L'odierna relazione dell'autorità di vigilanza sui fondi pensione, la COVIP, è piena di informazioni utili per chiunque, ma soprattutto per coloro che sanno che la pensione calcolata con il metodo contributivo sarà nell'intorno del 50% dell'ultimo stipendio (se il Pil riprende a crescere, poichè i contribute maturati sono rivalutati alla crescita media del pil degli ultimi 5 anni). E quindi è assolutamente rilevante pensarci presto per evitare di subire un calo del tenore di vita al momento della pensione.
I fondi pensione sono uno strumento formidabile, a basso costo, con un forte credito fiscale, per tutti i lavoratori italiani. Peccato che solo pochi li utilizzino.
Qualche informazione di base.
Quanto gestiscono complessivamente i fondi pensione italiani?
"Alla fine del 2013, le risorse destinate alle prestazioni erano pari a 116,4 miliardi di euro, l’11,6 per cento in più rispetto al 2012; esse si ragguagliavano al 7,5 per cento del PIL e al 3 per cento delle attività finanziarie delle famiglie".
Dove è investito il patrimonio dei fondi pensione?
Soprattutto in obbligazioni governative. La storica avversione al rischio dei lavoratori italiani porta ad avere dei portafogli dove i titoli di Stato la fanno da padrone.
"Alla fine del 2013 il patrimonio delle forme pensionistiche complementari era per il 61 per cento impiegato in titoli di debito, percentuale stabile rispetto al 2012; i quattro quinti delle obbligazioni totali era formato da titoli di Stato. L’esposizione azionaria, calcolata includendo anche i titoli di capitale detenuti per il tramite degli OICR, è salita al 24,9 per cento". Sempre poco rispetto ai fondi pensione di matrice anglosassone.
Con il forte calo dei rendimenti delle obbligazioni degli ultimi anni, nel prossimo futuro i fondi pensione avranno grossi problemi nel garantire un rendimento soddisfacente. Solo con quote maggiori di azioni, sarà possibile avere delle pensioni degne di questo nome.
Che rendimenti hanno dato i fondi pensione nel 2012?
"I rendimenti sono stati pari al 5,4 per cento nei fondi pensione negoziali e all’8,1 nei fondi pensione aperti. I PIP attuati tramite prodotti unit linked di ramo III hanno reso il 12,2 per cento mentre un risultato inferiore, pari al 3,6 per cento, è stato registrato dalle gestioni separate di ramo I, caratterizzate tipicamente da una gestione prudenziale degli investimenti.
A fronte di rendimenti complessivamente positivi, le differenze riscontrabili nelle performance delle diverse forme pensionistiche complementari sono state determinate soprattutto dalla diversa asset allocation adottata. Risultati migliori sono stati conseguiti dalle forme pensionistiche con una maggiore esposizione azionaria, sostenute dal buon andamento dei principali mercati azionari mondiali: l’indice delle azioni mondiali in valuta locale, calcolato tenendo conto dei dividendi, è cresciuto del 21,9 per cento". Credo che il dato più rilevante presente nella relazione COVIP sia la bassa partecipazione dei giovani: "Soltanto il 15 per cento delle forze di lavoro con meno di 35 anni è iscritto a una forma pensionistica complementare. Il tasso di partecipazione sale al 23 per cento per i lavoratori di età compresa tra 35 e 44 anni e al 30 per cento per quelli tra 45 e 64 anni. Nel complesso, l’età media degli aderenti è di 45,2 anni, rispetto ai 42,1 delle forze di lavoro".
Le cause di questo disastro?
1. scarsa conoscenza della previdenza complementare;
2. bassissima cultura finanziaria;
3. incapacità di risparmiare con contratti a tempo determinato;
4. diffidenza atavica verso i mercati finanziari;
5. mancata conoscenza dell'incredibile beneficio fiscale.
