martedì 10 gennaio 2012

Il crollo verticale di Unicredito: le vendite allo scoperto e la "speculazione" non c'entrano nulla

E’ la notizia del giorno. Il crollo verticale di Unicredito che nei primi giorni dell’anno ha perso il 58% della propria capitalizzazione, che è scesa alla chiusura di ieri a soli 8 miliardi di euro.

Sabato scorso il vicedirettore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti ha scritto “Tutto fuori Scala anche gli errori”  in cui esprime il suo autorevole parere sul caso Unicredito.

La chiusura però non ci ha convinto. In particolare il passaggio seguente: “La caduta delle quotazioni di Unicredit è il frutto, si dice, delle vendite allo scoperto di titoli (attualmente le vendite allo scoperto sui titoli finanziari sono state vietate dalla Consob; su Unicredit si può andar corti solo se si hanno i diritti, ndr) presi a prestito nella certezza di poterli acquistare a prezzi stracciati per tacitare il prestatore, pago dell' interesse ricevuto. La Consob indaga. Bene. Ma la frittata è fatta. E ripropone domande radicali sulla natura del mercato finanziario. Ma a chi serve un mercato di questo tipo, nel quale le imprese - banche o industrie poco importa - diventano soltanto il teatro di scommesse autoreferenziali? Non le scommesse del singolo speculatore che intuisce i ribassi a venire grazie al suo genio, ma quelle del branco che, in quanto tale, determina i corsi facendo avverare le sue profezie. Il bene più diffuso in Italia è la casa. Ma nessuno può vendere una casa che non ha, e quando la vende l' acquirente controlla le ipoteche e lo stato dell' edificio. Perché con la ricchezza mobiliare è valido tutto? Come condiziona l' economia reale questa economia di carta che ritorna, come se niente fosse successo dalla Lehman in qua”.

Vietare le vendite allo scoperto? Sbagliato e controproducente. Sbagliato perchè impedisce ai mercati di "punire" il mismanagement; controproducente perchè favorisce le bolle speculative (qualcuno si ricorda sul mercato italiano i casi Tiscali, Finmatica, Seat?).

Ci viene in soccorso Raghuram Rajan – di cui si consiglia l’ottimo Salvare il capitalismo dai capitalisti (coautore L. Zingales), Einaudi, 2004 – professor of finance at the University of Chicago. In un articolo chiave sul Financial Times del 4 giugno 2010 – Bankers have been sold short by market distorsion - Rajan scrive: “Short sellers perform a valuable social function by depriving poorly managed companies of resources they will waste. The trader short does not cause the company to go out of business. Mismanagement is the source of the company’s troubles. The trader merely holds up a mirror to reflect it”. E’ proprio così. I ribassisti sono degli specchi. Vengono spesso considerati un capro espiatorio quando il titolo scende. “E’ colpa degli speculatori ribassisti, quei maledetti”, è il commento da bar che si è soliti sentire. Quando poi gli stessi trader comprano, mai sentiamo dire “Quei maledetti speculatori rialzisti”. Prosegue Rajan: “Rather than attempting to instill social purpose in the banker, it is probably more useful for society to target the forces that distorted the market”. Lo stesso veniva sostenuto in un position paper della Consob di qualche anno fa, dove tra gli effetti positivi dello short selling si indicavano l’efficienza informativa dei prezzi e l’incremento di liquidità sul mercato, secondo noi prevalenti sui possibili effetti negativi - instabilità dei mercati, abuso di mercato e rischio di regolamento.

L'impossibilità per il mercato di "andare corti" può favorire il formarsi di bolle speculative, perchè la disciplina del mercato non può agire in libertà. In un intervento  il Governatore della Federal Reserve Ben Bernanke ha rimarcato l'importanza dell'irrational exuberance (R. Shiller, Euforia Irrazionale, Il Mulino, 2000): "It is frankly quite difficult to determine the causes ofbooms and busts in asset prices; psychological phenomena are no doubt important, as argued by Robert Shiller, for example".

Una digressione storica. Nel 1990 al Maurizio Costanzo Show una sera l'ospite unico era il giudice Francesco Di Maggio, pubblico ministero milanese che con Pier Camillo Davigo (non si può non leggere La giubba del re. Intervista sulla corruzione, Laterza, 2004), costituiva una coppia affidabile e inarrestabile nelle inchieste di mafia e riciclaggio. La popolarita' di Di Maggio ebbe un' impennata nel settembre dell' 84, con l' arresto di Angelo Epaminonda, il "Tebano", boss delle bische e del traffico di cocaina. Epaminonda capitolo' 40 giorni dopo e comincio' a raccontare a Di Maggio un decennio di impero mafioso a Milano. Si alzava il velo su 44 omicidi, finirono alla sbarra in 118. E si comincio' a discutere di pentiti. Fu collaboratore del superprefetto Sica all’Alto Commissariato per la lotta contro la mafia.

Sollecitato da Costanzo, Di Maggio sostenne che “La mafia non è solo Palermo, la mafia è a Roma, a Milano...”. Il giorno dopo ci furono delle reazioni inusitate. Lo accusarono di aver detto delle cose vere, però in televisione. Avrebbe dovuto dire le stesse cose “nelle sedi competenti”.

