Siamo alle solite. Il cambiamento è lontano. Stiamo parlando della "parentopoli universitaria", denunciata di recente da Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità Anticorruzione.
Secondo Cantone sono tanti i casi in cui viene "istituzionalizzato lo scambio". In un ateneo del Sud, "nella facoltà giuridica è stata istituita una cattedra di storia greca e nella facoltà letteraria una cattedra di istituzioni di diritto pubblico. Entrambi i titolari erano figli di due professori della stessa università".
Siccome esiste una legge che vieta di far entrare all'università parenti di chi è già in cattedra, la fantasia italica esprime il meglio, pur di favorire un congiunto. Siamo tornati ai tempi di Edward Banfield, autore negli anni Sessanta del noto volume "Le basi morali di una società arretrata", dove si denunciava l'aberrante familismo amorale. Perotti, molti anni fa - ben prima di provare a incidere sul lato spending review - scrisse un amaro volume: "L'università truccata", dove in un capitolo analizzava il numero enorme di omonimie negli atenei italiani. Si assumono i peggiori (parenti, ovviamente) e si ostacolano coloro che meritano. Meritocrazia? Ma quando mai. Il silenzio dei rettori e della Conferenza dei Rettori - la temibile e potentissima Crui - è eloquente.
Nulla di nuovo sotto il sole, mi si fa notare. E allora noi torniamo a denunciare il malaffare, Non è inutile ritornare a raccontare ciò che successe al premio Nobel Franco Modigliani:"“Arrivato negli States mi fu subito evidente come il sistema universitario fosse più umano ed efficiente rispetto alla insopportabile impersonalità delle università italiane: pochi baroni che insegnavano a masse di studenti sconosciuti, attorniati da piccole folle di petulanti e servili assistenti. Il cameratismo e l’amicizia che spesso nascono tra professori e studenti è una delle caratteristiche dell’insegnamento superiore degli Stati Uniti e una delle ragioni del suo indubbio successo”.
“Nel 1955 tornai in Italia come lettore. La mia impressione negativa fu fortissima. Avevo scordato quanto profonde fossero le differenze fra il sistema di educazione universitario negli Stati Uniti e in Italia. Il sistema italiano era una struttura a tre caste, in cui i pochi, e per la maggior parte anziani professori, occupavano la casta superiore, immediatamente inferiore a Dio, mentre un gruppo consistente di speranzosi e servili assistenti rappresentava la seconda casta, lo strato intermedio, e gli studenti, dei quali nessuno si occupava, costituiscono la base della piramide”. Ci chiediamo se sia cambiato qualcosa dal 1955 ad oggi.
“Il Rettore dell’Università di Roma mi definì, mentre ero già full professor, un “giovine promettente”. Modigliani racconta anche un altro episodio emblematico. In occasione di un convegno di economisti a Washington, il professor Corrado Gini (famosissimo statistico, inventore dell’indice di Gini sulla concentrazione del reddito e della ricchezza, ndr) – tirò fuori l’orologio dal taschino e chiese a Modigliani: “Senta, ieri mi si è rotto l’orologio, me lo potrebbe far accomodare, per cortesia, e poi me lo fa recapitare in albergo?”. Modigliani rispose che la richiesta avrebbe dovuto farla al garzone della portineria dell’albergo. “Così si saggiava di che pasta eri fatto. Quanto eri in grado di subire pur di accattivarti la benevolenza del capo. Questa è una delle origini profonde della crisi italiana. Perchè una classe dirigente che è stata selezionata in base alla sua capacità di subire umiliazioni, di non avere amor proprio, è quella che non è in grado di guidare l’Italia”.
Roberta D'Alessandro, docente di Linguistica all'Università di Leida in Olanda, intervistata dal Corriere della Sera, fa sapere che in Italia le hanno detto che è difficile "superare 'la concezione proprietaria' dei concorsi". Il concorso è mio e lo gestisco io, facendo passare solo i fedelissimi (anche se scemi), piuttosto che un soggetto valido, ma libero di pensare in modo diverso dal "barone". Sempre la D'Alessandro: "Non sa quante volte sono stata bocciata con lode: venivano da me e mi dicevano "Lei è bravissima, peccato che non potesse vincere...In Olanda sono diventata professore ordinario a 33 anni".
Una storia simile è raccontata da Federico Formenti, docente di Scienze Motorie a Oxford, che è stato sconfitto da una candidata "protetta" all'Università di Venezia. Ma è tutto al Tar e al Consiglio di Stato, quindi si definirà tutto nel 2054.
Vi ricordate il rettore Luigi Frati della Sapienza di Roma che assumeva i parenti - "Se lo meritano" - e organizzò la festa di laurea della figlia nei locali dell'Università? Cos'e pazze. Qui un bell'articolo di Roberto Perotti dal titolo evocativo "La Sapienza del familismo".