In relazione alla cultura finanziaria, io faccio il possibile partendo dal basso e andando nelle scuole elementari e medie - oltrechè in Università - per portare un po' di consapevolezza finanziaria in un Paese crescituo troppo rapidamente come reddito e ricchezza per poter studiare in modo accorto il mondo della finanza complementare.
Sul tema dei benefici fiscali, il lavoratore non si deve focalizzare sull'andamento dei mercati, ma sulla deducibilità fiscale del contributo annuo che ha un limite annuo di 5.165 euro. Con un'aliquota media del 35%, significa che ogni anno, se si versano 5.165 euro in un fondo pensione aperto, il beneficio fiscale cash è 1.807 euro, senza contare la crescita degli asset all'interno del fondo. Anche la tassazione al momento del riscatto è molto più favorevole rispetto ad altre forme di risparmio.
Analoghe considerazioni valgono per il TFR, ma rimando a post precedenti.
Conoscere per deliberare, diceva Einaudi. Quindi stasera a cena, subito discutetene con il vostro partner. Chi pensa in advance, si regalerà una pensione piena di viaggi in giro per il mondo.
mercoledì 28 maggio 2014
giovedì 22 maggio 2014
#ElezioniEuropee2014: "Nel Paese della bugia, la verità è una malattia"
Domenica 25 maggio l'italiano, spesso in altre faccende affacendato, sarà tenuto - votare è un dovere civico - a recarsi alle urne per le elezioni del Parlamento Europeo.
In Lombardia, inoltre, si torna alle urne per eleggere nuove amministrazioni. Saranno coinvolti 1.144 Comuni. I votanti potenziali saranno 4.240.000 persone. Segnalo che si vota nei capoluoghi di Bergamo, Cremona e Pavia.
Ricordiamo a questo proposito che la percentuale minima indispensabile da raggiungere affinchè una lista possa entrare nel Parlamento europeo conquistando almeno 1 seggio, è pari al 4%, la cosiddetta soglia di sbarramento.
Sarà possibile esprimere le preferenze ai candidati, il massimo consentito è quello di indicare tre nomi, in questo caso entra in gioco la parità di genere, per cui non si potranno votare tre uomini ma neanche tre donne. In caso di violazione della norma, il 3° candidato sarà annullato. Il nome del candidato deve essere scritto (basta il cognome).
Elezioni Europee 2014: seggi totali e seggi assegnati all'Italia
Il Parlamento europeo sarà composto da 751 seggi, quelli disponibili per l'Italia sono 73. E' importante precisare che nel nostro Paese si voterà per circoscrizioni, ecco il numero di seggi che ognuna potrà designare, sono cinque in totale.
Nord-Est 14
Nord-Ovest 20
Centro 14
Sud 17
Isole 8
La legge elettorale vigente per le Elezioni Europee 2014 in Italia è il sistema proporzionale, per cui a seconda della quantità di voti ci sarà in proporzione l'assegnazione dei seggi.
Visto che a ridosso delle elezioni, l'elettore si distrae, meglio prepararsi in anticipo, studiando i programmi e il profilo delle persone candidate.
Torna attuale Gianni Rodari.
Sempre, no: alla fine del libro anche Pinocchio impara a dire la verità, che è la cosa più bella del mondo. E poi, povero sfortunato, quando diceva una bugia tutti potevano accorgersene perchè gli si allungava il naso...
Se a tutti i bugiardi, come Pinocchio, crescesse il naso a vista d'occhio, come farebbero certi oratori a fare i discorsi agli elettori?
Sempre Rodari in un altro passaggio scrisse: "Nel Paese della bugia, la verità è una malattia". Stava per caso parlando dell'Italia?
Buon voto.
In Lombardia, inoltre, si torna alle urne per eleggere nuove amministrazioni. Saranno coinvolti 1.144 Comuni. I votanti potenziali saranno 4.240.000 persone. Segnalo che si vota nei capoluoghi di Bergamo, Cremona e Pavia.