Bene. I mercati svolgono la funzione svolta dal giudice Di Maggio. Narrano, raccontano la realtà. Sono degli specchi. Non causano gli eventi. Li riflettono. E non crediamo possa valere per il mercato azionario la teoria di George Soros sulla riflessività tra prezzi e fondamentali. La chiave di lettura riflessiva può aver senso per i mercati dei titoli di stato, come avvenne nel 1996 nel caso italiano, con protagonista Carlo Azeglio Ciampi. Ma questa è un'altra storia.

La tendenza italica a cercare a tutti i costi un capro espiatorio – vedi post La sindrome del complotto pluto-giudaico-massonico  si ripete nel caso Unicredito. Non è colpa del polipo Paul se l'Olanda ha perso gli mondiali di calcio contro la Germania.

I problemi di Unicredit sono ben altri: l'esposizioni ai titoli di Stato italiani, le sofferenze in forte crescita, l'esposizione ai mercati est-europei; gli avviamenti elevati delle banche acquisite, le attività di Livello 3, le operazioni "di sistema".

Per queste ultime si rimanda ad Alessandro Penati che su Repubblica "Le scelte Unicredit che salvano Ligresti" partiva (21 maggio 2011, in tempi non sospetti) così: "Se il buon giorno si vede dal mattino, quello di Unicredit, novella banca "di sistema", promette di essere plumbeo: operazioni "di sistema" come la ristrutturazione Premafin-Fonsai non sono un buon presagio di redditività,o di scintille in Borsa".

Eh beh, Penati ci ha preso.

5 commenti:

  1. Ciao Benni,
    faccio una domanda a te e ai lettori del Blog.
    Se Unicredit è messa così male, può Banca Intesa essere molto meglio ?

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  2. Troppa gente pensa che il mercato, e la finanza in senso lato che più lato non si può, sia una chimera dominata da leggi incomprensibili se non per che li ha create. E' per questo motivo che, secondo me, si spiega alla gente che crolli come questo di Unicredit siano dovuti alla vendita allo scoperto, alla speculazione e altri mostri sotto il letto.
    Basterebbe però ragionare per capire che, chiaramente, i motivi di tali disastri derivino da comportamenti poco retti, da scarsa attenzione alla concorrenza, alla pressoché inesistente trasparenza.
    Sta a noi decidere il nostro destino, come in ogni cosa. Anche Unicredit sta scrivendo il suo.

    fp

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  3. Rispondo al quesito su Banca Intesa.
    Mi sento di dire 3 cose:
    1) IntesaSanpaolo (ISP)ha dei margini storicamente più elevati di UC nel business retail domestico;
    2) ISP ha una presenza decisamente ridotta nell'Est Europa (dove oggi l'Ungheria di Orban fa paura)
    3) il peso dell'investment banking e delle attività di livello 3 (che in sostanza non hanno prezzo sul mercato) di ISP è molto inferiore

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  4. Ecco io vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse come funzioni il mercato finanziario perchè sono ignorante a riguardo e ciò è fonte di dispiacere in quanto brancolo nel buio e mi sento quasi soffocare. Sono disposta a studiare e se colui o colei mi indicassero dei manuali sarei contenta.
    Comunque il post è interessante come lo sono le indicazioni dei libri."La giubba del re", avendolo letto confermo che non può mancare,mentre corro ad acquistare l'altro:"Salviamo il capitalismo dai capitalisti".
    Rita Parsi, ho avuto modo di ascoltarla ed è piuttosto in gamba e preparata.
    Lucia.

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  5. Da lavoce.info (ma Boeri e Guiso copiano? ahah): "Contrariamente a quanto sostenuto dall’avvocato d’ufficio delle fondazioni, Massimo Mucchetti, non si tratta di movimenti speculativi che andrebbero bloccati proibendo le vendite allo scoperto (LINK ad articolo corriere Tutto fuori scala). Il fatto è che le fondazioni sono chiamate a fare la parte del leone nell’aumento di capitale, dovendo contribuire con più di 700 milioni. E in questi giorni non hanno certo favorito l’operazione di rafforzamento del capitale, non lesinando critiche al chief financial officer di piazza Cordusio, Marina Natale, per il modo in cui l'aumento è stato strutturato. Per sopravvivere, le fondazioni hanno poi dovuto liquidare posizioni nel momento peggiore per la banca conferitaria. La Fondazione Cariverona, ad esempio, ha ceduto sul mercato pacchetti consistenti (si parla dello 0,7 per cento del capitale). Altre fondazioni minori (Fondazione Manodori e Carimonte), per crearsi la liquidità necessaria a partecipare all’aumento di capitale, avrebbero venduto una fetta consistente dei diritti d'opzione, approfittando dell'elevato valore di questo strumento all'avvio delle contrattazioni. E hanno comunque annunciato che sottoscriveranno solo in parte l’aumento di capitale dando un pessimo segnale ai mercati".

    intero articolo http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002790.html

    si consiglia anche la lettura di I 3gg di Unicredit http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002788.html

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