"Lasciate ogni speranza voi ch'intrate", scrisse Dante Alighieri. Si riferiva all'Inferno dell'Università italiana, dove, peraltro, gli operai sussidiano i figli di papà.
martedì 27 settembre 2016
venerdì 23 settembre 2016
Il capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi
Il 24 novembre 1996 – giusto 14 anni fa - la delegazione italiana guidata dal Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi – presenti Mario Draghi per il Tesoro ed Antonio Fazio e Pierluigi Ciocca per Banca d’Italia - vola a Bruxelles dove si terrà l’Ecofin, la riunione dei Ministri economici europei. Ordine del giorno: il rientro della lira nel Sistema Monetario Europeo.
Il giorno precedente la direzione generale del Tesoro emana questo comunicato: “Il Governo italiano ha chiesto l’avvio delle procedure per il rientro della lira negli accordi di cambio previsti dal Sistema Monetario Europeo (SME). La procedura avrà inizio domani con la riunione del Comitato Monetario convocato per le 15.00”.
L’Italia uscì dallo SME nell’autunno 1992, e per rispettare i parametri di Maastricht e far parte dei Paesi dell’Unione Economica e Monetaria partecipanti alla nascita dell’Euro, era necessario e vitale rientrare nell’Exchange Rate Mechanism.
Il punto chiave del rientro nello SME era il tasso di cambio ritenuto corretto dagli altri partner europei. Nella riunione di sabato mattina a Palazzo Chigi, il Presidente del Consiglio Prodi e Ciampi appresero dal Governatore della Banca d’Italia Fazio che la video-consultazione del venerdì aveva prospettato la posizione tedesco-olandese, che sostenevano che il cambio giusto per la lira sarebbe stato 925 per un marco. Prodi e Ciampi dissero che non se ne parlava neppure. Gli industriali italiani fantasticavano tassi di cambio ben superiori a quota 1.000, tipo 1.030/1.040. Il Governo sapeva che l’unica speranza era aggrapparsi alla cifra tonda: quota 1.000.
Per ottenere 1.000, si decise si dare a Draghi e Ciocca il mandato di chiedere 1.010, con la facoltà di scendere a 1.000. Il tasso di cambio sui mercati in quei giorni viaggiava intorno a 985 lire per marco.
Draghi e Ciocca non trovarono l’accordo ma riuscirono ad abbattere il muro delle 950 lire, trovando qualche difficoltà a trattare su quota 970.
La tensione era visibile. Il momento era importante. Si giocava il futuro dell’Italia. Cosi Paolo Peluffo in Carlo Azeglio Ciampi, l’uomo e il Presidente (Rizzoli, 2007): “Ciampi volle partire per tempo, in mattinata. Si viaggiava ancora sul vecchio DC9 che aveva un grande salottino aperto e comodo per la conversazione. Ma di conversazione, quel giorno, ve ne fu davvero poca. Si guardava tabelle, dati sulla bilancia dei pagamenti, in silenzio, scambiandosi mezze frasi, sottovoce”.
Alle 15.00 in punto a Bruxelles inizia l’Ecofin. Dopo i primi convenevoli, Wim Duisemberg – poi primo presidente della BCE - per conto dell’Istituto Monetario Europeo dà la parola a Ciampi, che improvvisa l’arringa meglio riuscita della sua carriera istituzionale, parlando a braccio sulla base di una scaletta.
Questi alcuni stralci del discorso di Ciampi:
1. Sono qui davanti a Voi con emozione, ma anche con orgoglio, per proporre il reingresso dell’Italia nell’accordo di cambio. Personalmente ho vissuto tutta l’esperienza del Sistema Monetario Europeo, dalla sua creazione nel 1979 all’uscita dell’Italia...Le vicende dell’estate-autunno del 1992 furono estremamente gravi per lo SME. Ritengo che in quell’occasione pagammo tutti, ma credo che l’Italia pagò in particolar modo. Questi quattro anni in cui abbiamo continuato a partecipare allo SME, ma non al cuo aspetto centrale – ovvero l’accordo di cambio – sono stati per il mio Paese anni che io chiamo di “sofferto esilio”.
2. Il 1992: il dramma del 1992 ha costituito il turning point per il risanamento dell’economia. Da allora il mio Paese ha fatto importanti progressi verso la stabilità, attraverso il concorso della politica monetaria, dei redditi, del bilancio pubblico. La politica monetaria, che alla fine degli anni Ottanta agli inizi degli anni Novanta aveva fatto dell’accordo di cambio elemento di disciplina, che costringesse a comportamenti delgi operatori italiani verso la stabilità, ha continuato a essere non meno rigorosa, pur non avendo più il vincolo della disciplina del cambio, attraverso una gestione diretta e severa della moneta e del credito.
3. L’Italia che negli anni Settanta e per gran parte degli anni Ottanta aveva visto più volte avvitare la sua economia nella spirale perversa “aumento dei costi salariali/prezzi”, ha abolito ogni indicizzazione e ha adottato una severa politica dei reddito. Congiuntamente è stata iniziata una politica di riequilibrio del bilancio dello Stato.
4. Veniamo ora alla proposta dell’Italia di una parità centrale tra 1000 e circa 1.010 per marco. E’ sempre stata la prassi di impostare la discussione partendo dai valori di mercato. Come è stato ricordato e come è nella tabella di fronte a voi, il tasso di mercato della lira rispetto al marco, nella media degli ultimi sei mesi, è di poco superiore a 1.000. Questo è appunto il tasso al quale l’Italia fa riferimento.