Ricordiamo a questo proposito che la percentuale minima indispensabile da raggiungere affinchè una lista possa entrare nel Parlamento europeo conquistando almeno 1 seggio, è pari al 4%, la cosiddetta soglia di sbarramento.
Sarà possibile esprimere le preferenze ai candidati, il massimo consentito è quello di indicare tre nomi, in questo caso entra in gioco la parità di genere, per cui non si potranno votare tre uomini ma neanche tre donne. In caso di violazione della norma, il 3° candidato sarà annullato. Il nome del candidato deve essere scritto (basta il cognome).
Elezioni Europee 2014: seggi totali e seggi assegnati all'Italia
Il Parlamento europeo sarà composto da 751 seggi, quelli disponibili per l'Italia sono 73. E' importante precisare che nel nostro Paese si voterà per circoscrizioni, ecco il numero di seggi che ognuna potrà designare, sono cinque in totale.
Nord-Ovest 20
Centro 14
Sud 17
Isole 8
La legge elettorale vigente per le Elezioni Europee 2014 in Italia è il sistema proporzionale, per cui a seconda della quantità di voti ci sarà in proporzione l'assegnazione dei seggi.
Visto che a ridosso delle elezioni, l'elettore si distrae, meglio prepararsi in anticipo, studiando i programmi e il profilo delle persone candidate.
Sempre, no: alla fine del libro anche Pinocchio impara a dire la verità, che è la cosa più bella del mondo. E poi, povero sfortunato, quando diceva una bugia tutti potevano accorgersene perchè gli si allungava il naso...
Se a tutti i bugiardi, come Pinocchio, crescesse il naso a vista d'occhio, come farebbero certi oratori a fare i discorsi agli elettori?
Sempre Rodari in un altro passaggio scrisse: "Nel Paese della bugia, la verità è una malattia". Stava per caso parlando dell'Italia?
Buon voto.
lunedì 19 maggio 2014
L'attualità del pensiero di Carlo Cattaneo, formidabile maestro: "Non v’è lavoro, non v’è capitale, che non cominci con un atto d’intelligenza"
E' da due anni che insegno Sistema Finanziario all’Università Carlo Cattaneo LIUC di Castellanza. La LIUC è stata fondata nel 1991 per iniziativa di 300 imprenditori della Provincia di Varese e dell’Alto Milanese che desideravano una università in grado di coniugare le esigenze del mondo del lavoro con la cultura e il sapere accademico. E' un'università privata, efficiente, attenta alla didattica, dove il merito ha una valenza assoluta.
L'intitolazione a Cattaneo è quanto mai azzeccata. L’economista d’impresa Marco Vitale, tra i promotori della Carlo Cattaneo LIUC, non manca mai di citarlo. Pochi, purtroppo, conoscono Cattaneo, figura poliedrica: patriota, scrittore, insegnante, federalista, pensatore. Allora cerchiamo di colmare una lacuna e parliamone.
“Nulla accade nella sfera delle ricchezza che non riverberi in essa dalla sfera delle idee”.
Per approfondimenti si consiglia:
Luca Meldolesi, Carlo Cattaneo e lo spirito italiano, Rubbettino, 2013
L'intitolazione a Cattaneo è quanto mai azzeccata. L’economista d’impresa Marco Vitale, tra i promotori della Carlo Cattaneo LIUC, non manca mai di citarlo. Pochi, purtroppo, conoscono Cattaneo, figura poliedrica: patriota, scrittore, insegnante, federalista, pensatore. Allora cerchiamo di colmare una lacuna e parliamone.
Cattaneo, verso la fine del 1820, “trovandosi
per sopravvenute angustie di famiglia impotente a proseguire la già tanto
avanzata carriera degli studi”, rinunziò a frequentare l’Università di Pavia ed
entrò insegnante di grammatica latina in una scuola comunale di Milano.
Nel 1839 fondò, in compagnia di alcuni amici, la rivista
"Il Politecnico" e ne fu redattore e direttore per tutti i cinque anni di vita.
