lunedì 23 aprile 2012

Che fatica per #Monti aprire i mercati non aperti alla concorrenza! Siamo un Paese feudale, immobile, incrostato.

In tutta la sua attività pubblicistica sul Corriere della Sera degli ultimi 20 anni, Mario Monti ha affrontato più volte il tema della concorrenza.

Era quindi naturale aspettarsi un Monti combattivo una volta che Napolitano gli ha consegnato a novembre le chiavi del Paese. Ma l’Italia è feudale, corporativa, incrostata, chiusa. E Monti fa fatica ad aprire i mercati non aperti alla concorrenza internazionale.

Concorrenza significa competizione tra imprese. Competere viene da cum-petere, cercare insieme, quindi concetto dinamico di scoperta, che contribuisce a promuovere scelte agili e proattive. Dove c’è concorrenza c’è ricerca comune, in forma antagonistica, della soluzione migliore. Solo la concorrenza permette di reagire tempestivamente ai cambiamenti di contesto.

La Banca d’Italia in diverse occasioni ha evidenziato l’urgenza di interventi strutturali volti a rafforzare la capacità di crescita dell’economia, potenziando il capitale fisico e umano del nostro Paese e accrescendo la concorrenza nei settori e attività in cui essa è insufficiente, segnatamente nel caso dei servizi publici locali.

Draghi anni fa ha evidenziato – Intervento Dalla Ricerca all’innovazione per la crescita economica, 24.7.2007 - come “...la crescita di lungo periodo si sostiene con un elevato tasso di innovazione, che si alimenta e si realizza mediante un meccanismo di selezione e di “distruzione creatrice” delle iniziative imprenditoriali. L’ingresso di imprese portatrici di nuove idee, prodotti, tecniche di produzione o modelli organizzativi spinge fuori dal mercato quelle incapaci di rinnovarsi e tenere il passo. La chiave del processo economico è perciò garantire che gli innovatori possano svolgere il loro ruolo e che non siano esclusi dal sistema produttivo....Non rappresenta certo una novità affermare che esiste un legame stretto tra istruzione e innovazione.

In uno scritto del 1969, Carlo M. Cipolla osservava come a metà del diciannovesimo secolo il grado di alfabetizzazione della popolazione in Prussia e Svezia fosse maggiore che in paesi di più antica industrializzazione come l’Inghilterra e il Galles...I Paesi più istruiti furono anche quelli che per primi importarono la Rivoluzione industriale.”

L’Ufficio studi di Banca d’Italia Forni L., Gerali A., Pisani M., Effetti macroeconomici di un maggior grado di concorrenza nel settore dei servizi: il caso dell’Italia, Tema di discussione n. 706, marzo 2009 spiega che i settori che producono servizi non commerciabili internazionalmente (commercio, trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni, costruzioni elettricità, gas, acqua, hotel e ristoranti) rappresentano circa il 50% del valore aggiunto italiano. In questi settori il grado di concorrenza è relativamente basso. Barriere all’entrata, regolamentazioni sui prezzi garantiscono alle imprese potere di mercato, permettendo loro di applicare margini di profitto – markup – elevati rispetto ai costi. Sulla base delle simulazioni effettuate dai ricercatori, un aumento del grado di concorrenza che porti il markup nel settore dei servizi in Italia al livello medio del resto dell’area avrebbe effetti macroeconomici significativi. Nel lungo periodo il prodotto crescerebbe di quasi l’11%. I salari reali – al netto dell’inflazione aumenterebbero grazie all’”effetto Walmart”. E' il principio dell' everyday low price , ogni giorno prezzi bassi, un vero e proprio «patto con il consumatore» di cui Wal-Mart si è fatto alfiere (Per approfondimenti Fishman C., Effetto Wal-Mart - Il costo nascosto della convenienza, Egea Editrice, 2006).

Nel Rapporto sulle tendenze del sistema produttivo italiano – diffuso il 23 aprile 2009 – Banca d’Italia mise al primo posto sulla “necessità di estendere la concorrenza e...su una maggiore contendibilità dei servizi che consentirebbe di ridurre le rendite monopolistiche, a vantaggio dei consumatori e delle imprese utilizzatrici”.