5. Vi invito a considerare un altro aspetto: che per contribuire alla politica di disinflazione, la Banca d’Italia ha adottato una politica monetaria che ha mantenuto e mantiene elevati i tassi a breve. Se esaminate la curva dei tassi di interesse in Italia, essa disegna una “V”, con il tasso più basso del titolo a tre anni e agli estremi dei titoli a tre mesi e di quelli a dicei anni, che hanno di fatto lo stesso livello. Non sono in grado di calcolare quanto questa situazione dei tassi d’interesse sul mercato monetario abbia influenzato e influenzi il livello del tasso di cambio. Quel che sembra indubbio è che il tasso di cambio ha subito e subisce due influenze di segno opposto: 1) è sostenuto da un tasso di interesse elevato; 2) è frenato dagli acquisti di valuta estera fatti dalla Banca d’Italia.
6. E’ interesse dell’Italia di avere una parità che sia equa, sostenibile e duratura.Credo che una parità di 1000 lire per marco sia una cifra appropriata.
7. Con questo animo, con questi sentimenti, con il desiderio di ritornare pienamente a far parte di questa Comunità Europea, che vede nell’accordo di cambio uno dei punti essenziali della politica di convergenza che l’Europa ha seguito in questi anni, Vi prego caldamente di tener conto di queste mie considerazioni e di accogliere integralmente la proposta che l’Italia ha fatto, e cioè non solo di vedere di buon grado il rientro dell’Italia, ma di approvare anche il valore proposto per la parità della lira”.
Peluffo racconta: “Seguì un lungo silenzio. Nessuno osò parlare. Investiti da quel fiune di argomentazioni appassionate. Il sottosegretario irlandese chiese se qualcunno volesse prendere la parola. Tutti tacquero. La seduta fu sospesa”.
Dopo estenuanti trattative durate più di otto ore – compresa la minaccia di Ciampi di tornare a Roma senza accordo e lasciar fluttuare liberamente la lira - si trovò l’accordo in tarda serata (giusto in tempo per comunicare l’accordo prima dell’apertura dei mercati australiani: mezzanotte di Bruxelles equivale alle 9.00 a Sidney) a quota 990 contro marco.
Sempre Peluffo: “Il ritorno a tarda sera fu euforico. Ci si rendeva conto di aver ottenuto un successo strepitoso. Ciampi si attendeva un trionfo anche sulla stampa”. Ma grande fu la delusione perche i giornali presentarono il risultato come una vittoria a metà, perchè gli industriali speravano in qualcosa di meglio" (più alta la parità=maggiore export, ndr). Non si capì che grazie all’accordo, saremmo poi entrati nell’euro fin dalla sua introduzione. E vi pare poco?
Il Financial Times, però, il 26 novembre 1996 fece tornare il sorriso a Carlo Azeglio Ciampi. Lionel Barber – The quest for Emu: Italy home but not dry – descrisse Ciampi come un lottatore ("his craftiness is legendary") senza pari in Europa, l’unico in grado di vincere la resistenza del duro dei duri, Hans Tietmeyer, Presidente della Bundesbank. Barber – tra l’altro - cita un diplomatico italiano: “Ciampi gave the performance of his life. Se qualcuno avesse provato la stessa operazione lo avrebbero buttato giù dalla finestra”.
Peluffo ci racconta che quell’articolo fu una delle soddisfazioni più intense di quegli anni in prima linea. Io l’articolo di Barber – pescato nel mio archivio, qui allegato - lo porto sempre a lezione. Per ricordare agli studenti il capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi.
Il giorno precedente la direzione generale del Tesoro emana questo comunicato: “Il Governo italiano ha chiesto l’avvio delle procedure per il rientro della lira negli accordi di cambio previsti dal Sistema Monetario Europeo (SME). La procedura avrà inizio domani con la riunione del Comitato Monetario convocato per le 15.00”.
L’Italia uscì dallo SME nell’autunno 1992, e per rispettare i parametri di Maastricht e far parte dei Paesi dell’Unione Economica e Monetaria partecipanti alla nascita dell’Euro, era necessario e vitale rientrare nell’Exchange Rate Mechanism.
Il punto chiave del rientro nello SME era il tasso di cambio ritenuto corretto dagli altri partner europei. Nella riunione di sabato mattina a Palazzo Chigi, il Presidente del Consiglio Prodi e Ciampi appresero dal Governatore della Banca d’Italia Fazio che la video-consultazione del venerdì aveva prospettato la posizione tedesco-olandese, che sostenevano che il cambio giusto per la lira sarebbe stato 925 per un marco. Prodi e Ciampi dissero che non se ne parlava neppure. Gli industriali italiani fantasticavano tassi di cambio ben superiori a quota 1.000, tipo 1.030/1.040. Il Governo sapeva che l’unica speranza era aggrapparsi alla cifra tonda: quota 1.000.