Il Politecnico voleva diffondere la cultura
scientifica (quanto ne abbiamo ancora bisogno in questo Paese dove ancora in molti credono al Prof. Vannoni e alla cura Di Bella) e promuovere le applicazioni pratiche della scienza. Cattaneo
pensava che le discipline che riguardano la società non debbano essere escluse.
E la letteratura non era esclusa.
Quando nel 1860 riprese la pubblicazione del “Politecnico”, scrisse mirabilmente:
“Ragionar di scienza e d’arte non è sviare le menti dal supremo pensiero della
salvezza e dell’onore della patria. La legislazione è scienza; la milizia è
scienza; la navigazione è scienza. L’agricoltura, vetusta madre della nostra
nazione, sta per tradursi tutta in calcolo scientifico. Scienza è forza”.
E’ da rileggersi con attenzione, quando la finanza viene attaccata, questo passaggio di Cattaneo sull'abolizione del capitale:
“Immaginatevi che oggidì d’un sol colpo si
annullassero tutti i prestiti, le accomandite, le ipoteche, i vitalizi, gli
sconti, i respiri, i cambi marittimi, le assicurazioni, le sicurtà dei
fittajuoli, le sovvenzioni ai possidenti ed ai filatori, le operazioni
bancarie, le casse di risparmio, i monti di pietà. Che avverrebbe nelle nostre
case mercantili, delle banche, delle manifatture, degli affitti rurali, delle
costruzioni e delle speculazioni d’ogni sorta? Si arresterebbe ogni
circolazione; la vita economica della società rimarrebbe spunta; una irruzione
orrenda di miseria e disperazione divorerebbe i popoli e ridurrebbe in poche
generazioni l’Europa a una landa inculta sparsa di ruinosi abituri”.
Quando si entra al bar della LIUC si viene subito colpiti dalle citazioni a muro di Cattaneo, che considerava giustamente l’intelligenza e la volontà come fonti di
ricchezza: "Non
v’è lavoro, non v’è capitale, che non cominci con un atto d’intelligenza. Prima d’ogni lavoro, prima d’ogni capitale, quando le cose giacciono
ancora non curate e ignote in seno alla natura, è l’intelligenza che comincia
l’opera, e imprime in esse per la prima volta il carattere di ricchezza":
Cattaneo invita ad osservare la storia e
spesso, la ricchezza è cresciuta in ragione inversa dalla fatica, se prima c’è
stato un atto d’intelligenza: "Ricchezza e
riposo sono frutti d’un atto di intelligenza. Se il
pastore è più agiato del selvaggio, ciò avvenne solamente per la scoperta deli
animali pastorecci. La nuova ricchezza fu dunque il frutto d’un nuovo atto
d’intelligenza. E nuovamente la ricchezza crebbe in ragione inversa del lavoro".
Infatti Cattaneo scrive: “Falso è dunque che il lavoro per sé sia il padre della ricchezza, come
pensò Adamo Smith e come dopo di lui viene ripetuto dal vulgo. La vita del
selvaggio è sommamente faticosa e sommamente povera. La fonte d’ogni
progressiva ricchezza è l’intelligenza: l’intelligenza tende con perpetuo
sforzo a procacciare a un dato numero d’uomini una maggior quantità di cose
utili, o la stessa quantità di cose utili a un numero d’uomini sempre maggiore”.
Nelle lezioni tenute al Liceo cantonale di
Lugano nel 1853-54 Cattaneo esaltò l’intelligenza come “la fonte d’ogni
progressiva ricchezza”. Come scrisse nel 1857, nei trattati d’economia gli atti
d’intelligenza avrebbero dovuto essere classificati come atti “di valore per sé, quanto il lavoro e il
capitale”.
Il capitale, quindi , non è frutto del
risparmio, ma di atti d’intelligenza. Il lavoro, senza l’intelligenza è impotente
a creare nuovo valore senza l’applicazione del pensiero creativo.