L'economista Salvatore Rossi, nel Direttorio di Banca d'Italia ha scritto: “In Italia abbiamo un disperato bisogno di concorrenza, soprattutto in alcuni settori, non aperti alla concorrenza internazionale. Da noi in molti settori dominano la rendita - definibile come l’extra profitto di chi sfugge al mercato concorrenziale grazie a una protezione di qualche tipo” - la protezione, gli albi, le barriere all’entrata, i minimi tariffari (Controtempo, Laterza, 2009, p. 88).

Per tornare a testimonianze più recenti, Salvatore Rossi è intervenuto al Senato il 1° febbraio. Tra le altre cose ha scritto: “Sul fronte del rilancio della crescita economica occorre agire in campi diversi: concorrenza, specie nei mercati dei servizi; mercato del lavoro e ammortizzatori sociali; sistema educativo; sistema giudiziario; in generale, ruolo, dimensione e funzionamento della presenza pubblica nell’economia.


Il decreto-legge 24.1.2012 n. 1, che oggi discutiamo, affronta prevalentemente il primo di quei campi, la concorrenza. Un alto grado di concorrenza in tutti i mercati è desiderabile in quanto precondizione essenziale di una crescita duratura. Il complesso delle misure di liberalizzazione che il Governo ha presentato segna un importante avanzamento nel percorso che deve portarci alla piena concorrenza in tutti i mercati in cui essa è possibile. Le misure coprono molti ambiti, sono il più delle volte incisive e attente alle esigenze di una buona regolazione. In alcuni casi (ad esempio nei trasporti) il decreto rinvia a norme attuative da cui dipenderà crucialmente l’efficacia dei provvedimenti; in altri casi (professioni) non vengono confermati importanti avanzamenti proposti lo scorso agosto; in altri ancora (notai, farmacie) esse appaiono parziali. Ma è indubbio che con questo decreto si fanno dei passi avanti concreti e rilevanti nella modernizzazione del Paese.


Occorre procedere in questo sforzo. I frutti potranno non vedersi subito, ma è una strada obbligata per far uscire l’economia italiana dalla condizione quasi stagnante degli ultimi quindici anni”.

Caro Rossi, leggerla è come respirare a 3.000 metri di altitudine ossigeno puro di Shampolook

Come fa notare Doveri su la voce.infoIl governo aveva riportato pubblicamente stime inverosimilmente alte sugli effetti del solo decreto concorrenza: +1 per cento l’anno di crescita aggiuntiva per 10 anni. Ora il Def dà maggiori dettagli e rivede opportunamente molto al ribasso questi effetti. Si parla di un +0,3 annuo derivante dalle riforme nel loro complesso, che sommerebbe a un +2,4 complessivo sul livello del Pil nel 2020. Come si legge nel Piano Nazionale delle Riforme a pagina 37, il +2,4 deriverebbe da tre effetti: da una riduzione di circa due punti percentuali delle rendite (il mark-up) che, sulla base di studi esistenti utilizzati per le simulazioni del Tesoro, darebbe luogo a guadagni di Pil per circa 1,7 punti percentuali al 2020. Poi la maggiore libertà di entrata delle imprese derivante dalla riduzione degli ostacoli alla libera iniziativa darebbe guadagni di efficienza cumulati per altri 0,7 punti”.

Chiudo con Carlo Donolo in Ritratto dell’Italia (Laterza, 2001): “La nostra classe media modernizzata e americanizzata difende quanto acquisito nella versione da rent-seeking society, così macroscopicamente riassunto nel nesso evasione, debito e rendita da titoli di Stato”.

mercoledì 18 aprile 2012

Ill.mo Ministro Fornero, due proposte a costo zero: cedolino della pensione trasparente e busta arancione

Ill.mo Ministro Fornero,

nel farLe i complimenti per la sua attività di Ministro – la sola comparazione con il suo predecessore Ministro Sacconi è imbarazzante, come paragonare Messi con Robinho (che non la mette neanche a porta vuota) – colgo l’occasione per segnalarLe due proposte innovative che porterebbero benefici certi al Paese a costo zero.

La proposta è semplicissima e coinvolge l’INPS. Al fine di rendere edotti i pensionati del loro clamoroso beneficio intergenerazionale, propongo di aggiungere nel cedolino della pensione una informazione in grassetto accanto alla pensione netta e lorda: quale sarebbe stato l’importo lordo e netto se nel calcolo dell’ammontare della pensione – comprensivo di contributi versati e rivalutazione degli stessi - si fosse applicato il metodo contributivo invece del metodo retributivo.

Ricordo che il metodo retributivo non ha alcuna ratio sottostante.