Per ottenere 1.000, si decise si dare a Draghi e Ciocca il mandato di chiedere 1.010, con la facoltà di scendere a 1.000. Il tasso di cambio sui mercati in quei giorni viaggiava intorno a 985 lire per marco.
Draghi e Ciocca non trovarono l’accordo ma riuscirono ad abbattere il muro delle 950 lire, trovando qualche difficoltà a trattare su quota 970.
La tensione era visibile. Il momento era importante. Si giocava il futuro dell’Italia. Cosi Paolo Peluffo in Carlo Azeglio Ciampi, l’uomo e il Presidente (Rizzoli, 2007): “Ciampi volle partire per tempo, in mattinata. Si viaggiava ancora sul vecchio DC9 che aveva un grande salottino aperto e comodo per la conversazione. Ma di conversazione, quel giorno, ve ne fu davvero poca. Si guardava tabelle, dati sulla bilancia dei pagamenti, in silenzio, scambiandosi mezze frasi, sottovoce”.
Alle 15.00 in punto a Bruxelles inizia l’Ecofin. Dopo i primi convenevoli, Wim Duisemberg – poi primo presidente della BCE - per conto dell’Istituto Monetario Europeo dà la parola a Ciampi, che improvvisa l’arringa meglio riuscita della sua carriera istituzionale, parlando a braccio sulla base di una scaletta.
Questi alcuni stralci del discorso di Ciampi:
1. Sono qui davanti a Voi con emozione, ma anche con orgoglio, per proporre il reingresso dell’Italia nell’accordo di cambio. Personalmente ho vissuto tutta l’esperienza del Sistema Monetario Europeo, dalla sua creazione nel 1979 all’uscita dell’Italia...Le vicende dell’estate-autunno del 1992 furono estremamente gravi per lo SME. Ritengo che in quell’occasione pagammo tutti, ma credo che l’Italia pagò in particolar modo. Questi quattro anni in cui abbiamo continuato a partecipare allo SME, ma non al cuo aspetto centrale – ovvero l’accordo di cambio – sono stati per il mio Paese anni che io chiamo di “sofferto esilio”.
2. Il 1992: il dramma del 1992 ha costituito il turning point per il risanamento dell’economia. Da allora il mio Paese ha fatto importanti progressi verso la stabilità, attraverso il concorso della politica monetaria, dei redditi, del bilancio pubblico. La politica monetaria, che alla fine degli anni Ottanta agli inizi degli anni Novanta aveva fatto dell’accordo di cambio elemento di disciplina, che costringesse a comportamenti delgi operatori italiani verso la stabilità, ha continuato a essere non meno rigorosa, pur non avendo più il vincolo della disciplina del cambio, attraverso una gestione diretta e severa della moneta e del credito.
3. L’Italia che negli anni Settanta e per gran parte degli anni Ottanta aveva visto più volte avvitare la sua economia nella spirale perversa “aumento dei costi salariali/prezzi”, ha abolito ogni indicizzazione e ha adottato una severa politica dei reddito. Congiuntamente è stata iniziata una politica di riequilibrio del bilancio dello Stato.
4. Veniamo ora alla proposta dell’Italia di una parità centrale tra 1000 e circa 1.010 per marco. E’ sempre stata la prassi di impostare la discussione partendo dai valori di mercato. Come è stato ricordato e come è nella tabella di fronte a voi, il tasso di mercato della lira rispetto al marco, nella media degli ultimi sei mesi, è di poco superiore a 1.000. Questo è appunto il tasso al quale l’Italia fa riferimento.
5. Vi invito a considerare un altro aspetto: che per contribuire alla politica di disinflazione, la Banca d’Italia ha adottato una politica monetaria che ha mantenuto e mantiene elevati i tassi a breve. Se esaminate la curva dei tassi di interesse in Italia, essa disegna una “V”, con il tasso più basso del titolo a tre anni e agli estremi dei titoli a tre mesi e di quelli a dicei anni, che hanno di fatto lo stesso livello. Non sono in grado di calcolare quanto questa situazione dei tassi d’interesse sul mercato monetario abbia influenzato e influenzi il livello del tasso di cambio. Quel che sembra indubbio è che il tasso di cambio ha subito e subisce due influenze di segno opposto: 1) è sostenuto da un tasso di interesse elevato; 2) è frenato dagli acquisti di valuta estera fatti dalla Banca d’Italia.
6. E’ interesse dell’Italia di avere una parità che sia equa, sostenibile e duratura.Credo che una parità di 1000 lire per marco sia una cifra appropriata.
7. Con questo animo, con questi sentimenti, con il desiderio di ritornare pienamente a far parte di questa Comunità Europea, che vede nell’accordo di cambio uno dei punti essenziali della politica di convergenza che l’Europa ha seguito in questi anni, Vi prego caldamente di tener conto di queste mie considerazioni e di accogliere integralmente la proposta che l’Italia ha fatto, e cioè non solo di vedere di buon grado il rientro dell’Italia, ma di approvare anche il valore proposto per la parità della lira”.