“Quindi vediamo quanto sia erroneo il detto
comune degli economisti che il capitale si forma con il risparmio. Egli è come
dire il frumento nasce sul granaio. Se l’atto d’intelligenza non avesse dato l’acquisto
del capitale, non si avrebbe avuto l’occasione di farne risparmio. Il risparmio
conserva ciò che l’intelligenza acquista”.
“Nulla accade nella sfera delle ricchezza che non riverberi in essa dalla sfera delle idee”.
Luca Meldolesi, Carlo Cattaneo e lo spirito italiano, Rubbettino, 2013
Carlo Cattaneo, Le più belle pagine scelte da Gaetano Salvemini, Donzelli, 1993
Franco Della Peruta, Carlo Cattaneo politico, Franco Angeli, 2001lunedì 12 maggio 2014
Dopo gli arresti di #Expo2015, di Scajola e C., che dire? La corruzione è il male del Paese. Il merito è l'unica arma in mano a poveri per riscattarsi.
Nel dicembre 2013 Transparency International - l'organizzazione non governativa che si propone di combattere la corruzione - ha pubblicato il rapporto sulla corruzione nel mondo, che sinteticamente illustra il grado di corruzione dei singoli Paesi. L'indice costruito da TI è stato chiamato Corruption perceptions index.
Tra i Paesi più virtuosi che si collocano nelle prime posizioni della classifica troviamo i Paesi del Nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia) e la Nuova Zelanda. L'Italia risulta soltanto al 69° posto, dietro Ghana, Arabia Saudita e Giordania. Nel 1995 eravano al 33esimo posto.
Chi legge come me i report di Transparency e legge con attenzione la stampa quotidiana da anni e anni, non può certo dirsi sorpreso per gli ultimi arresti avvenuti settimana scorsa. Che in Lombardia si rubi a man salva nel mondo della sanità (vorremmo vedere le immagini in aula del processo per associazione a delinquere ai fini di corruzione contro il Celeste Formigoni, ma Roby ha detto di essere "puro come l'acqua di fonte" ma di non volere le telecamere, bontà sua) e delle infrastrutture regionali è cosa nota. Solo i gonzi o le anime belle possono far finta di sorprendersi.
Gian Antonio Stella sul Corriere di venerdì scorso scrive "Come prima, più di prima": "Il solito copione. Recitato per i Mondiali di nuoto, le Universiadi, la World Cup di calico, l'Anno Santo...Anni perduti nei preliminari, discussioni infinite sui progetti, liti e ripicche sulla gestione e poi, di copo, l'allarme: oddio, non ce la faremo mai! Ed ecco l'affannosa accelerazione, le deroghe, le scorciatoie per aggirare lacci e lacciuoli, le commesse strapagate, i costosissimi cantieri notturni non stop".
Piero Bassetti fa notare, con giustezza, che la moltiplicazione normativa per contrastare la corruzione ci ha portato dentro una spirale del tutto inefficace.
Fa sorridere vedere che le persone coinvolte sono le stesse di 20 anni fa, ai tempi di Tangentopoli. Gian Stefano Frigerio era il segretario della Dc lombarda negli anni '80 e Primo Greganti il collettore delle tangenti rosse. Un altro politico imputato è Luigi Grillo, ex deputato Dc e strenuo difensore dell'indifendibile governatore Fazio, amicissimo di Gianpy Fiorani, ai tempi dei "furbetti del quartierino", sui cui abbiamo scritto anni fa.
Sembra che il tempo non passi in Italia, che tutto si ripeta. Non è vero che a volte ritornano. E' che non se ne sono mai andati. Esattamente come l'onorevole Scajola, forse tornando in galera (nel 1983 fu emesso un ordine di cattura da parte del giudice Davigo) a sua insaputa.