Il metodo retributivo, infatti, prende in considerazione la media delle retribuzioni negli ultimi anni di lavoro, aggiornate sulla base dell' indice d'inflazione (l’indicizzazione delle pensioni all’inflazione e non al PIL, peraltro, dà un incentivo sbagliato ai pensionati, i quali non sono "interessati" alla crescita dell’economia): si dà quindi importanza all’ultimo periodo di attività lavorativa.

Non per nulla il noto finanziere truffaldino Bernard Madoff – leggasi il post Madoff, il mastino Irving, Unicredit e il rischio reputazionale  - rispondendo alle autorità di vigilanza ha dichiarato: “Non mi sono inventato un bel niente. Ho copiato il social security system". Pagare i primi (early) investitori con i denari ricevuti dai nuovi clienti più recenti (late) si basa sulla stessa logica del sistema retributivo - definito negli States "pay as you go".

Tutti coloro che hanno – in molti casi in modo immeritato perchè non ne hanno alcun bisogno visto il reddito familiare elevato – un sussidio di fatto, potrebbero così evitare di protestare e invece ringraziare lo Stato Sociale.

Io sono arcistufo di sentire che i pensionati sono danneggiati. "Ich habe die Nase voll", perchè sono le nuove generazioni che devono pagare un sussidio permanente a chi è già andato in pensione. Sono quindi i giovani ad avere sopra la testa un debito generazionale pazzesco.

Perchè nella maggioranza dei casi, chi riceve una pensione calcolata con il metodo retributivo si troverà per esempio un netto mensile di 1.000 Euro quando la pensione meritata, effettiva - risultante dal montante moltiplicato per il coefficiente di traformazione che incorpora le aspettative di vita - dovrebbe essere di 700 Euro. E i 300 Euro di differenza vengono pagati dalla fiscalità generale.

Non voglio togliere alcunchè in modo retroattivo. Ma è utile che le persone abbiano contezza del beneficio che viene pagato dalle generazioni future.

Sta all’INPS quantificare il sussidio a carico della fiscalità generale per ogni persona già in pensione e quindi per il sistema in generale. Si tratta di miliardi di euro l’anno, per l’appunto.

La seconda proposta è antica - ogni tanto se ne parla ma la busta non parte mai - e riguarda la busta arancione.

La maggioranza delle persone non sa che ne sarà della pensione, quando inizierà a riceverla e quanto sarà consistente. In molti casi la pensione risultante dal metodo contributivo sarà inferiore al minimo sociale.

Nell’europeissima Svezia, i cittadini ricevono la cosiddetta busta arancione - leggasi post sulla busta arancione - con la quale vengono informati ogni anno con una stima sulla pensione futura: una persona può decidere se è il caso di investire in fondi pensionistici, se lavorare di più e altro ancora.

Serve però un cambio di mentalità: non è un caso infatti che il presidente dell’INPS Antonio Mastropasqua abbia dichiarato che “Se dovessimo dare la simulazione della pensione dei parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”.

Ministro Fornero, può sollecitare lei – visto che l’ha già annunciato – Mastropasqua per inviare al più presto la busta arancione a tutti i lavoratori italiani?

Louis Brandeis
Noi ripetiamo il pensiero di Louis Brandeis, consigliere della Corte Suprema americana negli anni '30 – e autore del mitico “Other’s people money”: “La luce del sole è il miglior disinfettante, la luce elettrica il miglior poliziotto”.

Ministro Fornero,
confidiamo in lei.

Con viva cordialità

Beniamino A. Piccone

lunedì 16 aprile 2012

Federico Caffé è fuggito 25 anni fa ma le sue idee rimangono attualissime. Maestro passionale, non piaceva ai baroni che hanno distrutto l'università italiana

Sono ormai passati 25 anni dalla notte tra il 14 e il 15 aprile 1987, alba in cui il grande economista Federico Caffé scomparve nel nulla.

Leggiamo insieme un passo di Ermanno Rea in L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffé scomparso e mai più ritrovato, splendida testimonianza della vita austera da studioso di Federico Caffé: “Uscì di casa in punta di piedi per non svegliare il fratello e una fuga priva di testimoni, protetta dalle tenebre, si dissolse nel nulla. Aveva settantatre anni. Era professore fuori ruolo di Politica Economica e finanziaria alla Facoltà di Economia e commercio dell’Università di Roma. Godeva di un grande prestigio intellettuale ed esercitava notevole fascino, soprattutto sugli studenti. Benché, fisicamente, lasciasse molto a desiderare. Piccolo di statura. Anzi piccolissimo”.

