giovedì 31 gennaio 2019

La Banca d'Italia è passata all'opposizione? Lo sostiene il vice premier Di Maio, che ha letto con attenzione Sabino Cassese, vero precursore: nel 1978 accusò Paolo Baffi e la Banca d'Italia di burocratismo, di fare troppe ispezioni, di fare opposizione al governo

 

L'operato del governo giallo verde lascia molto a desiderare. I provvedimenti assistenziali incentrati su "quota 100" e sul reddito di cittadinanza hanno accentuato l'inversione delle aspettative sulla crescita. I consumi languono, la domanda privata è in ritirata in previsione di tempi cupi.
La Banca d'Italia, con il suo modello econometrico, non ha potuto che prendere atto di quello che vanno dicendo tutti gli istituti di ricerca: l'Italia nel 2019 crescerà ben poco. Fino a qualche tempo fa il governo, più che ottimista, preso da esuberanza irrazionale, stimava una crescita del Pil dell'1,5%. Dopo intense negoziazioni con la Commissione Europea, le stime sono state abbassate all'1%. Ma è ancora fantascienza. Via Nazionale settimana scorsa ha quindi reso noto che il suo modello prevede un rallentamento della nostra economia, che nel 2019 crescerà solo dello 0,6%. E i rischi sono verso il basso, come ha detto qualche giorno fa Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea. Lo certifica anche l'Istat stamane: la variazione del pil nel quarto trimestre è stata negativa: -0,2%. Una flessione. Se il governo volesse dare la colpa del calo alle tensioni internazionali, casca male; infatti l'Istat scrive: "Dal lato della domanda, contributo negative della componente nazionale e apporto positivo della componente estera netta".
Il vice premier
Luigi Di Maio del Movimento 5 Stelle non ha esitato a criticare Palazzo Koch, sostenendo che la Banca d'Italia è inaffidabile - "sono diversi anni che non ci prende" - accusandola di complicità politica con gli avversari del governo: "Solo che è strano: quando c'erano quelli di prima le stime erano al rialzo, adesso fanno addirittura stime al ribasso".
Pochi giorni fa
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul "Corriere della Sera" - La politica che nega la realtà" - hanno criticato aspramente Di Maio: "Questa è un'accusa gravissima che nega decenni di storia di indipendenza di via Nazionale, un'istituzione anch'essa imperfetta ma una delle migliori di cui l'Italia si può vantare...Minare la credibilità delle istituzioni è una strada pericolosissima".
Come non essere d'accordo con il duo Alesina-Giavazzi, consapevoli dell'importanza capitale dell'indipendenza delle banche centrali, conquistata con fatica dopo decenni.
Ma Luigi Di Maio ha un precursore autorevole, prestigioso, al quale si è, a sua insaputa, ispirato. Niente popò di meno che Sabino Cassese, autorevolissimo giurista, già professore di diritto pubblico e amministrativo, già ministro della Funzione Pubblica nel governo Ciampi, già consigliere della Corte Costituzionale.
 Nel lontano 1978 Cassese criticò duramente - dalle colonne dell'Espresso -  la Banca d'Italia guidata allora dal governatore Paolo Baffi. Il 20 agosto 1978 - A via Nazionale il burocrate grida: ho vinto! - Cassese accusà la Banca d'Italia di burocratismo e di effettuare troppe ispezioni di Vigilanza (allora diretta da quel galantuomo dalla competenza superiore che risponde al nome di Mario Sarcinelli).
Avete letto bene. La Banca d'Italia eseguiva troppi controlli secondo Cassese, che rimpiange il governatorato Guido Carli, quando le ispezioni (ben poche) venivano annunciate con largo preavviso, così da "sistemare" con calma i pateracchi nella gestione del credito.

Cassese accusò la Banca d’Italia di non collaborare col sistema politico-amministrativo e di formalismo, poichè, a suo dire, la Banca d’Italia eccedeva – a seguito delle ispezioni nelle banche vigilate - nelle denunce alla magistratura. Così Cassese: “Nel 1975, queste [denunce, ndr] furono 67; nel 1976, 117; nel 1977, 59. Per gli anni che precedono [con Carli governatore, ndr], ...si ha ragione di ritenere che il fenomeno fosse sconosciuto negli anni 1960 e fosse inferiore a poche decine dal 1970 al 1975...Ci si chiede se la Banca d’Italia non possa prevenire i reati [chissà cosa possono pensare i membri del direttorio oggi, ndr]: essa deve indirizzare e governare il credito, non agire come una Procura della Repubblica o la Corte dei Conti del sistema creditizio”. Cassese non comprese l’importanza vitale delle ispezioni in loco, decisive per scoprire il malaffare. Sono state proprio le ispezioni all’Italcasse di Arcaini dell’agosto 1977 e al Banco Ambrosiano di Calvi nel 1978 – oltre alla contrarietà al salvataggio-papocchio della Banca Privata Italiana di Michele Sindona - a segnare – purtroppo - la fine del “duo inafferrabile” Baffi- Sarcinelli.

Non è un caso che Donato Masciandaro, direttore del Centro Baffi Carefin Baffi della Bocconi abbia definito Baffi il “Governatore della Vigilanza”. Fu proprio il cambio di rotta nelle politiche di Vigilanza che indusse la politica a reagire servendosi della peggiore magistratura romana (altro che “porto delle nebbie”, meglio definirlo “porto delle follie”). Lo storico Alfredo Gigliobianco scrive: “Baffi, insieme con Sarcinelli, contrastò i fenomeni degenerativi che si manifestavano in quegli anni, usando anche con efficacia e senza timori reverenziali lo strumento delle ispezioni”.

