Non solo un leader eccezionale, ma anche una persona da cui si può imparare moltissimo. In una significativa intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera del settembre 2024 Velasco - nato a La Plata il 9 febbraio 1952 - ripercorre la sua giovinezza in Argentina:
Poi, il 24 marzo 1976, il golpe.
«Il peggiore della nostra storia, il più spietato, sanguinoso, retrogrado. I militari iniziarono ad arrestare persone, a torturarle, a farsi dare nomi di altre persone e a farle scomparire. Facevano partorire le ragazze incinte, ammazzavano la mamma e regalavano o vendevano i bimbi. Arrestavano illegalmente le persone delle liste che davano i torturati, le torturavano e si facevano dare altri nomi. Qualcuno indicò ex militanti che ormai avevano lasciato: mio fratello Luis fu preso così. Viveva con nostra madre, andarono a prenderlo a casa, alle tre del mattino».
«Uno studente di medicina. Scomparve per un mese e mezzo. Fu terribile, ne uscì devastato. Quando tornò non era più lo stesso. E neppure la mamma era più lei. Luis si esiliò prima in Perù e dopo in Spagna. È morto giovane, per malattie che secondo me erano anche causate da qualcosa che si era rotto dentro di lui. Mio fratello fu testimone nei processi che si svolsero con il ritorno della democrazia nel 1983».
Lei ha perso amici nella repressione?
«Ho perso i miei due migliori amici. Con Rafael Tello eravamo insieme al liceo: anarchico, figlio di italiani, sparì con i due fratelli. Con Guillermo Micelli studiavamo insieme Filosofia: giocatore di rugby e pallavolo, lo uccisero davanti alla moglie incinta e al figlio di due anni. E poi Miguel Lombardi, mio compagno di squadra di volley, e tanti altri...».
Lei come si è salvato?
«Lasciai La Plata per Buenos Aires, dov’era più facile passare inosservati. Pochi sapevano che ero andato nella capitale e nessuno conosceva il mio indirizzo. I primi due anni sono stati molto duri, poi la pallavolo mi ha salvato: ho cominciato ad allenare bambini e a innamorarmi del mio lavoro. All’inizio per mantenermi ho fatto di tutto, anche le pulizie».
Velasco venne in Italia ad allenare a Jesi nel 1983, poi andò a Modena dove vinse 4 scudetti consecutivi. Nel 1989 passa ad allenare la nazionale italiana maschile. Ottiene subito l'oro ai Campionati europei, disputati in Svezia, il primo nella storia della pallavolo italiana. È solo il primo di una lunga striscia di successi: fino al 1996, quando Velasco lascia la panchina azzurra, l'Italia colleziona 3 ori europei, 2 mondiali e 5 vittorie nella World League.
Dal gennaio 2024 gli viene riaffidato l'incarico di commissario tecnico della nazionale italiana femminile. Nell'estate seguente conduce la squadra alle vittorie della Volleyball Nations League e della medaglia d'oro ai Giochi della XXXIII Olimpiade di Parigi, e domenica la vittoria del campionato mondiale in Thailandia.
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Velasco con Paola Egonu |
Qual è il segreto di Velasco? Mette i giocatori/trici nella migliore condizione di fare la loro parte: "Ho sempre detto che le volevo autonome e autorevoli". Nel secondo time-out del tie-break contro la Turchia Velasco ha detto loro: "Decidete cosa fare e fatelo bene".
"Un allenatore, e in genere un leader, non fa nulla. Fa fare le cose agli altri. E deve convincerli. L’allenatore è prima di tutto un insegnante; per questo deve uccidere il giocatore che è stato. Se non lo fa, rischia di fallire; e più forte è stato, più il rischio è alto. Capello, Cruijff, Guardiola, Ancelotti ci sono riusciti; Maradona e Platini no. Si convince con l’empatia. Devi capire che l’altro è altro, è diverso da te, e motivarlo con la sua motivazione, non con la tua. Devi fare un po’ come Socrate, che con le domande faceva ragionare, guidava".
Questi ragionamenti di Velasco mi hanno ricordato i ragionamenti di Massimo Recalcati che nel volume "La luce delle stelle morte" (Feltrinelli, 2022) ricorda quando la sua professoressa all'esame di maturità lo ha affiancato al banco e gli ha detto: "Resta lucido", un invito a essere pienamente se stesso, a coltivare quello che egli veramente è, un concentrato di fiducia.
Abbiamo bisogno che qualcuno creda in noi, che ci aiuti a tirare fuori quello che di meglio abbiamo dentro. Quando lo troviamo, diamo il massimo. Come le pallavoliste domenica in Thailandia. E così diamo senso alla nostra vita.