Il passaggio che piace in assoluto di più a mio figlio Chicco – vedasi post Mio padre, i miei figli, il desiderio di sapere e la forza della lettura - è questo: “Caffé pianificò la fuga preordinandone ogni movimento fino al più banale: come oltrepassare la porta di casa senza svegliare il fratello; quali abiti indossare, quali oggetti lasciare e quali portare con sé...Infine arrivò il momento di agire. A un’ora imprecisata, compresa tra l’una e le cinque del mattino, smise di pensare. Indossò i pantaloni grigi che aveva portato sino a poche ore prima, una giacca, una camicia, un impermeabile e, dopo aver disposto una serie di oggetti sul tavolino accanto al letto – l’orologio, gli occhiali, le chiavi, il passaporto, il libretto degli assegni – raggiunse in punta di piedi la porta di casa. Aprì con meticolosa lentezza la serratura evitando di fare anche il più piccolo timore. Poi si richiuse la porta alle spalle con la stessa cautela.
Appena al di là del portone si sentì investito da un flusso di acqua fredda: era fatta. Qualunque decisione fosse in procinto di attuare, non poté non percepirla come qualcosa d’irrevocabile”.

Federico Caffé
La sua scomparsa non fu certo un raptus ma una fuga premeditata a seguito di un tracollo emotivo sommato a crisi depressive. In una lettera al suo allievo Daniele Archibugi, Caffè scrisse: “L’interruzione del filo diretto con gli studenti, malgrado la preparazione spirituale, si è dimostrata molto più dura del previsto”.

Corrado Stajano ha scritto: “E’ un rompicapo angoscioso la vita e la sparizione di Caffé, un italiano serio che non aveva nulla in comune con l’Italia slabbrata, approssimativa dio quegli anni ‘80”.

Archibugi su Repubblica di qualche giorno fa ha scritto: “Dopo un quarto di secolo, possiamo solo constatare che, qualsiasi sia stato il destino del nostro maestro, è stato quello che lui si è scelto. La sua vicenda non sarebbe ancora un mistero se nelle ore successive alla sua scomparsa non avesse dimostrato di avere le doti professionali di un agente segreto assai più che quelle di un austero docente. Anche la sua ultima pagina l'ha scritta senza farsi aiutare da nessuno”.

Il Prof. Valentino disse: “Per tutta la vita Caffé ha fatto il pendolare tra la propria casa e l’Università senza mai concedersi passeggiate o gite, senza mai indulgere a curiosità turistiche di alcun genere”....La sua casa era l’Università. Arrivava al mattino alle otto e mezza e ne usciva dopo dodici ore filate (dopo aver spento le luci personalmente, che tempi!, ndr). A chi lo punzecchiava per il suo attaccamento al lavoro rispondeva: “Lo faccio per difendere il mio reddito reale. Se invece di starmene qui a studiare e a lavorare me ne andassi in giro a bighellonare chissà quanti soldi spenderei. Il lavoro per me è una forma di risparmio”.

La sua vita privata era l’economia, erano i suoi studenti. Li indicava dicendo: “Eccoli là i libri che non ho scritto”.

C’è un passaggio nel libro di Rea suggestivo e toccante. Quando Caffé fece gli esami di maturità – ragioneria – il commissario d’esame chiese “In quale città hai deciso di frequentare l’università?”. E Caffé rispose: “Non credo che andrò all’Università. Ho bisogno di lavorare”. Al che il commissario convocò alla stazione di Pescara i genitori di Caffé (di modeste origini), ai quali disse: “Caschi il mondo ma il suo ragazzo deve continuare a studiare”. La madre allora mise in vendita un piccolo lotto di terreno e Caffé partì per Roma.

In Banca d’Italia era stimatissimo. “C’era praticamente nato in Banca d’Italia. Vi aveva incontrato Luigi Einaudi e Donato Menichella, che aveva inciso sulla sua “formazione professionale” e gli aveva fornito “indimenticabili lezioni di umanità, di scrupolo, di rigore morale”. Vi aveva incontrato Guido Carli e Paolo Baffi, di cui era diventato amico affettuoso.... Erano fatti della stessa pasta, Baffi e Caffé. Uomini integerrimi. Studiosi senza altri interessi che quelli per la propria scienza”.