Peluffo racconta: “Seguì un lungo silenzio. Nessuno osò parlare. Investiti da quel fiune di argomentazioni appassionate. Il sottosegretario irlandese chiese se qualcunno volesse prendere la parola. Tutti tacquero. La seduta fu sospesa”.
Dopo estenuanti trattative durate più di otto ore – compresa la minaccia di Ciampi di tornare a Roma senza accordo e lasciar fluttuare liberamente la lira - si trovò l’accordo in tarda serata (giusto in tempo per comunicare l’accordo prima dell’apertura dei mercati australiani: mezzanotte di Bruxelles equivale alle 9.00 a Sidney) a quota 990 contro marco.
Sempre Peluffo: “Il ritorno a tarda sera fu euforico. Ci si rendeva conto di aver ottenuto un successo strepitoso. Ciampi si attendeva un trionfo anche sulla stampa”. Ma grande fu la delusione perche i giornali presentarono il risultato come una vittoria a metà, perchè gli industriali speravano in qualcosa di meglio" (più alta la parità=maggiore export, ndr). Non si capì che grazie all’accordo, saremmo poi entrati nell’euro fin dalla sua introduzione. E vi pare poco?
Il Financial Times, però, il 26 novembre 1996 fece tornare il sorriso a Carlo Azeglio Ciampi. Lionel Barber – The quest for Emu: Italy home but not dry – descrisse Ciampi come un lottatore ("his craftiness is legendary") senza pari in Europa, l’unico in grado di vincere la resistenza del duro dei duri, Hans Tietmeyer, Presidente della Bundesbank. Barber – tra l’altro - cita un diplomatico italiano: “Ciampi gave the performance of his life. Se qualcuno avesse provato la stessa operazione lo avrebbero buttato giù dalla finestra”.
Peluffo ci racconta che quell’articolo fu una delle soddisfazioni più intense di quegli anni in prima linea. Io l’articolo di Barber – pescato nel mio archivio, qui allegato - lo porto sempre a lezione. Per ricordare agli studenti il capolavoro di Carlo Azeglio Ciampi.
lunedì 19 settembre 2016
Ciao Carlo Azeglio
Ciao
Carlo Azeglio.
Quante volte abbiamo parlato di te su questo blog! Dallo spread alla zoppia a come passare un esame. Sempre con il rispetto e grande gratitudine, per averci salvato in constesti terribili. E con quale calma affrontavi problemi complessi. Beniamino Andreatta, quando era agitato, diceva: "Vado da Ciampi, così mi calmo un po'".
Di
fronte a Carlo Azeglio Ciampi, una carriera in Banca d'Italia, presidente
del consiglio del governo d'emergenza del 1993 - travolti da Tangentopoli,
svalutazione della lira e uscita dallo SME - ministro del Tesoro del governo
Prodi che ci portò nell'Euro (meno male, altrimenti saremmo del caos più
assoluto), il cordoglio è stato unanime.
Dobbiamo
ringraziare la moglie di Ciampi, Franca Pilla, per aver convinto Carlo a
partecipare al concorso in Banca d'Italia, che ovviamente vinse appena finita
la Guerra (1946). Infatti, se non lo sapesse, Ciampi a quel tempo insegnava italiano e
latino al liceo Niccolini di Livorno. Era un ottimo insegnante. La
passione per i giovani non è gli mai mancata.
Ti sia lieve la terra, caro Carlo Azeglio.
Quante volte abbiamo parlato di te su questo blog! Dallo spread alla zoppia a come passare un esame. Sempre con il rispetto e grande gratitudine, per averci salvato in constesti terribili. E con quale calma affrontavi problemi complessi. Beniamino Andreatta, quando era agitato, diceva: "Vado da Ciampi, così mi calmo un po'".
Gli
unici a criticarlo e addirittura ad accusarlo di tradimento sono stati i
leghisti, persone miserabili Intendono in questo modo conquistare le prima pagine dei giornali o proporsi così come forza alternativa di
governo?
Per
Salvini & C. valgono le parole di Michele Serra scritte per L'amaca di
Repubblica: Oltre a "ricevere regolare stipendio dall'odiato Stato italiano...in altri Paesi, anche democratici, sarebbe bastato molto meno per fare dichiarazioni ai giornalisti avendo ai lati due gendarme. Peccato che la pazienza e la liberalità delle istituzioni repubblicane non siano state risarcite dal rispetto nei confronti di chi le serviva proprio in anni in cui la Lega cercava di demolirle".
Franca e Carlo Azeglio Ciampi |
Milena Piperno, futura moglie di Umberto
Colombo - scienziato di vaglia, già presidente dell’ENEL e dell’ENEA, ministro
dell’Università nel governo Ciampi - fu allieva di Ciampi e si ricorda la
qualità del professore mancato: “Ciampi non ci metteva mai soggezione, non
alzava mai la voce. Era bello ascoltare le sue lezioni della Divina Commedia.
Ma di quell’anno scolastico mi è rimasto impresso il suo parlarci in libertà,
di quanto sangue fosse costata la guerra, a tutti i popoli, non solo al nostro
che stava uscendo dalla guerra”.