Che dire, a parte il disgusto, l'amarezza? Valgono le affermazioni nette del magistrato Roberto Scarpinato in Il ritorno del Principe (con Saverio Lodato, Chiarelettere, 2008): "L'abolizione della selezione per meriti sostituita da quella per cooptazione collusiva e per fedeltà sta creando una società di sudditi, cortigiani e giullari (anticipava già #BeppeGrillo?, ndr), riportando indietro l'orologio della storia e precludendo ai poveri qualsiasi possibilità di riscatto sociale. Il merito infatti è l'unica carta che i poveri hanno per riscattarsi".
Tra i Paesi più virtuosi che si collocano nelle prime posizioni della classifica troviamo i Paesi del Nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia) e la Nuova Zelanda. L'Italia risulta soltanto al 69° posto, dietro Ghana, Arabia Saudita e Giordania. Nel 1995 eravano al 33esimo posto.
Chi legge come me i report di Transparency e legge con attenzione la stampa quotidiana da anni e anni, non può certo dirsi sorpreso per gli ultimi arresti avvenuti settimana scorsa. Che in Lombardia si rubi a man salva nel mondo della sanità (vorremmo vedere le immagini in aula del processo per associazione a delinquere ai fini di corruzione contro il Celeste Formigoni, ma Roby ha detto di essere "puro come l'acqua di fonte" ma di non volere le telecamere, bontà sua) e delle infrastrutture regionali è cosa nota. Solo i gonzi o le anime belle possono far finta di sorprendersi.
Gian Antonio Stella sul Corriere di venerdì scorso scrive "Come prima, più di prima": "Il solito copione. Recitato per i Mondiali di nuoto, le Universiadi, la World Cup di calico, l'Anno Santo...Anni perduti nei preliminari, discussioni infinite sui progetti, liti e ripicche sulla gestione e poi, di copo, l'allarme: oddio, non ce la faremo mai! Ed ecco l'affannosa accelerazione, le deroghe, le scorciatoie per aggirare lacci e lacciuoli, le commesse strapagate, i costosissimi cantieri notturni non stop".
Piero Bassetti fa notare, con giustezza, che la moltiplicazione normativa per contrastare la corruzione ci ha portato dentro una spirale del tutto inefficace.
Fa sorridere vedere che le persone coinvolte sono le stesse di 20 anni fa, ai tempi di Tangentopoli. Gian Stefano Frigerio era il segretario della Dc lombarda negli anni '80 e Primo Greganti il collettore delle tangenti rosse. Un altro politico imputato è Luigi Grillo, ex deputato Dc e strenuo difensore dell'indifendibile governatore Fazio, amicissimo di Gianpy Fiorani, ai tempi dei "furbetti del quartierino", sui cui abbiamo scritto anni fa.
Sembra che il tempo non passi in Italia, che tutto si ripeta. Non è vero che a volte ritornano. E' che non se ne sono mai andati. Esattamente come l'onorevole Scajola, forse tornando in galera (nel 1983 fu emesso un ordine di cattura da parte del giudice Davigo) a sua insaputa.
Che dire, a parte il disgusto, l'amarezza? Valgono le affermazioni nette del magistrato Roberto Scarpinato in Il ritorno del Principe (con Saverio Lodato, Chiarelettere, 2008): "L'abolizione della selezione per meriti sostituita da quella per cooptazione collusiva e per fedeltà sta creando una società di sudditi, cortigiani e giullari (anticipava già #BeppeGrillo?, ndr), riportando indietro l'orologio della storia e precludendo ai poveri qualsiasi possibilità di riscatto sociale. Il merito infatti è l'unica carta che i poveri hanno per riscattarsi".
lunedì 5 maggio 2014
Usain Bolt, la competition e la forza della concorrenza
Nella sua autobiografia, Usain Bolt. Come un fulmine (Tre60 Tea Editore, 2014), il formidabile velocista giamaicano scrive (o meglio, detta al suo ghostwriter Matt Allen): "Datemi un grande palcoscenico, una gara una sfida da vincere, e allora sì che faccio sul serio. Drizzo le spalle e accelero il passo. Sarei disposto a infortunarmi pur di vincere la gara. Piazzatemi davanti un ostacolo - magari un titolo olimpico, o un avversario difficile come lo sprinter giamaicano Yohan Blake - e io mi faccio Avanti: divento famelico".