I cronisti ricordano la furia di Caffé quando il Governatore Baffi fu incriminato e la testimonianza portata in suo favore in Tribunale davanti ai magistrati - inqualificabili -  Infelisi e Alibrandi.

Pierluigi Ciocca, una vita in Banca d’Italia - ricorda: “La figura del consulente è sempre stata molto importante in Banca d’Italia. Svolgeva una funzione di riscontro critico oltre che di proposta, d’impostazione e di ricerca. In questo ruolo Caffè era ascoltatissimo”.

In questi giorni ho rimesso a posto alcune carte e ne ho ricavato alcune considerazioni, che condivido con voi lettori.

La più bella cosa è stata scritta da Daniele Archibugi, qualche giorno fa: “Quando la notizia divenne di pubblico dominio, giunsero numerosissimi allievi per aiutarci nelle ricerche. Spesso non ci conoscevamo, ma bastava uno sguardo per capire che appartenevamo alla medesima confraternita. Agli studenti degli ultimi anni si accompagnavano quelli dei decenni anteriori, e ognuno di loro chiedeva che cosa potesse fare di utile. Non era facile trovare una risposta perché neppure la polizia aveva fornito una casistica. Nell'organizzare le squadre che battevano la città palmo a palmo, chiedevo spesso qualche informazione sugli anni in cui lo avevano frequentato all'università. Mi sentivo ripetere sempre la stessa frase: «È stato il periodo più bello della mia vita». Ma lui, Federico Caffè, lo avrà mai saputo?”.

Un altro passo suggestivo è stato scritto da Guido Rey, allievo di Caffè e successivamente presidente dell’ISTAT in occasione dell’intitolazione a Caffé della Facoltà di Economia: “A questi giovani F. Caffè ha dedicato tutta intera la sua vita e a loro volta i giovani lo amavano per la lucidità espositiva, la veemenza nella condanna delle ingiustizie, la profonda dottrina, la vasta cultura e la prosa preziosa e al tempo stesso essenziale. Ai giovani delle ultime generazioni ha saputo trasmettere il suo sdegno all'idea “che un'intera generazione di giovani debba considerare di essere nata in anni sbagliati e debba subire come fatto ineluttabile il suo stato di precarietà occupazionale”. Tra l’altro, quest’ultimo passaggio è di un’attualità sconvolgente.

Federico Caffé
In un momento in cui il welfare state italiano ha regalato troppo a troppi e non è più possibile continuare con una spesa pubblica che soffoca lo sviluppo, ripropongo il riformismo rigoroso di Caffé (amava alla stesso tempo Einaudi e Andreatta) che condannava “lo sfruttamento politico degli emarginati; la pressione dei furbi rispetto ai veri bisognosi nell'avvalersi delle varie prestazioni assistenziali, le ripercussioni dannose a carico del bilancio dello Stato dell’inclinazione lassista a voler dare tutto a tutti”.

Caffè si definiva così: “Un professore non è un conferenziere, non parla occasionalmente a degli sconosciuti che con tutta probabilità non rivedrà più. Un professore dialoga con gli studenti dei quali conosce spesso tutto o quasi tutto: problemi e speranze, capacità e lacune, ansie e incertezze. Li assiste nei loro bisogni. Li segue lungo una strada che può finire il giorno dell'esame ma che può anche andare avanti fino a quello della laurea e oltre”.

Ecco cosa ho imparato leggendo di Caffé. Quando insegno e faccio domande agli studenti, li stimolo in tutti i modi, cerco di accendere in loro il fuocherello di cui parlò Seneca.

Ezio Tarantelli
Cerco di seguire l’ottimo esempio di Caffè - maieuta di eccezionale levatura che ha avuto come allievi Ezio Tarantelli , Mario Draghi , Pierluigi Ciocca, Guido Rey, Bruno Amoroso, Ignazio Visco , Daniele Archibugi e tanti altri.

Risulto un professore diverso dal solito, perché mi interesso agli studenti, non mi accontento di dar loro un semplice voto all’esame, ma cerco di capire attraverso il dialogo quali sono i loro obiettivi e le loro aspirazioni. Tento di approfondire la conoscenza, capire quali sono i punti di partenza, i loro bisogni e le loro necessità. Questo perché ritengo che il compito di un Maestro sia quello di continuare ad alzare l’asticella dei suoi studenti migliori, di spingerli al massimo, ma per farlo deve capire a che altezza riescono già a saltare. Parlando con loro cerco di capire se reagiscono agli stimoli, cosa stanno imparando, se c’è materia grigia su cui poter lavorare. E cerco sempre di proporre ai miei migliori studenti obiettivi adeguati: per sviluppare i loro talenti non possono restare a Bergamo tutta la vita, devono ampliare i loro orizzonti. Solo che mi rendo conto che, se nessuno dice loro che meriterebbero qualcosa di più, anche gli studenti più promettenti rimarrebbero intrappolati, quando le migliori università del mondo stanno aspettando proprio loro.