Per chi non lo sapesse, Ciampi non si è laureato in economia, ma in lettere - filologia classica con una tesi su Favorino D'Arelate (retore neosofista del II secolo) - e in giurisprudenza, con una tesi sulla libertà delle minoranze religiosa (pubblicata dal Mulino, su suggerimento del prof. Francesco Margiotta Broglio). In una sua visita all'amata Normale di Pisa - dove studiava "in modo forsennato" - una studentessa gli chiese come si fa a passare dalla filologia classica all'economia. Ciampi rispose con tono affabile (ricorda Salvatore Settis): "E' la stessa cosa. Studiando filologia classica in Normale ho imparato una disciplina intellettuale, il rispetto dei documenti e la ricerca della verità: principi che mi hanno accompaganto alla Banca d'Italia, a Palazzo Chigi, al Quirinale".
Ciampi tornava sempre sui classici. Uno dei suoi autori preferiti era Giacomo Leopardi. Il dialogo tra un passeggere e un venditore di almanacchi era spesso citato:
Quella
vita ch’è una cosa bella,
non
è la vita che si conosce,
ma
quella che non si conosce;
non la vita passata, ma la futura.
Intervistata ieri da Marzio Breda,
Franca dice: "Negli ultimi anni Carlo era preoccupato per il futuro dei
bisnipoti". Vedere i giovani migliori dover scappare all'estero per avete
le giuste opportunità lavorative lo intristiva non poco.
A
furia di rimandare di continuo le riforme che la Banca d'Italia nelle
Considerazioni finali invitava a portare a termine, siamo giunti allo stallo e
alla palude. "Il tempo si è fatto breve", per usare le parole di
Ciampi. L'invocazione
cara a Donato Menichella 'Sta in noi' non è valsa poiché il "noi"
politico è stato infinitamente di bassa qualità. Anni perduti.
Tra
i necrologi per Ciampi mi hanno colpito quello di Roberto Benigni e Nicoletta Brashi che hanno definito
Ciampi uomo meraviglioso e quello di Fabrizio Barca, uno dei tanti Ciampi Boys
cresciuti alla scuola di Banca d'Italia, "cittadella della competenza" secondo la
magistrale definizione di Alfredo Gigliobianco: "Ciampi ci ha insegnato ad ascoltare, dirigere, decidere". Barca si rifà all'atto volitivo, caro a Ciampi. Dopo aver valutato attentamente tutte le alternative, bisogna decidere, cosa che in Italia non si fa. Noi siamo bravissimi a rimandare. A babbo morto (qui un mio approfondimento per il blog de Il Sole 24 Ore).
Chiudo
con un ricordo personale. Nel giugno scorso sono passato a Palazzo Giustiniani - sede degli uffici dei senatori a vita - e ho lasciato in dono al presidente Ciampi il mio volume di Paolo Baffi "Servitore dell'interesse pubblico".Con mia grande sorpresa, pochi giorni dopo Ciampi mi ha fatto recapitare un telegramma. Chi manda più telegrammi, ai tempi della mail e dei social? CA Ciampi.
Nel telegramma Ciampi scrive: "Gentile dottor Piccone, un sentito ringraziamento per l'invio del volume da lei curato e per le cortesi espressioni con cui ha volute accompaganarlo. In procinto di lasciare Roma per la consueta pausa estiva, porter con me il libro, al quale dedicherò una meditate lettura, con la mente, e soprattutto, con il cuore. Ancora grazie, e un particolare apprezzamento per questo suo lavoro "baffiano".
Molti cordiali saluti
Carlo Azeglio Ciampi
mercoledì 14 settembre 2016
Che bello presentare il mio terzo volume baffiano con Giorgio Napolitano e Salvatore Rossi (Bankitalia)
B. Piccone, G. Napolitano, S. Rossi |
Dopo l'indirizzo di saluto della presidente della Biblioteca, Marina Pallotta, la parola passa al presidente Giorgio Napolitano, il quale non solo ha letto attentamente il volume, ma ha conosciuto direttamente Baffi, con il quale - da responsabile economico del Partito Comunista Italiano negli anni Settanta - ha avuto modo di confrontarsi.
Napolitano si concentra sulla storia del PCI, che spesso, preda dell’ideologia, perse di vista la logica economica. Nel mio volume si legge: “Con continui e indifferenziati «no» alle proposte di modernizzazione il PCI faceva toccare con mano la propria inadeguatezza a padroneggiare i problemi concreti con soluzioni idonee a un paese industriale. Baffi auspicava l’uscita dal ghetto dell’intellighenzia di sinistra, danneggiata dalla democrazia bloccata, frutto del «bipartitismo imperfetto», spiegato analiticamente da Giorgio Galli.
S. Rossi e B. Piccone |
Il carteggio tra Paolo Baffi e Giorgio Napolitano ci
offre diversi spunti. Il 16 ottobre 1979 Baffi scrive a Napolitano che «il
partito è impegnato, grazie anche a Lei, in una nuova e difficile esperienza». Dieci
anni più tardi, il 17 aprile 1989, dopo la svolta del marzo 1989 (la Bolognina)
Baffi riporta a Napolitano il suo pensiero: «Seguo con interesse il vostro
travaglio, auspicando un esito che ricuperi pienamente alla società
italiana ed europea tante forze intellettuali e morali oggi quasi ghettizzate
(e il vuoto si sente)».