Un passaggio del libro mi ha particolarmente colpito: "Un grande atleta non può presentarsi ai blocchi di partenza e aspettarsi di vincere senza essersi preparato a dovere. Senza disciplina non si vincono medaglie d'oro e non si stabiliscono primati...Il peggior nemico di me stesso ero io".
E' così per tutti, la disciplina e la consistency sono imprescindibili. Ne abbiamo parlato poco tempo fa nel post sulla perserveranza.
Bolt racconta come dovesse fare 700 addominali al giorno col suo allenatore-sergente Mr Barnett. Un massacro.
Nel caso delle imprese il nemico è l'assenza di concorrenza. Omnitel in Italia non sarebbe diventata la costola fondamentale di Vodafone se non ci fosse stata l'incumbent TIM. E viceversa Mediaset è stata ampiamente danneggiata dall'oligopolio collusive con la RAI.
Per compiere una valutazione dei benefici possibili di una maggior concorrenza nel nostro Paese ci affidiamo all’efficiente Servizio Studi di Banca d’Italia, che ha pubblicato nei Temi di Discussione (Working Paper n. 709) uno studio dal titolo: “Macroeconomic effects of greater competition in the service sector: the case of Italy”.
Gli autori - Lorenzo Forni, Andrea Gerali e Massimiliano Pisani - forniscono una valutazione quantitativa degli effetti macroeconomici di un incremento in Italia del grado di concorrenza nei settori dei servizi non commerciabili internazionalmente. La sintesi è così chiara che la pubblichiamo integralmente.
“In Italia i settori che producono servizi non commerciabili internazionalmente commercio, trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni,costruzioni, elettricità, gas, acqua, hotel e ristoranti) rappresentano circa il 50 per cento del valore aggiunto complessivo. In questi settori il grado di concorrenza, sulla base di confronti tra paesi OCSE, è relativamente basso. Barriere all’entrata, regolamentazioni sui prezzi e/o limitazioni alle forme di impresa garantiscono alle imprese potere di mercato, permettendo loro di applicare margini di profitto (markup) elevati rispetto ai costi. Secondo i dati OCSE, per l’Italia il markup medio nei settori dei servizi sarebbe pari al 61 per cento, contro il 35 per cento nel resto dell’area dell’euro e il 17 per cento nei settori che producono beni e servizi sottoposti alla concorrenza internazionale.
La presenza di un elevato potere di mercato costituisce una distorsione alla concorrenza,
con conseguenze sulle variabili macroeconomiche ben note in letteratura: prezzi più elevati e livelli di produzione, consumo, investimento e occupazione più bassi rispetto a quelli conseguibili con mercati più concorrenziali.
Sulla base delle simulazioni presentate nel lavoro, un aumento del grado di concorrenza
che porti il markup nel settore dei servizi in Italia al livello medio del resto dell’area – attuato gradualmente in un periodo di cinque anni – avrebbe effetti macroeconomici significativi.
Nel lungo periodo il prodotto crescerebbe di quasi l’11 per cento, il consumo privato e
l’occupazione dell’8, gli investimenti del 18; i salari reali ne beneficerebbero significativamente, con un incremento di quasi il 12 per cento. Si registrerebbe un forte aumento delle esportazioni (favorito dal calo dei prezzi italiani rispetto a quelli del resto dell’area) a fronte di un modesto incremento delle importazioni (dovuto all’aumento della domanda aggregata). Gli effetti sul benessere delle famiglie italiane sarebbero positivi e consistenti. Tali effetti benèfici sarebbero rilevanti anche nel breve periodo”.
Draghi in passato ha citato il grandissimo storico pavese Carlo Maria Cipolla, il quale riferendosi al periodo di “grande gelo” dell’economia italiana tra l’inizio del 1600 e il 1820 – in cui il PIL pro capite rimase fermo – scrive: “Il potere e il conservatorismo caratteristici delle corporazioni in Italia bloccarono i necessari mutamenti tecnologici e di qualità che avrebbero potuto permettere alle aziende italiane di competere con la concorrenza straniera”.