Ed è davvero gratificante vedere qualche sparuto studente che ti ascolta, va in profondità come suggerisce Ciampi, approfondisce, non si accontenta delle slides di 30 anni fa del solito barone e ti martella via mail con richieste continue di chiarimenti e spiegazioni.

Queste sono soddisfazioni.

Federico Caffè, la terra ti sia lieve.

P.S.: per approfondimenti consiglio la lettura di:

Ermanno Rea, L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffè, scomparso e mai più ritrovato, Einaudi, 1992
Bruno Amoroso, La stanza rossa, Città Aperta Edizioni, 2004
Federico Caffè, La solitudine del riformista, Bollati Boringhieri, 1990

mercoledì 11 aprile 2012

"Papi, la mensa fa schifo". E' opportuno che Milano Ristorazione assuma un architetto delle scelte

L’altro giorno i miei due figli, #stelledelmiocuorelucedeimieiocchi – Allegra, quasi 9 e Chicco, 7 anni – all’unisono, appena sono entrato in casa, mi hanno detto: “Papi, oggi a mensa abbiamo mangiato da schifo

Allora ho iniziato a documentarmi. Ho chiesto loro quali erano i loro piatti preferiti nella mensa scolastica e quali i meno graditi.

La lista delle cose che non piacciono è stata la seguente: minestre senza pasta, fagiolini, tortino di spinaci, frittate con porri o zucchine, pasta con i cavolfiori, erbette.

L’amministrazione guidata da Giuliano Pisapia nel luglio 2011 ha azzerato il consiglio di amministrazione di Milano Ristorazione, la società interamente controllata dal Comune che dal gennaio 2001 gestisce la ristorazione scolastica. Ma al momento, non sembra che il servizio sia migliorato.

In passato Milano Ristorazione è stata una sorta - visto che siamo in tema - di magna-magna. Su Repubblica il 21.1.2011 leggiamo: “Scoppia il caso Milano Ristorazione a Palazzo Marino. A finire “sotto processo” è Mauro Bianchi, il direttore generale della società comunale che gestisce le mense scolastiche. È lui a essere accusato di aver incassato una buonuscita da quasi un milione di euro lordi che il suo contratto gli garantiva in caso di licenziamento o dimissioni. Senza, però, aver avvertito l’amministrazione e la spa e, soprattutto, continuando a rivestire a tutt’oggi il suo ruolo”.

Sappiamo benissimo che dovendo servire 95.000 pasti al giorno, la qualità è quella che è, però sulla qualità delle materie prime alcuni meritevoli genitori hanno portato Milano Ristorazione al TAR, perchè non rispetterebbe il contratto di servizio. Il Corriere titolò: “Class action contro Milano Ristorazione. Mense per le scuole, le famiglie decise a portare davanti al Tar i reclami su menu e scelta dei prodotti. I genitori sostengono che Milano Ristorazione sia inadempiente rispetto al contratto. «Il grana padano al posto del parmigiano reggiano; i 26 centri cucina al posto dei 46 concordati; l'olio conservato in bidoni di plastica e non nelle latte; i contenitori per trasportare il cibo in plastica anziché in acciaio; le verdure surgelate e non fresche; idem per la carne, surgelata anche quella; il tonno che arriva dalle Filippine. E l'impegno sul bio e sul km zero, disatteso anche quello».

Tornando all'oggi, mi ha colpito un servizio di Repubblica “Troppi sprechi nelle mense a scuola. Verdure e pesce, il 50% resta nel piatto e finisce in discarica” e proseguiva “Quasi la metà del merluzzo, gratinato o al pomodoro che sia, rimane nel piatto. Stessa sorte per minestre con i legumi e per i contorni, dai cavolfiori ai fagiolini passando per le erbette condite con olio”.