Luigi Spaventa |
In un suo intervento del 2013 presso l’UniversitàBocconi, in occasione del ricordo di Luigi Spaventa, Napolitano disse
riprendendo Franco Debenedetti: “Spaventa contribuì
come nessun altro a liberare la sinistra italiana", suggerendole strumenti
concettuali più avanzati per l'analisi e il governo delle economie di mercato”.
Napolitano, politico di razza, è andato a ritrovare un
intervento del 1993 di Paul Volker, governatore della Federal Reserve dal 1979 al 1987, in cui -
nel centenario della nascita della Banca d'Italia - rimarcò quanto fosse
importante avere una banca centrale indipendente dal potere politico e al
contempo disposta a rendicontare il proprio operato all'opinione pubblica. E'
lo stesso pensiero di Baffi, propugnatore della "battaglia della
persuasione" con tutti gli stakeholder coinvolti.
Fregene si trova a Fiumicino, a due passi dall'aeroporto,
a un'ora da Roma, città in mano a Movimento 5 Stelle, che ha portato al Campidoglio Virginia Raggi, una persona clamorosamente inadeguata al ruolo,
incompetente ed arrogante.
Napolitano non fa nomi, ma depreca la
demagogia, il qualunquismo, base ideologica dei grillini, per i
quali "uno vale uno". Rifacendosi a Rousseau e al
"mito del buon selvaggio", tutti siamo uguali. Ma quando? Baffi,
Spaventa e Napolitano valgono 1000 a confronto con Di Maio, Raggi e Di
Battista.
Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d'Italia, esordisce a braccio dicendo che il volume è molto ben scritto, come non mancano i riferimenti nelle numerose note: “Paolo Baffi non è stato solo governatore (1975-1979), ma un servitore dello Stato e della Banca d'Italia fin dal 1936".
Io avrei tante cose da dire, ma mi limito a due
considerazioni:
1.
Baffi deve essere riscoperto, non lo conosce nessuno. E’
un gigante, un vero padre della patria. Se non avesse scritto il rapporto
Jacobsson nel giugno 1947 con il capo della ricerca economica della Banca dei Regolamenti Internazionali, non si sarebbero riaperte le vie del credito
internazionale;
2.
Baffi è di una lucidità sorprendente. Nel giugno 1989,
grazie alla letture delle tavole demografiche, fece un quadro dell’immigrazione
in arrivo nel primo quarto del prossimo secolo, ossia oggi 2000/2025. Leggete un
po’ qui: “Le grosse coorti di nati nel ventennio
1945-1965 toccheranno l’età della pensione nel primo quarto del prossimo
secolo. In quel torno di tempo, sia l’indice di vecchiaia (vecchi/giovani) sia
l’indice di dipendenza degli anziani (vecchi/adulti) della popolazione
europea segneranno purtroppo una nuova impennata. […] Gli equilibri di mercato
non soffriranno dunque di un effetto di domanda, bensì di una possibile carenza
di offerta del fattore produttivo lavoro. In una condizione siffatta,
l’immigrazione si presenterà come un meccanismo riequilibrante, un innesto
naturale che sarà attivato dalle chiamate delle imprese produttive (e delle
stesse famiglie)”. Senza gli immigrati presenti nelle nostre industrie e senza
le badanti filippine per i nostri nonni dove andremmo a piangere?
B. Piccone e Alessandra Baffi |
lunedì 5 settembre 2016
Chi rifiuta la scienza e le cure oncologiche è un folle
Due notizie mi hanno colpito questa settimana. Una ragazza di 18 e una donna di 34 hanno rifiutato le cure - liberissime di farlo - oncologiche e sono morte.
Sebbene il cancro non è più una malattia incurabile grazie agli enormi progressi della medicina, siamo circondati da ciarlatani di ogni risma che illudono le persone e le conducono alla morte.
Umberto Veronesi - scienziato e oncologo di fama mondiale - stamane su Repubblica mette in guardia contro gli illusionisti: "Nel nostro Paese purtroppo la fuga verso le false promesse di chi disconosce la medicina e proclama di aver trovato la vera cura contro il cancro o un'altra malattia grave, non sono una novità. Solo da pochi mesi si è conclusa la vicenda di Stamina, il laboratorio che promettendo cure risolutive per malattie neurologiche gravissime che spesso colpiscono i bambini, aveva spinto madri disperate ad abbandonare per i figli le terapie scientificamente testate e applicate in tutto il mondo. Non solo. Il responsabile del laboratorio è riuscito nell'impresa di creare un gruppo di sostenitori che accusavano medici e istituzioni di boicottare un "santo guaritore" per puro interesse economico, creando smarrimento profondo nelle famiglie che avevano in casa un bambino con la stessa malattia. Quelle di Eleonora, morta pochi giorni fa di leucemia a 18 anni e Alessandra, mancata a 34 anni per tumore del seno, sono storie che seguono la stessa tragica dinamica che induce una persona in un momento di fragilità estrema (Eleonora quando si è ammalata era anche minorenne, e il suo dramma si è automaticamente riversato sui genitori) a seguire qualsiasi imbonitore che sappia dare una speranza in più".