Se l'Italia vuole tornare a crescere deve rompere le incrostazioni, aumentare il grado di concorrenza nei settori dove il mark-up stellare è indice di oligopolio collusivo. Infatti quando c'è da competere, non siamo secondi a nessuno nei settori aperti alla concorrenza internazionale. Lì le imprese italiane si sono fatte le ossa e sono diventate le multinazionali tascabili che il mondo ci invidia.
Un passaggio del libro mi ha particolarmente colpito: "Un grande atleta non può presentarsi ai blocchi di partenza e aspettarsi di vincere senza essersi preparato a dovere. Senza disciplina non si vincono medaglie d'oro e non si stabiliscono primati...Il peggior nemico di me stesso ero io".
E' così per tutti, la disciplina e la consistency sono imprescindibili. Ne abbiamo parlato poco tempo fa nel post sulla perserveranza.
Bolt racconta come dovesse fare 700 addominali al giorno col suo allenatore-sergente Mr Barnett. Un massacro.
Nel caso delle imprese il nemico è l'assenza di concorrenza. Omnitel in Italia non sarebbe diventata la costola fondamentale di Vodafone se non ci fosse stata l'incumbent TIM. E viceversa Mediaset è stata ampiamente danneggiata dall'oligopolio collusive con la RAI.
Per compiere una valutazione dei benefici possibili di una maggior concorrenza nel nostro Paese ci affidiamo all’efficiente Servizio Studi di Banca d’Italia, che ha pubblicato nei Temi di Discussione (Working Paper n. 709) uno studio dal titolo: “Macroeconomic effects of greater competition in the service sector: the case of Italy”.
La presenza di un elevato potere di mercato costituisce una distorsione alla concorrenza,
con conseguenze sulle variabili macroeconomiche ben note in letteratura: prezzi più elevati e livelli di produzione, consumo, investimento e occupazione più bassi rispetto a quelli conseguibili con mercati più concorrenziali.
Sulla base delle simulazioni presentate nel lavoro, un aumento del grado di concorrenza
che porti il markup nel settore dei servizi in Italia al livello medio del resto dell’area – attuato gradualmente in un periodo di cinque anni – avrebbe effetti macroeconomici significativi.
Nel lungo periodo il prodotto crescerebbe di quasi l’11 per cento, il consumo privato e
l’occupazione dell’8, gli investimenti del 18; i salari reali ne beneficerebbero significativamente, con un incremento di quasi il 12 per cento. Si registrerebbe un forte aumento delle esportazioni (favorito dal calo dei prezzi italiani rispetto a quelli del resto dell’area) a fronte di un modesto incremento delle importazioni (dovuto all’aumento della domanda aggregata). Gli effetti sul benessere delle famiglie italiane sarebbero positivi e consistenti. Tali effetti benèfici sarebbero rilevanti anche nel breve periodo”.
Draghi in passato ha citato il grandissimo storico pavese Carlo Maria Cipolla, il quale riferendosi al periodo di “grande gelo” dell’economia italiana tra l’inizio del 1600 e il 1820 – in cui il PIL pro capite rimase fermo – scrive: “Il potere e il conservatorismo caratteristici delle corporazioni in Italia bloccarono i necessari mutamenti tecnologici e di qualità che avrebbero potuto permettere alle aziende italiane di competere con la concorrenza straniera”.
Se l'Italia vuole tornare a crescere deve rompere le incrostazioni, aumentare il grado di concorrenza nei settori dove il mark-up stellare è indice di oligopolio collusivo. Infatti quando c'è da competere, non siamo secondi a nessuno nei settori aperti alla concorrenza internazionale. Lì le imprese italiane si sono fatte le ossa e sono diventate le multinazionali tascabili che il mondo ci invidia.
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