A fianco del servizio sulle mense, Repubblica ha intervistato il nutrizionista Giorgio Calabrese, con il quale sono in totale sintonia: “Se la mole di cibo avanzata è di vasta portata, forse vale la pena riflettere sul tipo di menu proposto: le zuppe e le verdure i bambini non le mangiano nemmeno a casa. Hai mai sentito un bambino che ama il cavolfiore o l’orzo? Mi sembra che ci siano troppi alimenti di questo tipo. Non sono abituati a questi gusti, anche se sono ottimi per la salute finiscono per essere rifiutati e i bambini saltano parte del pranzo.


Bisognerebbe tornare ai piatti della tradizione mediterranea, quelli semplici, uscire da una visione troppo vegetariana dell’alimentazione. C’è un salutismo troppo diverso dalle normali abitudini a tavola. Bisogna lavorare con le famiglie, introdurre alcuni alimenti prima a casa e solo dopo a mensa. Altrimenti la scuola diventa autarchica e il bambino risponde lasciando il cibo”.

Peraltro, non ho mai capito perchè il servizio di ristorazione debba essere gestito dal Comune di Milano e non venga lasciato spazio ai privati che lo saprebbero gestire meglio. Sul sito della società, per esempio c’è ancora il menu primavera estate relativo al 2010/11. Guardate che siamo nel 2012! Provare per credere al link seguente

Mi permetto di formulare una proposta al Sindaco Giuliano Pisapia. Il Comune di Milano dovrebbe suggerire a Milano Ristorazione di assumere a progetto un buon architetto delle scelte, che ha la responsabilità di organizzare il contesto nel quale gli individui prendono decisioni.

E’ lecito per gli architetti delle scelte – per lo più psicologi comportamentalisti – cercare di influenzare i comportamenti degli individui al fine di rendere le loro vite più lunghe, sane e migliori.

Gli individui infatti prendono cattive decisioni che non avrebbero preso se avessero prestato piena attenzione se avessero posseduto informazioni complete, capacità cognitive illiminate e totale autocontrollo.

Suggerisco ai consiglieri di Milano Ristorazione di leggere Sunstein-Thaler La Spinta gentile (Feltrinelli 2008). Obama ha fatto la stessa cosa e poi ha nominato Cass Sunstein Administrator of White House Office of Information and Regulatory Affairs.

In Spinta Gentile si legge a pag. 7: “Carolyn (responsabile del servizio mensa del sistema scolastico di una grande città americana, ndr) con la semplice riorganizzazione delle mense, è riuscita ad aumentare (frutta, per esempio, ndr) o a diminuire il consumo di molti alimenti addirittura del 25%.

I bambini, al pari degli adulti, possono essere enormemente influenzati da piccoli cambiamenti del contesto. In modo empirico, Carolyn sa di poter indurre i bambini a consumare più alimenti sani e meno altrettanto nocivi”.

Inventiamoci qualcosa, lavoriamo insieme affinchè i nostri figli mangino di più in mensa e meno merendine piene di conservanti, appena usciti da scuola. Ma bisogna dare ascolto al nutrizionista Calabrese, magari con un buon architetto delle scelte, così convincente da indurre i bambini a scegliere il menu migliore per loro.

Parafrasando Feuerbach: "Il bambino è ciò che mangia".

lunedì 2 aprile 2012

#Schettino #Vabbuò #Tornisullanavecazzo, la responsabilità, il gigantismo infernale

Qualche settimana fa il Financial Times in prima pagina ci informava che la nuova MSC Preziosa – originariamente costruita secondo le esigenze di Gheddafi – avrebbe dovuto avere un tank di vetro con sei squali, incluso uno squalo bianco.

Dopo la caduta del dittatore, la nave è stata comprata da MSC Cruises, il più grande operatore al mondo di viaggi da crociera.

Allora cogliamo l’occasione per tornare sul caso #Schettino #Isola del Giglio #Costa Concordia.

Si è scritto molto su Schettino e sul naufragio. Noi citiamo due Maestri, Giulio Sapelli e Marco Vitale.

Francesco Schettino
Sapelli: “Il fatto è paradigmatico di un comportamento umano associato e non solo individuale terribilmente diffuso in tutte le organizzazioni. E’ sempre più divenuto socialmente e culturalmente accettato usare i poteri di comando per soddisfare i propri desideri, ricambiare piccoli e grandi favori con reciprocità collusive, creare catene di complicità dirette a soddisfare volontà non sempre criminali ma sempre narcisistiche e dettate dal dimostrare una onnipotenza che fa gonfiare il petto di soddisfazione.


