scritto settimana scorsa sulla nefasta cultura italiana dell’emergenza. Sentiamo cosa dice Falcone: “Con quali strumenti affrontiamo oggi la mafia? In un modo tipicamente italiano, attraverso una proliferazione incontrollata di leggi ispirate alla logica dell’emergenza....Le leggi non servono se non sono sorrette da una forte e precisa volontà politica, se non sono in grado di funzionare per carenza di strutture adeguate e soprattutto se le strutture non sono dotate di uomini professionalmente qualificati.
Capaci, il luogo dell'agguato
Professionalità significa adottare iniziative quando si è sicuri dei risultati ottenibili. Perseguire qualcuno per un delitto senza disporre di elementi irrefutabili a sostegno della sua colpevolezza significa fare un pessimo servizio. Il mafioso verrà rimesso in libertà, la credibilità del magistrato ne uscirà compromessa e quella dello Stato peggio ancora”. Parole sante.

Chiudo con Giovanni Falcone, che non volle dei figli per non lasciarli orfani: “Si muore generalmente perchè si è soli o perchè si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perchè non si dispone delle necessarie alleanze, perchè si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.

Caro Giovanni Falcone, ti sia lieve la terra.

3 commenti:

  1. E' fondamentale ricordare questi personaggi.. Sono la dimostrazione che la lotta alla mafia è possibile, basterebbe avere più persone oneste e pronte a compiere il proprio dovere, a qualunque costo..
    Persone che mettono il benessere della società davanti al proprio.. Non c'è altro modo per sconfiggere la mafia, perché la mafia è pronta a scoprire ogni minima debolezza di chi cerca di sconfiggerla, per usarla contro di lui..
    E' chiaro, se avesse avuto dei figli, sarebbe stato debole nella sua lotta, perchè avrebbe dovuto fare attenzione per loro..

    C'è sempre da sperare che ne esistano di persone così, interamente dedite al proprio dovere verso lo Stato e la società.. Pronte a rinunciare a tutto per questo..
    e purtroppo vediamo sempre più spesso esempi di persone che usano lo Stato (e il proprio potere) per i propri interessi, anzichè agire in favore dello Stato..

    IS

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  2. Per ribadire l'attualità, la grandezza e la solitudine istituzionale e politica di un personaggio estremamente significativo di cui si sente ogni giorno la mancanza vi invio a leggere l'intervista rilasciata nel 1994 a Mario Pirani e pubblicata su La Repubblica.
    Il sistema non mi consente di trascrivere l'intero pezzo, lo potete leggere su:
    http://www.camerepenali.it/NewsDetail.aspx?idNews=12044"

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  3. Posto il link a un video che riassume bene la situazione nell'isola:
    http://www.youtube.com/watch?v=BSiMHjDSzIs

    Saluti,
    Andreas Copper

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