Era quindi naturale aspettarsi un Monti combattivo una volta che Napolitano gli ha consegnato a novembre le chiavi del Paese. Ma l’Italia è feudale, corporativa, incrostata, chiusa. E Monti fa fatica ad aprire i mercati non aperti alla concorrenza internazionale.
Concorrenza significa competizione tra imprese. Competere viene da cum-petere, cercare insieme, quindi concetto dinamico di scoperta, che contribuisce a promuovere scelte agili e proattive. Dove c’è concorrenza c’è ricerca comune, in forma antagonistica, della soluzione migliore. Solo la concorrenza permette di reagire tempestivamente ai cambiamenti di contesto.
La Banca d’Italia in diverse occasioni ha evidenziato l’urgenza di interventi strutturali volti a rafforzare la capacità di crescita dell’economia, potenziando il capitale fisico e umano del nostro Paese e accrescendo la concorrenza nei settori e attività in cui essa è insufficiente, segnatamente nel caso dei servizi publici locali.
Draghi anni fa ha evidenziato – Intervento Dalla Ricerca all’innovazione per la crescita economica, 24.7.2007 - come “...la crescita di lungo periodo si sostiene con un elevato tasso di innovazione, che si alimenta e si realizza mediante un meccanismo di selezione e di “distruzione creatrice” delle iniziative imprenditoriali. L’ingresso di imprese portatrici di nuove idee, prodotti, tecniche di produzione o modelli organizzativi spinge fuori dal mercato quelle incapaci di rinnovarsi e tenere il passo. La chiave del processo economico è perciò garantire che gli innovatori possano svolgere il loro ruolo e che non siano esclusi dal sistema produttivo....Non rappresenta certo una novità affermare che esiste un legame stretto tra istruzione e innovazione.
In uno scritto del 1969, Carlo M. Cipolla osservava come a metà del diciannovesimo secolo il grado di alfabetizzazione della popolazione in Prussia e Svezia fosse maggiore che in paesi di più antica industrializzazione come l’Inghilterra e il Galles...I Paesi più istruiti furono anche quelli che per primi importarono la Rivoluzione industriale.”
L’Ufficio studi di Banca d’Italia Forni L., Gerali A., Pisani M., Effetti macroeconomici di un maggior grado di concorrenza nel settore dei servizi: il caso dell’Italia, Tema di discussione n. 706, marzo 2009 spiega che i settori che producono servizi non commerciabili internazionalmente (commercio, trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni, costruzioni elettricità, gas, acqua, hotel e ristoranti) rappresentano circa il 50% del valore aggiunto italiano. In questi settori il grado di concorrenza è relativamente basso. Barriere all’entrata, regolamentazioni sui prezzi garantiscono alle imprese potere di mercato, permettendo loro di applicare margini di profitto – markup – elevati rispetto ai costi. Sulla base delle simulazioni effettuate dai ricercatori, un aumento del grado di concorrenza che porti il markup nel settore dei servizi in Italia al livello medio del resto dell’area avrebbe effetti macroeconomici significativi. Nel lungo periodo il prodotto crescerebbe di quasi l’11%. I salari reali – al netto dell’inflazione aumenterebbero grazie all’”effetto Walmart”. E' il principio dell' everyday low price , ogni giorno prezzi bassi, un vero e proprio «patto con il consumatore» di cui Wal-Mart si è fatto alfiere (Per approfondimenti Fishman C., Effetto Wal-Mart - Il costo nascosto della convenienza, Egea Editrice, 2006).
Nel Rapporto sulle tendenze del sistema produttivo italiano – diffuso il 23 aprile 2009 – Banca d’Italia mise al primo posto sulla “necessità di estendere la concorrenza e...su una maggiore contendibilità dei servizi che consentirebbe di ridurre le rendite monopolistiche, a vantaggio dei consumatori e delle imprese utilizzatrici”.
L'economista Salvatore Rossi, nel Direttorio di Banca d'Italia ha scritto: “In Italia abbiamo un disperato bisogno di concorrenza, soprattutto in alcuni settori, non aperti alla concorrenza internazionale. Da noi in molti settori dominano la rendita - definibile come l’extra profitto di chi sfugge al mercato concorrenziale grazie a una protezione di qualche tipo” - la protezione, gli albi, le barriere all’entrata, i minimi tariffari (Controtempo, Laterza, 2009, p. 88).
Per tornare a testimonianze più recenti, Salvatore Rossi è intervenuto al Senato il 1° febbraio. Tra le altre cose ha scritto: “Sul fronte del rilancio della crescita economica occorre agire in campi diversi: concorrenza, specie nei mercati dei servizi; mercato del lavoro e ammortizzatori sociali; sistema educativo; sistema giudiziario; in generale, ruolo, dimensione e funzionamento della presenza pubblica nell’economia.
Il decreto-legge 24.1.2012 n. 1, che oggi discutiamo, affronta prevalentemente il primo di quei campi, la concorrenza. Un alto grado di concorrenza in tutti i mercati è desiderabile in quanto precondizione essenziale di una crescita duratura. Il complesso delle misure di liberalizzazione che il Governo ha presentato segna un importante avanzamento nel percorso che deve portarci alla piena concorrenza in tutti i mercati in cui essa è possibile. Le misure coprono molti ambiti, sono il più delle volte incisive e attente alle esigenze di una buona regolazione. In alcuni casi (ad esempio nei trasporti) il decreto rinvia a norme attuative da cui dipenderà crucialmente l’efficacia dei provvedimenti; in altri casi (professioni) non vengono confermati importanti avanzamenti proposti lo scorso agosto; in altri ancora (notai, farmacie) esse appaiono parziali. Ma è indubbio che con questo decreto si fanno dei passi avanti concreti e rilevanti nella modernizzazione del Paese.
Occorre procedere in questo sforzo. I frutti potranno non vedersi subito, ma è una strada obbligata per far uscire l’economia italiana dalla condizione quasi stagnante degli ultimi quindici anni”.
Caro Rossi, leggerla è come respirare a 3.000 metri di altitudine ossigeno puro di Shampolook
Come fa notare Doveri su la voce.info “Il governo aveva riportato pubblicamente stime inverosimilmente alte sugli effetti del solo decreto concorrenza: +1 per cento l’anno di crescita aggiuntiva per 10 anni. Ora il Def dà maggiori dettagli e rivede opportunamente molto al ribasso questi effetti. Si parla di un +0,3 annuo derivante dalle riforme nel loro complesso, che sommerebbe a un +2,4 complessivo sul livello del Pil nel 2020. Come si legge nel Piano Nazionale delle Riforme a pagina 37, il +2,4 deriverebbe da tre effetti: da una riduzione di circa due punti percentuali delle rendite (il mark-up) che, sulla base di studi esistenti utilizzati per le simulazioni del Tesoro, darebbe luogo a guadagni di Pil per circa 1,7 punti percentuali al 2020. Poi la maggiore libertà di entrata delle imprese derivante dalla riduzione degli ostacoli alla libera iniziativa darebbe guadagni di efficienza cumulati per altri 0,7 punti”.
Chiudo con Carlo Donolo in Ritratto dell’Italia (Laterza, 2001): “La nostra classe media modernizzata e americanizzata difende quanto acquisito nella versione da rent-seeking society, così macroscopicamente riassunto nel nesso evasione, debito e rendita da titoli di Stato”.