Come dimostra il comportamento del capitano della Costa, il familismo morale allargato viene posto in essere da persone che hanno perduto ogni senso si responsabilità verso la collettività”.

Vitale: “La verità è che nella tragedia della Costa Concordia, di italiano ci sono solo l’onorato nome dei Costa ed il comandante “bello guaglione”. Tutto il resto è americano. Americana è la compagnia proprietaria Carnival Corporation. Americano è il proprietario, Mickey Arison, fortuna stimata oltre 4 miliardi di dollari. Americana è l’ossessione di costruire navi sempre più grandi e sempre più alberghi galleggianti, anzi come li definisce correttamente “Der Spiegel”: Vergnügungsparks zur See (parchi di divertimento galleggianti), piuttosto che navi, sacrificando la componente armatoriale (e dunque anche la sicurezza) alle esigenze dell’intrattenimento, delle dimensioni, del marketing.


È americano mettere come CEO un manager che non viene dall’armamento ma dall’industria degli ascensori. È americana l’ossessione generale per il gigantismo (come per le banche) per fare sempre più profitti, per allargare sempre di più il mercato degli utenti. Nel 1979 Carnival faceva un fatturato di 44 milioni di dollari, oggi fa un fatturato di 16 miliardi di dollari. Questo grande successo porta la compagnia a sfornare una nave dopo l’altra e sempre più grandi. Ma questa crescita frenetica porta seri problemi organizzativi, di selezione e preparazione di personale, di coerenza manageriale tra le esigenze armatoriali, di sicurezza, alberghiere. Ha scritto uno specialista dell’industria delle crociere: “Il caso della Concordia è un avvertimento per l’industria. Abbiamo sempre ammonito che era solo questione di tempo, che un grave incidente con una grande nave da crociera, prima o poi, doveva avvenire. È piuttosto una sorpresa che non sia successo prima” (citato da Der Spiegel)”.

Lo stesso Nicola Costa, rappresentante della famiglia Costa che vendette la società a MSC, in un’intervista a Repubblica ha dichiarato: “Mi pare tutto cambiato, non solo la stazza delle navi, sempre più grandi...tutto ingigantito”.

Il vero nodo è il gigantismo navale che spinge a costruire navi sempre più grandi con biglietti a costi sempre più competitivi. Questa è una macchina infernale che va fermata.

Non sappiamo se ridere o piangere nel leggere la dichiarazione di Domnica Cemortan - “amica” di Schettino inspiegabilmente nella cabina di comando al momento dell’impatto: “Baciai Schettino prima dell’impatto....prima o poi saremmo finiti a letto”. Non vorremmo essere al posto di Schettino agli arresti domiciliari accanto alla moglie 24 ore su 24.

David Foster Wallace nel suo racconto più bello – Una cosa divertente che non farò mai più (Minimum Fax, 1998) – scrisse dopo un viaggio in crociera: “Ho visto completi fucsia e giacche rosa-mestruo e scaldamuscoli viola e marrone e mocassini bianchi senza calzini. Ho visto croupier professioniste così carine che ti facevano venire voglia di fiondarti al loro tavolo e perdere fino all’ultimo centesimo a blackjack...Ho sentito tamburi da banda di paese e ho mangiato frittelle di sgombro e ho visto una donna in lamè argentato che vomitava a getto dentro un ascensore di vetro...Sono stato oggetto in una sola settimana di oltre 1.500 sorrisi professionali,..ho imparato come si allaccia il giubbotto salvagente sopra lo smoking e ho perso a scacchi con una bambina di nove anni. Ho visto un sacco di gente seminuda che avrei preferito non vedere seminuda. Mi sono sentito depresso come non mi sentito dalla pubertà e ho riempito quasi tre taccuini per capire se era un Problema Mio o un Problema Loro”.

David Foster Wallace aveva già capito tutto. Ben prima dell’irresponsabile #Schettino, di cui riportiamo l'epitaffio: "Comandante, i passeggeri stanno entrando da soli nelle lance", risposta: "Vabbuò".
Mr Vabbuò, quando nelle aule universitarie dovrò portare degli esempi di persone irresponsabili, lei sarà il mio primo riferimento.

P.S.: nella tragedia del Giglio sono 30 i morti accertati e 2 i dispersi.

P.S.(2): ringrazio #Lorenzo, nuova promessa dello sci italiano, per avermi suggerito in seggiovia a Shampolook il titolo del post