La povera Eleonora Bottaro è morta di leucemia perchè i genitori hanno creduto a quel fanatico di Ryke Hamer - padre di Dirk, ammazzato dai colpi di fucile di Vittorio Emanuele (poi assolto, bien sur, i Savoia....) all'isola di Cavallo - , il quale pensa che i tumori si possano curare con la psicologia.
Non si può comprendere il parroco che al funerale di Eleonora ha detto che i genitori hanno fatto tutto il possibile. Curando Elonora in Svizzera con vitamina C e cortisone?
Dopo Di Bella, abbiamo visto all'opera Vannoni e Stamina, che hanno potuto sperimentare i loro intrugli all'Ospedale pubblico di Brescia! Solo con la determinazione di alcuni magistrati e con i fermi interventi di scienziati del calibro di Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini, siamo riusciti a metterci una pezza.
Veronesi invita a fare di più sul fronte delle cure chemioterapiche: "Bisogna liberare la chemioterapia dallo stigma di cura devastante, che fa paura più del cancro stesso. Bisogna anche affrancarla dalla sua associazione alla terapia per moribondi, che si somministra quando non c'è più niente da fare. Oggi, anche grazie alla genomica, la chemioterapia è mirata e sempre più basata sulla risposta al trattamento di ogni paziente. Inoltre, guidati dal nuovo faro dell'attenzione alla persona nella sua globalità, gli oncologi stano imparando anche a controllare il lato estetico. ".
Questo Paese vive ancora della contrapposizione tra scienza e discipline umanistiche. Siamo ancora ai tempi di Benedetto Croce. Usciamo dal mondo primitivo, insegniamo ai nostril figli che la scienza è fondamentale, che il metodo scientifico è ciò che ci porta lontano e ci fa guarire. Gli intrugli magici lasciamoli ai gonzi.
Sebbene il cancro non è più una malattia incurabile grazie agli enormi progressi della medicina, siamo circondati da ciarlatani di ogni risma che illudono le persone e le conducono alla morte.
Umberto Veronesi - scienziato e oncologo di fama mondiale - stamane su Repubblica mette in guardia contro gli illusionisti: "Nel nostro Paese purtroppo la fuga verso le false promesse di chi disconosce la medicina e proclama di aver trovato la vera cura contro il cancro o un'altra malattia grave, non sono una novità. Solo da pochi mesi si è conclusa la vicenda di Stamina, il laboratorio che promettendo cure risolutive per malattie neurologiche gravissime che spesso colpiscono i bambini, aveva spinto madri disperate ad abbandonare per i figli le terapie scientificamente testate e applicate in tutto il mondo. Non solo. Il responsabile del laboratorio è riuscito nell'impresa di creare un gruppo di sostenitori che accusavano medici e istituzioni di boicottare un "santo guaritore" per puro interesse economico, creando smarrimento profondo nelle famiglie che avevano in casa un bambino con la stessa malattia. Quelle di Eleonora, morta pochi giorni fa di leucemia a 18 anni e Alessandra, mancata a 34 anni per tumore del seno, sono storie che seguono la stessa tragica dinamica che induce una persona in un momento di fragilità estrema (Eleonora quando si è ammalata era anche minorenne, e il suo dramma si è automaticamente riversato sui genitori) a seguire qualsiasi imbonitore che sappia dare una speranza in più".
Umberto Veronesi |
Non si può comprendere il parroco che al funerale di Eleonora ha detto che i genitori hanno fatto tutto il possibile. Curando Elonora in Svizzera con vitamina C e cortisone?
Dopo Di Bella, abbiamo visto all'opera Vannoni e Stamina, che hanno potuto sperimentare i loro intrugli all'Ospedale pubblico di Brescia! Solo con la determinazione di alcuni magistrati e con i fermi interventi di scienziati del calibro di Elena Cattaneo e Gilberto Corbellini, siamo riusciti a metterci una pezza.
Veronesi invita a fare di più sul fronte delle cure chemioterapiche: "Bisogna liberare la chemioterapia dallo stigma di cura devastante, che fa paura più del cancro stesso. Bisogna anche affrancarla dalla sua associazione alla terapia per moribondi, che si somministra quando non c'è più niente da fare. Oggi, anche grazie alla genomica, la chemioterapia è mirata e sempre più basata sulla risposta al trattamento di ogni paziente. Inoltre, guidati dal nuovo faro dell'attenzione alla persona nella sua globalità, gli oncologi stano imparando anche a controllare il lato estetico. ".
Questo Paese vive ancora della contrapposizione tra scienza e discipline umanistiche. Siamo ancora ai tempi di Benedetto Croce. Usciamo dal mondo primitivo, insegniamo ai nostril figli che la scienza è fondamentale, che il metodo scientifico è ciò che ci porta lontano e ci fa guarire. Gli intrugli magici lasciamoli ai gonzi.