Sabino Cassese

Cassese chiude così il suo j'accuse: "Un corpo si burocratizza quando perde di vista i suoi fini, le sue procedure vengono formalizzate e diminuiscono le sue capacità di reazione ai mutamenti esterni. I sintomi segnalati potrebbero indicare che la Banca d'Italia si sta burocratizzando, si isola, non coopera col sistema politico-amministrativo. O vogliono dire che è passata all'opposizione".
Possiamo solo immaginare la rabbia di Baffi nel leggere queste opinioni sgangherate di uno dei maggiori giuristi italiani. Baffi pensò: fino a che mi attaccano Giuseppe Arcaini, presidente dell'Italcasse (finanziatori dei fratelli Caltagirone), Michele Sindona della Banca Privata Italiana o Roberto Calvi del Banco Ambrosiano, è tutto molto prevedibile. Ma l'attacco di Cassese è fuoco amico, viene da chi mi dovrebbe difendere. 
Anni dopo, l'8 ottobre 1983, in una lettera a Giampaolo Pansa, Baffi scrisse che le streghe del Macbeth fossero più di tre: "E a librarsi nel basso cielo d’Italia di streghe e diavoli ve n’erano assai più di tre: Sindona, Calvi, i Caltagirone; i giornalisti come quelli del Fiorino, dell’Aipe, del Borghese; finanzieri vaticani e dirigenti di qualche istituto centrale di credito; uomini politici e loro caudatari; alti funzionari dello Stato; «magistrati», e qui virgoletto perché applicati ad alcuni il nome stride. Ora questa coalizione di «instruments of darkness» è meno potente; perciò non invano alcuni, dall’altra parte, sono caduti sul campo" (Archivio Storico della Banca d'Italia, Carte Baffi, Governatore Onorario, cart. 33, fasc, 11).Chi sono i "caduti sul campo" citati da Baffi? Lui stesso, Mario Sarcinelli, esautorato dalla Vigilanza e poi, per sua fortuna nel gennaio 1982, richiamato come direttore generale del Tesoro dal ministro Beniamino Andreatta, e Giorgio Ambrosoli, assassinato da un killer al soldo di Sindona.
La reazione di Baffi a Cassese non si fece attendere. Il 27 agosto - A via Nazionale le cose stanno così - sull'Espresso il governatore cercò di trattenersi ma dalla replica - lunga, precisa e dettagliata - si capisce perfettamente lo sdegno per l'attacco non previsto e così ingiusto. Baffi: "Si fa offesa alla sforzo di pensiero e alla passione civile posti in questa attività di analisi e di collaborazione, che impegna le aree associative del cervello di un buon numero di persone, si misconosce il progresso insito nel passaggio dall'episodico al sistematico, tacciando di burocratismo le nuove metodologie di lavoro e di comunicazione". E sulla Vigilanza: "La Banca d'Italia, nell'esercizio dei compiti di vigilanza bancaria, espleta funzioni tipicamente amministrative di indirizzo e controllo degli enti creditizi da essi svolta. Esulano, quindi, dalle funzioni istituzionali della Banca la repressione e la prevenzione dei reati; ciò non toglie che nel compimento dei propri doveri l'Organo di Vigilanza possa talvolta imbattersi in fatti suscettibili di valutazione penale, che, secondo l'interpretazione corrente, vanno portati a conoscenza dell'Autorità giudiziaria a termini dell'art. 2 c.p.p.".

Paolo Baffi
Baffi chiude così: "Mi lusingo di aver fornito al lettore elementi sufficienti per giudicare dell'osservazione finale contenuta nell'articolo secondo cui la Banca "non coopera col sistema politico amministrativo" e dell'ancor più strano interrogativo che la segue suo suo "passaggio all'opposizione". 

Intanto Baffi, ferito da Cassese, era già sotto indagine fin dal 7 aprile 1978, inizio, secondo i magistrati Alibrandi e Infelisi, del fantomatico “disegno criminoso”.
Cassese, in passato, ha replicato così alle mie osservazioni: "Da quanto lei stesso scrive si evince che mi riferivo alla prassi di attivare le procure, non alla vigilanza in quanto tale". E se l'ispezione evidenzia irregolarità, non si devono denunciare le malefatte alla magistratura? E prevenire i reati, cosa significa? Che la "business judgement rule" nella concessione del credito non vale più? Che c'è la presunzione di colpevolezza? Mah.

Luigi Di Maio

Di Maio è stato negli archivi della Banca d'Italia (ASBI) il via Nazionale 191? Non credo, io non l'ho mai visto!

Il vice premier ha tratto ispirazione, nella sua inconsapevolezza, da uno dei massimi giuristi italiani.
Ci chiediamo se può essere la volta buona per il professor Cassese per prendere carta e penna e, dopo 41 anni, chiedere scusa, e ammettere di aver preso un granchio colossale attaccando (dando in tal modo una mano a Giulio Andreotti, regista dell'operazione di disarcionamento) Paolo Baffi e Mario Sarcinelli? E' così difficile ammettere i propri errori? Dall'alto del proprio scranno non si può ammettere di aver sbagliato?